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Una leadership italiana per il pacchetto Fit for 55

Policy Briefing

Il Pacchetto europeo “Fit for 55” – la cui prima parte è stata pubblicata dalla Commissione europea nel luglio 2021 e una seconda parte a dicembre 2021 – rappresenta una grande opportunità di modernizzazione e innovazione dell’economia.

Questo Policy Briefing si propone di identificare gli elementi chiave del Pacchetto europeo Fit for 55 e le prime implicazioni per l’Italia, evidenziando quanto sia funzionale al raggiungimento degli obiettivi climatici. Questo lavoro vuole iniziare una riflessione e un dibattito informato su quali approcci e strumenti l’Italia può mettere in gioco per costruire una sua specifica leadership economica, politica e diplomatica che passi attraverso l’implementazione ordinata e giusta del Pacchetto.

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Il Pacchetto crea un chiaro quadro di obiettivi e politiche in grado di aggiornare e integrare le misure esistenti con nuovi strumenti per la decarbonizzazione di settori chiave dell’economia.

La sfide economiche e sociali poste dalla decarbonizzazione non possono essere un pretesto per rallentare o indebolire la transizione. Non intervenire ora in modo sistemico significa aumentare i costi generali degli impatti del cambiamento climatico, di gran lunga superiori a quelli della transizione.

Per l’Italia e l’Europa è un’opportunità per fornire una via d’uscita dalla contraddizione tra il messaggio politico sull’importanza della transizione e la mancanza di un piano coerente di implementazione. Il Pacchetto crea un quadro di obiettivi e politiche in grado di fornire maggiore chiarezza. Il pacchetto completa l’ambizione climatica delle misure esistenti con nuovi strumenti per la decarbonizzazione di settori chiave, come i trasporti e i consumi domestici.

La decarbonizzazione pone delle sfide significative in termini di impatto economico e sociale. Tali sfide non possono essere risolte se utilizzate come pretesto per rallentare o indebolire la transizione. Non intervenire ora in modo sistemico su queste sfide significa aumentare i costi generali degli impatti del cambiamento climatico, di gran lunga superiori a quelli della transizione. L’opzione di rallentare l’uscita dai fossili, incluso il gas, è molto più rischiosa e costosa della trasformazione stessa.

Affrontare la transizione accelerando e anticipando la curva della decarbonizzazione è il modo migliore per massimizzarne i vantaggi e minimizzarne costi e impatti negativi. Il prezzo del carbonio da solo non è sufficiente a sostenere la transizione. Sono necessarie altre politiche, come incentivi per la conversione a metodi produttivi a zero emissioni, la creazione di mercati di prodotti a zero emissioni dedicati (come l’acciaio verde) agendo sia sull’offerta che sulla domanda (incluso il ruolo di condizionalità di prestiti e garanzie, il supporto fiscale all’innovazione e investimenti pubblici), alti standard climatici e ambientali di prodotto e supporto specifico per l’innovazione e la competitività internazionale dell’industria primaria e delle filiere associate. Le misure di sostegno alla transizione devono mirare ad aumentare la resilienza di cittadini e imprese attraverso la diminuzione dell’esposizione al rischio di volatilità dei prezzi internazionali delle fonti fossili e alla disponibilità di approvvigionamenti fossili. Per l’Italia ciò significa in particolare ridurre la dipendenza dal gas attraverso, un rapido dispiegamento delle rinnovabili, una maggiore efficienza energetica degli edifici, l’elettrificazione dei consumi domestici, e un migliore accesso alla mobilità, alle infrastrutture e ai trasporti elettrici. Accelerare la transizione riduce gli impatti dell’economia fossile e quindi la necessità di ricorrere a interventi statali plurimiliardari di sostegno al reddito per le fasce di popolazione e le piccole imprese più esposte, diminuendo così i costi per lo stato.

Il passaggio alle nuove tecnologie e filiere industriali non può avvenire senza politiche ridistributive e di welfare in linea con la decarbonizzazione e in favore delle fasce di reddito più basse che non hanno accesso a capitali sufficienti, nonché alle comunità più vulnerabili, come le periferie delle città. Il Fondo Sociale per il Clima, previsto dal Pacchetto, è lo strumento adatto a questo scopo. La sua entità (72,2 miliardi di EUR a prezzi correnti per il periodo 2025-2032) è molto limitata, ma potrà essere ulteriormente capitalizzato con risorse nazionali. È pertanto fondamentale indirizzare risorse ulteriori in questa direzione. In questo senso, il Piano di Ripresa e Resilienza è stata un’occasione mancata per l’Italia.

La trasformazione delle industrie fossili  ad alto impatto ambientale dovrà essere gestita attraverso mirate politiche attive del lavoro e sociali. Le forze sindacali dovrebbero supportare la trasformazione di breve periodo per creare le basi di una nuova prosperità di lungo periodo slegata dai combustibili fossili e partecipare attivamente al dibattito su cosa costituisca una transizione “giusta”. Difendere a prescindere posti di lavoro vulnerabili e senza una valutazione reale della loro esposizione alla progressiva uscita dal gas e dal petrolio sarebbe un torto al futuro dei lavoratori stessi e andrebbe solo a beneficio dei profitti degli interessi costituiti. Le imprese avranno invece il compito di innovare e, nel momento di accesso a supporto pubblico dovranno essere soggette a condizionalità per presentare piani industriali e di investimento coerenti con gli obiettivi di decarbonizzazione, per una transizione socialmente giusta.

Una transizione poco ambiziosa o non giusta aumenterebbe le tensioni sociali e intergenerazionali, minando il supporto politico alla decarbonizzazione e all’azione europea, rischiando di creare un fronte di opposizione sia alla transizione che all’Europa stessa.

Senza un processo decisionale e una nuova governance per il clima sarà difficile per l’Italia identificare i propri obiettivi e la strategia per raggiungerli. Senza una posizione negoziale chiara ed efficace sui vari dossier all’interno del Pacchetto, gli interessi italiani saranno assenti, mal presentati o riflettenti interessi costituiti che riescono più di altre forze a influenzare politica e istituzioni e quindi la posizione dell’Italia a Bruxelles.

Le due dimensioni di governance –chi e come prendere le decisioni e quale sistema di attuazione utilizziamo – forniscono le fondamenta per costruire una posizione italiana forte e positiva sul Pacchetto:

  • Disporre di un processo decisionale nazionale chiaro ed efficace, con l’obiettivo di elaborare una posizione dell’Italia riconoscibile internamente ed esternamente alle istituzioni, è chiave per assicurarsi che ci sia un canale di comunicazione efficace tra la parte politica, responsabile della definizione delle priorità nazionali e del quadro d’insieme della posizione, e i funzionari tecnici, responsabili della gestione operativa dei singoli dossier. È quindi necessario stabilire l’interazione tra il nuovo CITE e la struttura istituzionalmente deputata alla definizione della posizione nazionale (CIAE e il suo CTV).
  • È necessaria una struttura di governance adeguata e guidata da una visione politica chiara, resiliente ai cambiamenti di legislatura e bilanciata (ovvero non volatile che passi da una transizione “bagno di sangue” a “necessario” e viceversa). Questa struttura deve garantire che le scelte tecniche e politiche siano in coerenza con gli obiettivi climatici al 2030 e al 2050, evidenziare i punti di interesse e quelli potenzialmente critici. A partire da questo, e sulla base di scenari climatici trasparenti, condivisi, aggiornati e dettagliati (il PNIEC e la Strategia di lungo termine, LTS, non sono sufficientemente dettagliati a tale scopo), occorre sviluppare in maniera approfondita un’analisi delle varie componenti del Pacchetto ed il loro impatto. Senza queste analisi è impossibile elaborare politiche energetiche, residenziali, industriali e di trasporto coerenti e adeguate a gli obiettivi di decarbonizzazione, né politiche di welfare e sociali necessarie a garantire una transizione giusta e senza squilibri sociali.

Tornando agli strumenti del Pacchetto, occorre rilevare problematiche riguardo la proposta del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), ovvero un dazio sull’importazione di acciaio, cemento, fertilizzanti, alluminio ed energia elettrica in dipendenza del contenuto di carbonio e in assenza nei paesi terzi di sistemi di prezzo del carbonio (ETS) analogo a quello europeo. Tuttavia, finora non ci sono evidenze a sostegno di effetti di delocalizzazione (carbon leakage) dovuti all’ETS come mostrato dal rapporto della Commissione UE per il Parlamento UE di aprile 2020.

Il CBAM è uno strumento complesso da implementare per la mancanza di dati affidabili e comparabili sull’intensità di emissioni dei prodotti importati e di un sistema di verifica di questi dati. Sul piano internazionale il CBAM si rivela ancora più problematico perché impone un modello di transizione con poco riguardo per gli impatti sociali ed economici di chi lo subisce e rispetto alle importanti ricadute negative sulla collaborazione e solidarietà internazionale. Per i paesi più esposti, vulnerabili e meno avanzati, il CBAM non prevede una ridistribuzione di risorse a loro beneficio ed è percepito come una misura di carattere protezionista che usa la forza economica dell’UE per cementare la predominanza del proprio comparto industriale. Questo spirito va contro quello multilaterale dell’Accordo di Parigi e danneggia la credibilità dell’UE.

Detto questo, è innegabile la funzione geopolitica di “minaccia” del CBAM e alcuni effetti positivi di movimento nella direzione comune auspicata su alcuni paesi G20, come la Russia e la Turchia. Meno chiari e più negativi sembrano al momento gli effetti sulla cooperazione con Cina e India. Ciononostante, il CBAM può essere più funzionale come strumento geopolitico nella forma di ‘extrema ratio’ che come politica di punta in supporto della decarbonizzazione globale.

Favorire la transizione di tutti i paesi attraverso la cooperazione internazionale significa innanzitutto puntare all’adozione condivisa di alti standard di prodotti e servizi, come gli eco-design, la condivisione del know-how, l’incentivazione di investimenti strutturali con la promessa di investimenti produttivi, anche tramite la nuova iniziativa europea di investimenti globali (Global Gateway), e tramite la creazione di mercati verdi privilegiati tra l’UE e i partner internazionali. La credibilità UE e risultativi concreti sul clima si raggiungerebbero meno attraverso uno strumento economico complesso e dall’efficacia non dimostrata come il CBAM e più da un aumento del contributo UE alla finanza internazionale per il clima, in particolare per supportare la decarbonizzazione e la resilienza dei paesi meno sviluppati e più vulnerabili al clima.

L’Italia ha l’occasione di farsi portavoce in Europa di queste soluzioni collaborative e ambiziose. Questo rinnovato ruolo di leadership climatica si combinerebbe anche con una maggiore presenza su questioni regionali relative al bacino del Mediterraneo e all’Africa, dove si rende necessario un ruolo di accompagnamento e gestione della transizione ecologica per una “diplomazia del Green Deal” che metta in campo, anziché misure di stampo protezionistico, risorse a favore di una maggiore cooperazione che permettano di avanzare l’agenda climatica. Contemporaneamente, è necessaria un’aperturaverso i paesi del Mediterraneo e con il continente africano, attraverso un dialogo improntato alla cooperazione, tenendo conto delle esigenze specifiche e differenziate dei diversi paesi, della diversa dotazione di risorse e dei diversi stadi di sviluppo. Con il Summit Unione Europea-Unione Africana previsto per il 17-18 febbraio 2022, l’Italia deve mantenersi in prima linea nel guidare questo sforzo di ripensamento della cooperazione tra Europa e regione del Mediterraneo-Africa. Infine, l’autonomia strategica di questo approccio non si deve fondare su spinte protezionistiche e punitive che minano i valori universali europei e la cooperazione internazionale, ma sull’abilità propria dell’UE, e dell’Italia, di formulare un’azione strategica di apertura, innovazione e collaborazione – proiettandola esternamente sullo scacchiere globale – senza rinunciare a una legittima prerogativa ultima di protezione.

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Per maggiori informazioni sull’utilizzo dei contenuti si prega di scrivere a comunicazione@eccoclimate.org.

Photo by Christian Lue on Unsplash

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