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Uno nuovo schema di incentivi alla domanda per una politica industriale dell’auto elettrica Made in Italy

Uno nuovo schema di incentivi alla domanda per una politica industriale dell’auto elettrica Made in Italy.

Elon Musk è sceso a Roma nei giorni scorsi per parlare con il Governo di intelligenza artificiale, natalità, regole di mercato europee, e di affari. Il contesto che ha trovato è quello di un Paese tra gli ultimi in Europa per nuove immatricolazioni di auto elettriche. Con buona probabilità gli avranno detto che in Italia prima di pensare all’elettrico serve svecchiare l’enorme parco auto nazionale (675 auto ogni 1000 abitanti contro una media europea di 570) con veicoli diesel e benzina più moderni.  

A questo scopo, l’Italia ha intenzione di continuare con un programma di incentivi alla domanda per auto elettriche, ibride e tradizionali, con l’idea di spostare una quota delle rimanenze del 2022 destinate all’auto elettrica – parliamo di diverse decine di milioni di euro – verso le tradizionali auto a combustione. Questo mentre Stellantis sottolinea l’inadeguatezza dello schema di incentivi italiano a sostegno dell’elettrico 

Ma non solo. Come noto, l’obiettivo dichiarato del Governo è soprattutto quello di portare l’Europa a modificare il nuovo Regolamento sugli standard di CO2 delle auto, che prevede il bando dei veicoli a motore endotermico entro il 2035. Questo per salvare il settore automotive italiano, se non l’intera industria automotive europea, dal dominio cinese sulle tecnologie per l’elettrico, grazie ai biocarburanti, salvo considerare la fattibilità e gli impatti di questa soluzione 

Rimane il dubbio che il capo di Tesla, che è sovranazionale per vocazione e non tecnologicamente neutro per DNA, sia d’accordo che questa possa essere una strategia vincente per l’Italia nel quadro delle profonde trasformazioni dell’industria automotive mondiale. Quel che è certo è che una volta volato a Parigi per incontrare Macron, ha trovato un contesto politico e strategico sulla mobilità elettrica ben diverso da quello Italiano. 

La strategia francese sull’elettrico 

Nelle decisioni di politica climatica della UE e nelle spinte di mercato che ne sono derivate per la transizione alla mobilità elettrica, i francesi hanno visto l’opportunità di un nuovo piano industriale strategico per l’auto. In questo percorso, la Francia ha via via adottato politiche di sostegno efficaci, sia per stimolare e rafforzare l’offerta, occupandosi anche delle filiere della componentistica, sia per incrementare la domanda, incentivando in modo mirato l’acquisto di veicoli elettrici a zero emissioni. Lo stesso hanno fatto i tedeschi, dove peraltro Musk ha già deciso di aprire una giga-factory integrata, e gli spagnoli, che hanno impegnato parte dei fondi del PNRR nella conversione all’elettrico delle tradizionali filiere automotive, attirando ulteriori investimenti miliardari di Volkswagen. 

L’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, ha più volte sottolineato che l’auto elettrica avrà successo solo quando i lavoratori che la producono potranno acquistarla. La proposta allo studio del Governo francese di un programma di social leasing per l’auto elettrica sembra sposare questa visione. Il programma riguarda infatti un piano di incentivi alla domanda di veicoli elettrici per i redditi bassi, associato a una strategia di politica industriale per lo sviluppo di una filiera di produzione europea – a trazione francese – di utilitarie elettriche a costo competitivo.  

Il programma è in via di elaborazione nel quadro del piano industriale verde presentato dal Ministro delle finanze Le Maire a maggio, per il quale gli aiuti di stato erogati come incentivi a favore dell’auto elettrica sarebbero soggetti a condizionalità ambientali, in pieno spirito europeo. I criteri adottati prendono in considerazione l’intensità carbonica dei componenti che compongono un’auto (acciaio, batteria) e il tasso di riciclo dei materiali utilizzati. Secondo il governo francese, questo principio non sarebbe lesivo delle regole del WTO, in quanto non si verrebbero a creare le condizioni di violazione per barriere all’ingresso a prodotti di importazione, che siano cinesi o americani, a patto che siano compliant con i criteri previsti.  

All’Italia serve una nuova politica industriale per l’auto 

Anche senza considerare la grandeur, l’approccio francese va nella giusta direzione: legare le politiche climatiche a nuove politiche industriali verdi. Sull’auto, e non solo, l’Italia è certamente in ritardo, e certo non solamente per colpa di questo Governo. Ma essere in ritardo non significa che cominciare a fare sul serio sia inutile.  

La produzione di auto italiana va ristrutturata e rilanciata sull’elettrico, portandosi dietro tutta la filiera di componentistica nazionale che a sua volta potrà servire anche altri mercati europei. Lo sviluppo di nuove filiere di produzione delle batterie, insieme a soluzioni per il riciclo delle stesse a fine vita, devono fare parte di un nuovo piano industriale per l’auto. Così come ne dovrà far parte un piano strategico di sviluppo di una filiera per la raffinazione e il riciclo dei materiali necessari a sostenere questa trasformazione. Il tutto accompagnato da una strategia di approvvigionamento di materiali critici, che consideri sia le opportunità sul territorio sia le forniture estere nel quadro del multilateralismo europeo e del G7 

Per quanto sia conveniente investire in ciascuna di queste filiere, si possono dare delle priorità. In questo senso, con Stellantis va aperto un tavolo di confronto per un piano strategico di conversione delle linee produttive dei modelli tradizionali ancora oggi in produzione in Italia verso piattaforme innovative per modelli elettrici. Quello che è stato fatto a Mirafiori per la 500e, può essere replicato a Pomigliano per la Panda elettrica, facendola rimanere il modello di utilitaria più venduto in Italia, e poi a Melfi e a Termoli per gli altri marchi del gruppo.  

Le scelte tecnologiche per questa conversione devono guardare all’innovazione, favorendo sia la ricerca pubblica e sia quella privata, con l’obiettivo di eliminare rischiose dipendenze per l’approvvigionamento di materiali critici. Tecnologie per motori asincroni che non richiedono terre rare sono già disponibili e di serie su diversi modelli. Propulsori di nuova generazione sono in fase avanzata di sviluppo. Lo stesso vale per batterie ad alta capacità senza cobalto, già in via di sviluppo industriale. La ricerca corre e i fondi PNRR assegnati al Centro nazionale per la mobilità sostenibile dovrebbero essere investiti anche a questi scopi, chiamando a raccolta le migliori esperienze internazionali. 

Uno schema di incentivi ambizioso e tutto elettrico  

Per essere credibile e attrarre investimenti, una strategia per il rilancio del settore automotive deve adottare nuove politiche industriali di cambiamento tecnologico associate a politiche per la domanda che siano coerenti con questo obiettivo. In questo senso, lo schema di incentivi all’acquisto definito nel DPCM  6 aprile 2022 – nel quale si sostiene sia l’innovazione, sia la conservazione – va rivisto, per concentrare tutte le risorse disponibili a esclusivo sostegno del mercato per auto a zero emissioni. Il tutto inserito in una programmazione pluriennale in grado di offrire certezza ai consumatori, ai produttori e agli investitori.  

I dati del mercato dell’auto in Italia incrociati con l’andamento della spesa per incentivi evidenziano come la fascia di veicoli con emissioni comprese tra 61 e 135 gCO2/km, attualmente incentivata dal Decreto, è dominante anche in assenza di stimolo alla domanda. Spendere soldi pubblici per favorire una tecnologia che non contribuisce in alcun modo alla mitigazione della crisi climatica manda un segnale negativo agli investitori, sempre più attenti a investire in aziende e settori di Paesi che adottano politiche economiche e industriali allineate con le politiche climatiche. 

Oltre agli incentivi all’acquisto di veicoli tradizionali nella fascia 61-135 gCO2/km, vanno eliminati dal Decreto anche quelli per le auto nella fascia 21-60 gCO2/km, in cui ricadono i modelli ibridi plug-in (PHEV), come accade già oggi in Germania e Francia. In Italia questi veicoli sono incentivati con una dotazione di fondi addirittura superiore a quella dei veicoli elettrici puri (BEV) e con un tetto di prezzo d’acquisto più alto (45.000 € per le PHEV contro i 35.000 € per le BEV).  

Certo, queste auto costano di più, ma emettono anche molto di più. Per un veicolo PHEV le emissioni in ciclo di guida reale sono molto superiori a quelle riportate dai test di omologazione. Questo perché l’utilizzo in modalità elettrica di questi veicoli è mediamente basso (45-49% per auto ad uso privato e 11-15% per auto aziendali). I parametri riferiti al ciclo di guida reale, vengono utilizzati per la contabilità ufficiale delle emissioni, elaborate da ISPRA per IPCC, per misurare gli obiettivi di decarbonizzazione dei trasporti nel Paese. Secondo i dati ISPRA, nel 2021 le emissioni medie dei veicoli PHEV sono state pari a 135 gCO2/km, oltre il doppio della fascia di emissioni di riferimento del Decreto per gli incentivi alla domanda delle PHEV. 

Per dare un chiaro segnale al mercato, il Decreto incentivi andrebbe riformato allocando tutti i fondi rimanenti esclusivamente per veicoli a zero emissioni. Con una maggiore disponibilità di fondi, lo schema di incentivi può essere rimodulato per stimolare maggiormente la domanda di veicoli elettrici, adottando principi di progressività correlati alle scelte di consumo. Con focus sull’auto, uno schema coerente con questa strategia potrebbe riferirsi ai seguenti criteri:  

  • incentivi alla domanda esclusivamente a veicoli M1 nella fascia di emissioni 0-20 gCO2/km; 
  • incremento del valore unitario degli incentivi erogati (ad esempio, riportandoli a livello dello schema 2021 – 6.000 € con rottamazione, 4.000 € senza rottamazione -, o superiore); 
  • eliminazione dei vincoli di categoria EURO per le rottamazioni; 
  • incremento del costo di acquisto ammissibile (ad esempio, pari a quello previsto oggi per i veicoli PHEV (45.000 €);  
  • premialità per l’acquisto di veicoli a maggiore efficienza energetica (ad esempio, per consumi pari o inferiori a 16 kWh/100 km in ciclo combinato WLTP, tipico delle utilitarie); ovvero di dimensioni ridotte; ovvero appartenenti ai segmenti A e B; 
  • premialità  a sostegno delle persone fisiche con redditi medi e bassi sulla base delle dichiarazioni ISEE; ovvero uno schema di social leasing sul modello francese; 
  • estensione degli incentivi a sostegno delle infrastrutture di ricarica private e domestiche.  

L’orizzonte temporale del nuovo decreto dovrebbe andare oltre il 2024, prevedendo revisioni annuali dello schema in funzione dell’andamento del mercato, dei modelli emergenti e del costo dei veicoli. 

Riformare la fiscalità dell’auto con focus sulle flotte aziendali 

In parallelo a uno schema di incentivi per gli utenti privati è prioritario intervenire anche con una riforma delle politiche fiscali per le flotte aziendali orientata a favorire l’adozione di veicoli a zero emissioni. Considerando anche le varie forme di noleggio, questi veicoli rappresentano una quota importante delle immatricolazioni di nuove auto in Italia e sono in crescita tendenziale. Ma soprattutto percorrono mediamente 2,25 volte i km percorsi dai normali utenti privati. L’effetto diretto di flotte aziendali elettriche sarebbe quello di una sensibile e rapida riduzione delle emissioni della mobilità privata su strada.  

Inoltre, data la rotazione media del parco delle flotte aziendali, in media 36 mesi, una riforma fiscale in questa direzione favorirebbe il rapido sviluppo di un mercato dell’usato elettrico garantito, allargando l’opportunità di accesso a questa tecnologia a una più ampia fascia di cittadini.  

Una nuova politica industriale per l’auto nel PNIEC 

Queste riforme, accompagnate da una solida governance per una nuova strategia industriale per l’auto, elaborata in un quadro di meccanismi collaborativi tra agenzie governative e stakeholder, dovrebbe trovare spazio nelle politiche di riferimento per l’aggiornamento del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC). Legare le politiche economiche e industriali alle politiche climatiche faciliterebbe l’apertura di spazi di dialogo con l’Unione europea per il reperimento delle risorse aggiuntive necessarie alla loro implementazione. 

In questo quadro, oltre a fugare gli ultimi dubbi di Musk, anche Stellantis potrebbe avere maggiore interesse a ricalibrare le sue strategie di investimento in Italia, prevedendo di integrare le filiere italiane con quelle d’oltralpe per l’obiettivo dichiarato di 100% di produzione elettrica al 2030 per tutti i marchi del Gruppo, anche negli stabilimenti italiani.  

Photo by Olga Vunder

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