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Case green: cosa chiede l’Europa, cosa può fare l’Italia

Giovedì 9 febbraio è prevista la prima votazione, in Commissione Industria, Ricerca ed Energia (Itre) del Parlamento Europeo, sulla nuova direttiva UE per l’efficienza energetica degli immobili. Il tema delle case green, nelle scorse settimane, ha generato un acceso dibattito nazionale. Tuttavia, molti argomenti utilizzati sono fondati su dati e informazioni confuse e imprecise, facciamo chiarezza.  

Due premesse. In primis, la direttiva Energy Performance of Buildings Directive (EPBD) è inserita all’interno del pacchetto “Fit For 55”. Strumento che nasce con l’obiettivo di allineare la normativa europea in materia di clima ed energia con la riduzione delle emissioni nette di gas ad effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990) e la necessità di accelerare il processo di transizione per conseguire la neutralità climatica entro il 2050. In secondo luogo, durante la sessione plenaria di marzo 2023, l’Europarlamento voterà la propria posizione finale sull’EPBD, e da quel momento avrà inizio il “trilogo”, ossia il negoziato tra le tre istituzioni (Commissione, Consiglio e Parlamento) per arrivare alla versione finale da approvare e pubblicare in Gazzetta Ufficiale.  

L’impostazione generale del testo è ormai definita, ma c’è ancora ampio spazio per l’avvio di un dibattito che entri nel merito di una questione – delle case green, ovvero la riqualificazione energetica degli immobili – di assoluta rilevanza politica, economica, sociale, oltre che climatica.  

L’Italia, paese inefficiente 

Com’è stato ampiamente riportato in questi giorni, il patrimonio edilizio italiano è particolarmente inefficiente e vetusto, con oltre il 65% degli immobili costruiti senza alcun criterio di risparmio energetico. Questo pesa sul fabbisogno energetico delle abitazioni – 2,5 volte superiore rispetto a quelle costruite con maggiori requisiti sull’efficienza energetica nel periodo 2016-2021 – e di conseguenza sulla domanda finale del settore, che è responsabile di quasi la metà dei consumi finali di energia e del 19% delle emissioni dirette. Senza contare l’elevata dipendenza dal gas naturale nel riscaldamento domestico, che espone fortemente le famiglie italiane ai rischi legati alla volatilità dei prezzi dei combustibili fossili, come abbiamo visto nel 2022 con l’aumento dei costi energetici. Con immobili in queste condizioni, una famiglia italiana tipo ha speso oltre 1.420 euro in più rispetto al 2021 – un incremento del 65% per la bolletta gas e del 108% per quella elettrica. A queste cifre possiamo anche aggiungere gli oltre 60 miliardi stanziati dal governo in maniera non selettiva come risposta alla crisi del costo del gas. Denaro pubblico che è riuscito a mitigare solo in parte i costi delle bollette. Secondo le stime di ENEA, avere un’abitazione in classe F comporterebbe un miglioramento delle prestazioni energetiche di circa il 35% rispetto alla classe G, e minore domanda di energia, primariamente di gas, si traduce in maggiore sicurezza energetica per le famiglie. 

La proposta europea 

Tra gli elementi principali di dibattito vi è l’introduzione di soglie minime di prestazione energetica da applicarsi a partire dagli edifici con prestazioni peggiori. La Commissione europea propone il raggiungimento di specifiche classi energetiche, indicando una traiettoria per la riqualificazione del parco immobiliare esistente: per gli edifici pubblici almeno la classe F entro il 2027 e la classe E entro il 2030; tre anni in più per gli edifici residenziali, entro il 2030 e 2033. Il tutto accompagnato da una riclassificazione delle classi energetiche: la classe G corrisponderà al 15% degli edifici con le prestazioni peggiori e la nuova categoria “A0” agli edifici a emissioni zero. Le restanti classi dovranno essere ricalcolate e ricalibrate dai singoli Stati Membri sulla base delle caratteristiche del patrimonio edilizio nazionale, assicurando una distribuzione uniforme e bilanciata dell’ampiezza delle singole fasce.  

Contrariamente a quanto riportato dai media nazionali, l’Europa non chiede di rinnovare il 60-75% degli oltre 12 milioni di edifici nei prossimi dieci anni, ma, secondo stime preliminari, solamente il 25-30%. Inoltre, non sono previste sanzioni o limitazioni in caso di non rinnovamento. L’eventuale decisione è demandata ai singoli Stati, ai quali è lasciato ampio margine di discrezionalità anche nella scelta di escludere dai requisiti in questione alcune tipologie edilizie, quali edifici storici o vincolati.  

Le opportunità per l’Italia: le case green

Parlando di misure di sostegno all’edilizia in edilizia, l’Italia rappresenta un esempio avanzato a livello europeo seppur con meccanismi ancora inefficaci e di incerta sostenibilità economica, che necessitano una revisione. Nonostante l’Italia incentivi le riqualificazioni da oltre un decennio – spenderemo nei prossimi tre anni circa 18 miliardi anno di risorse pubbliche in bonus -, il trend attuale di riduzione delle emissioni non è sufficiente a raggiungere gli obiettivi al 2030, secondo le stime di ISPRA che includono gli impatti del Superbonus e del PNRR. Anche il Superbonus, che a fine 2022 ha finanziato interventi per 62 miliardi, ha generato risultati troppo scarsi in termini di abbattimento delle emissioni, soprattutto se paragonati all’impatto sulla spesa pubblica. Fino ad oggi la maggior parte dei risparmi è stata ottenuta grazie all’efficienza tecnologica – elettrodomestici e caldaie più efficienti, illuminazione a LED -, ora serve andare in profondità. Misure non indirizzate all’efficienza energetica, come il “Bonus Casa”, che nel 2023 graverà sul bilancio pubblico per oltre 9 miliardi, funzionano a rilanciare un settore in crisi e combattere l’evasione fiscale e il lavoro “nero”, ma non contribuiscono significativamente alla riduzione dei consumi. Si possono quindi discutere gli obiettivi, gli strumenti e i criteri proposti a livello europeo, ma non la necessità di definire una traiettoria di medio-lungo termine. Essa costituisce requisito essenziale per rimettere ordine a un sistema di incentivi eterogeneo che soffre di instabilità temporale, moltiplicazione e frammentazione normativa e debole efficacia. Ed è proprio di questa semplicità, stabilità e sicurezza normativa che hanno bisogno cittadini, imprese e investitori per rendere la riconversione edilizia un’opportunità di crescita e di sicurezza energetica. I consumi del settore civile si sono ridotti troppo lentamente così come le emissioni (-2% nel periodo 1990-2020). Il dibattito dovrebbe concentrarsi su come migliorare questi meccanismi, rendendoli più accessibili alle famiglie a basso reddito, sostenibili per le finanze pubbliche ed efficaci nella riduzione delle emissioni.  

Già oggi, senza l’EPBD, basse prestazioni energetiche incidono in maniera significativa sul valore di mercato dell’immobile, e i prezzi energetici del 2022 non hanno che accentuato questo processo di svalutazione. Un piano pluriennale di incentivazione pubblica, che includa un fondo specifico per l’edilizia sociale pubblica – utilizzando per esempio le risorse destinate alla rigenerazione urbana del PNRR (3,3 miliardi) -, è garanzia contro la povertà energetica e l’inasprimento delle diseguaglianze sociali. Senza obiettivi chiari e condivisi, solamente le classi più ricche avranno la capacità economica di investire in riqualificazioni edilizie, assicurandosi sicurezza energetica e valorizzando il proprio patrimonio immobiliare.  

Photo by PhotoMIX Company

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