L’era dei combustibili fossili ha fallito. La diplomazia climatica deve ripartire da qui
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L’era dei combustibili fossili ha fallito. La diplomazia climatica deve ripartire da qui

I grandi summit internazionali di settembre – Nairobi, New York, il G20, oltre alla pubblicazione del Global Stocktake e della Net Zero Roadmap della IEA – seguono un’estate particolarmente allarmante dal profilo climatico, soprattutto nella regione mediterranea. Le temperature hanno toccato picchi mai registrati prima, gli incendi hanno devastato boschi e parchi naturali, ma anche grandine e piogge estreme, mentre in Libia, ancora oggi, si contano le vittime e i danni dell’alluvione che ha colpito la regione di Derna.

Parte proprio da Derna il discorso del Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres pronunciato all’apertura del Climate Ambition Summit. Guterres definisce la popolazione della città costiera libica vittima dell’indifferenza dei leader di fronte al caos climatico, lanciando un accorato appello per mettere fine all’era dei combustibili fossili, causa primaria di queste devastazioni. Gli avvenimenti che hanno colpito il Paese accendono i riflettori su tutti gli elementi che compongono il dibattito internazionale sul clima: perdite e danni, adattamento, maggiori investimenti nelle rinnovabili, riforma del sistema finanziario internazionale e infine il tema che dovrà essere centrale da qui alla COP28, l’uscita dai combustibili fossili. La Libia, già fortemente provata da anni di conflitto, si trova ad affrontare uno stato d’emergenza che richiederà ingenti fondi, secondo le agenzie ONU serviranno più di 71 milioni nei prossimi tre mesi solo per rispondere ai bisogni più urgenti. La scienza è chiara, secondo le analisi del World Weather Attribution le piogge straordinarie che hanno colpito la Libia e altri paesi del Mediterraneo sono state rese cinquanta volte più probabili dal riscaldamento globale. Eppure, si parla di nuovi investimenti per rilanciare il settore petrolifero nel Paese, guidati dall’italiana Eni che a gennaio 2023 ha siglato un nuovo accordo da otto miliardi. Il Paese, dotato di grandi riserve di petrolio e gas naturale e membro dell’OPEC, ha visto l’industria petrolifera giocare un ruolo determinante, ridimensionato negli ultimi anni a causa della grave instabilità politica. La Libia, allo stesso tempo, offre grandi potenzialità per lo sviluppo di energie rinnovabili, soprattutto solare ed eolico. Parlare di nuovi progetti gas, oggi, rischia di far perdere di vista sia il nesso tra catastrofi naturali e l’utilizzo di combustibili fossili, sia le grandi opportunità offerte da investimenti nelle energie pulite. Lo sviluppo delle fonti fossili in Libia, così come in altri paesi della regione, come Algeria ed Egitto, non ha portato prosperità, né tanto meno stabilità e sicurezza. Le parole di Guterres lanciano un messaggio inequivocabile: “l’era dei combustibili fossili ha fallito” occorre “interrompere la loro dipendenza, fermare le nuove licenze di petrolio e gas incompatibili con il mantenimento del limite di 1,5 gradi ed eliminare gradualmente il carbone, il petrolio e il gas in modo giusto ed equo.” L’Italia, per le relazioni storiche con la Libia e altri paesi del Mediterraneo e per le ambizioni di diplomazia e politica estera del presente Governo, ha tutte le capacità e l’interesse per aprire un dialogo con questi paesi per una nuova cooperazione, che dia ampio spazio alle energie rinnovabili, mettendo fine a tutti gli investimenti in fonti fossili.

Questi eventi disastrosi ma ormai sempre più frequenti richiedono azioni rapide e ambiziose, che riescano a trasformare in realtà le promesse pronunciate nelle conferenze internazionali da ormai qualche decennio. La necessità di accelerare l’azione climatica emerge chiaramente dal report di sintesi del dialogo tecnico del Global Stocktake, pubblicato l’8 settembre. Il Global Stocktake è uno processo di valutazione dei progressi ottenuti ad oggi nel percorso verso l’obiettivo di azzeramento delle emissioni, previsto dagli Accordi di Parigi. Questa è la prima volta che viene avviato tale processo di valutazione e sarà alla COP28 che avremo modo di confrontarci con i risultati finali. Tuttavia, le premesse non sono confortanti, come si evince dal rapporto tecnico, non siamo in linea con gli obiettivi che ci siamo dati e maggiori sforzi sono necessari.

Trasformare parole in fatti e alzare l’ambizione, sono stati due mantra a New York, nella settimana che ha ospitato una fitta agenda di incontri internazionali, a partire dall’SDG Summit, ovvero il vertice ONU sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, il Climate Ambition Summit, un incontro fortemente voluto dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres per dare voce ai leader globali più ambiziosi in ambito di azione climatica e infine il dibattito dell’Assemblea Generale. Denominatore comune di questi incontri è stato il forte accento sulla necessità di portare avanti politiche climatiche ambiziose, supportate da riforme e fondi necessari per trasformare le promesse in azioni e fatti concreti, in un mondo sempre più drammaticamente esposto agli impatti del cambiamento climatico.

Al Climate Ambition Summit sono stati invitati a parlare diversi leader internazionali considerati ambiziosi per la loro leadership sul clima, lanciando un chiaro segnale ai paesi esclusi per mancanza di ambizione e coraggio. Tra i leader sul palcoscenico anche la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, che riprendendo i contenuti del comunicato del Vertice G20 tenutosi il 9-10 settembre a New Delhi, ha sottolineato l’esigenza di triplicare la capacità delle rinnovabili a livello globale, di mobilitare fondi e avviare quei processi di riforma della finanza internazionale indispensabili per affrontare la crisi climatica, soprattutto per i paesi più vulnerabili. Anche la Presidente della Commissione ha ribadito la necessità di uscire dalle fonti fossili. Tra i paesi considerati abbastanza ambizioni per poter parlare al Summit mancava l’Italia. Così come manca la firma italiana alla dichiarazione della High Ambition Coalition, che vede 17 leader mondiali, tra cui 9 europei, esprimersi a favore di azioni climatiche coraggiose, tra queste l’uscita rapida dalle fonti fossili. L’assenza italiana da questi spazi è certamente un’opportunità mancata per il nostro Paese.

Nel suo intervento all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Presidente Meloni ha parlato di un mondo che vive in uno stato di costante emergenza, e in cui gli schemi del passato vanno superati per costruire un futuro più giusto per tutte le nazioni. In questo contesto, l’Italia vuole agire da ponte tra un nord e un sud globali divisi da disuguaglianze, partendo dal continente africano. La Presidente Meloni, facendo un chiaro riferimento al cambiamento climatico come uno tra i fattori che affliggono l’Africa e che spesso costringono le popolazioni a emigrare, ha rilanciato l’idea del Piano Mattei come possibile strumento di cooperazione per il continente. I dettagli del piano sono ancora sconosciuti, ma le aspettative sono alte, soprattutto se l’Italia vuole davvero offrire una proposta credibile ai suoi partner africani. Se, come giustamente ha affermato Giorgia Meloni, il clima contribuisce ad aggravare la situazione dei paesi africani, è lecito aspettarsi che il Piano Mattei voglia offrire una risposta adeguata, partendo proprio dal clima. Per una proposta valida si devono superare i modelli di cooperazione del passato, basati su economie dipendenti dalle fonti fossili, garantendo partenariati davvero innovativi costruiti sulle energie pulite e un piano di sviluppo industriale sostenibile e lungimirante, come del resto hanno chiesto i leader africani riunitisi a Nairobi in occasione del Summit sul clima africano dal 4 al 6 settembre. Di questo, e in particolare di investimenti nelle rinnovabili e della riforma della finanza internazionale, ne hanno discusso in un incontro a margine la Presidente Meloni e il Presidente del Kenya William Ruto.

Il mondo che si è riunito a New York e che si dà appuntamento a Dubai è un mondo che si sta trasformando rapidamente. Si registrano dinamiche internazionali nuove, segnate da importanti aperture: l’ingresso dell’Unione Africana nel G20 – incoraggiato dal governo italiano – e l’espansione dei BRICS a nuovi sei paesi, tra cui anche l’Egitto, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi che ospiteranno la COP. Segnali che indicano l’emergere di nuovi ordini e configurazioni di potere. Per questo, la riforma del sistema finanziario internazionale diventa ora un tassello fondamentale per rispondere alle esigenze di un mondo in evoluzione. I prossimi incontri della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, che si terranno a Marrakesh ad ottobre, si focalizzeranno proprio sulla necessità di aggiornare il sistema finanziario, cercando di risolvere la questione del debito, centrale per molti paesi africani (ma non solo), e permettendo ai paesi più vulnerabili un accesso più equo alla finanza per il clima.

In questo nuovo mondo, l’Italia potrà giocare un ruolo chiave, soprattutto a partire dalla presidenza del G7 nel 2024. Come espresso a più riprese dal Governo, l’Italia ambisce a posizionarsi proprio al centro di queste nuove dinamiche, come cerniera tra il vecchio mondo delle potenze occidentali di cui fa parte integrante e il nuovo mondo che avanza.

L’agenda internazionale del governo sembra testimoniare questa ambizione. Il grande assente dall’agenda politica del governo italiano rimane tuttavia il clima. La politica internazionale passa oggi attraverso il clima, come in una strettoia obbligata in cui non ci sono vie d’uscite ma solo manovre azzeccate per passare in modo ordinato e senza troppi danni alla carrozzeria. Che questo passaggio sia obbligato ce lo dice la presenza sempre più massiccia del settore privato e dell’industria petrolifera nei luoghi della diplomazia climatica, come le COP che negli anni hanno raccolto crescente attenzione dalla politica internazionale, dal settore privato e dai media, oltre alla società civile che ha da sempre presidiato questi temi. Il futuro del pianeta passa attraverso scelte di politiche energetiche e industriali, meccanismi di sviluppo e cooperazione e una riforma della finanza internazionale che prenda in considerazione il clima. Se l’Italia vuole presentarsi al mondo come un attore in grado di produrre risposte credibili e concrete deve partire dal clima, nelle politiche domestiche come in quelle internazionali.

I prossimi appuntamenti internazionali, il Vertice Italia-Africa di novembre e la COP28 di dicembre, saranno un ulteriore banco di prova, prima della presidenza G7 del 2024, per verificare la capacità del governo di saper interpretare gli sviluppi globali con la lente del cambiamento climatico, e produrre un’offerta di politica estera e cooperazione coerente.

 

Foto di Saj Shafique

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