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La Direttiva europea sulla sostenibilità aziendale (Due Diligence) è uno strumento cruciale per la transizione

A livello europeo è in corso di approvazione una nuova Direttiva che, se approvata nella sua attuale formulazione, rappresenta “un vero e proprio game-changer nel modo in cui le imprese esercitano la propria attività attraverso l’intera supply chain globale” (Commissario europeo alla Giustizia Didier Reynders). La Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD) mira, infatti, a proteggere i diritti umani e gli impatti ambientali, generati dalle aziende europee lungo l’intera catena del valore, generando un impatto significativo anche sui paesi extra-EU in cui le imprese operano attraverso le loro filiere.  

Insieme ai regolamenti esistenti e ad altre iniziative normative come la Direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità delle imprese (Corporate Sustainability Reporting Directive o CSRD) e il Regolamento UE sulla Tassonomia, la CSDDD – parte del Green Deal europeo – rappresenta un ulteriore passo avanti verso la definizione di un business sostenibile. In linea con quanto indicato nella CSRD, la Direttiva richiede alle aziende europee di sviluppare piani di transizione che siano allineati all’obiettivo europeo 1.5. Ovvero limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C, come stabilito nell’Accordo di Parigi e raggiungere la neutralità climatica al 2050.  

La CSDDD influenzerà le strategie e gli investimenti delle imprese incoraggiando una transizione più rapida verso un’economia globale a basse emissioni di carbonio. Ciò sia in via diretta attraverso un assetto di governance dedicato a tale obiettivo, sia in via indiretta attraverso l’azione di stimolo e controllo degli investitori istituzionali.  

Tali investitori istituzionali, come fondi pensione, compagnie assicurative e fondi sovrani, hanno un’influenza significativa sulle imprese in cui investono. Essi possono utilizzare il loro potere di voto nelle assemblee degli azionisti e il loro peso finanziario per incentivare le imprese a implementare pratiche sostenibili e ad aderire alla CSDDD, rappresentando per questo un fattore chiave per il successo della Direttiva. Gli investitori istituzionali hanno da sempre esercitato una notevole influenza sulla strategia, le azioni e il finanziamento della due diligence e degli sforzi di sostenibilità delle imprese in cui investono. Spesso sono i principali azionisti delle aziende quotate in borsa, beneficiando di dividendi e riacquisti di azioni e utilizzando il loro potere di voto, che influenzano gli organi decisionali delle aziende, non solo per aumentare il valore per gli azionisti, ma anche per gestire il business in un’ottica di sostenibilità. 

Nella sua attuale formulazione, la Direttiva richiede agli investitori europei (e non) di svolgere le attività due diligence non solo sulle aziende in cui essi investono, ma, indirettamente, anche sui fornitori e sui clienti di queste ultime. Potrà, infatti, essere richiesto alle imprese di rendere conto delle loro politiche e azioni relative alla sostenibilità e alla responsabilità sociale, si potranno richiedere informazioni dettagliate sulle catene del valore globali e sulle misure di due diligence adottate per mitigare gli impatti negativi. Dovranno essere integrati criteri di valutazione ESG nelle proprie decisioni di investimento incoraggiando una sempre maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale delle imprese e indirizzando i flussi di capitale verso una corretta transizione. Il diretto coinvolgimento degli investitori è la leva per spingere le imprese a migliorare le proprie prestazioni ambientali e sociali e a rendere pubbliche le informazioni relative alla sostenibilità.  

 

Cosa richiede la Corporate Sustainability Due Diligence Directive di preciso alle aziende? 

Al fine di adempiere all’obbligo di due diligence aziendale, alle imprese europee viene richiesto di adottare una serie di misure che consentiranno di dimostrare il proprio impegno per la responsabilità sociale e ambientale e il rispetto dei diritti umani nel loro operato. Di seguito, le principali attività richieste:  

1.Integrare le politiche aziendali 

La Direttiva richiede che le politiche aziendali prevedano lo svolgimento di attività di due diligence, garantendo che esse siano parte integrante delle decisioni aziendali e strategiche. 

2.Identificare gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente 

Le imprese sono chiamate a condurre un’analisi e una valutazione accurata (due diligence) per individuare gli impatti negativi – effettivi o potenziali – delle proprie attività, lungo tutta la catena di fornitura. Questo garantirà il rispetto delle convenzioni internazionali, ad oggi in essere, volte alla protezione sia dei diritti umani che dell’ambiente.   

3.Prevenire o mitigare gli impatti negativi potenziali 

Sulla base dei risultati delle attività di due diligence, le imprese sono tenute ad adottare misure preventive o mitigative per ridurre al minimo gli impatti negativi delle proprie attività. Tali misure dovranno essere adeguate sulla base della gravità, della probabilità di accadimento, della priorità e delle misure disponibili all’azienda dei diversi impatti.  

4.Porre fine o ridurre al minimo gli impatti negativi effettivi 

Le imprese dovranno adottare le misure necessarie per mettere fine o ridurre al minimo gli impatti negativi che già si verificano a seguito delle proprie attività. 

5.Stabilire e mantenere una procedura per la gestione dei reclami 

Le imprese devono istituire un meccanismo efficace per consentire a tutte le parti interessate di presentare eventuali reclami relativi a presunti impatti negativi delle loro attività, garantendo una gestione tempestiva e adeguata. 

6.Monitorare l’efficacia della politica e delle misure di due diligence 

Le imprese devono stabilire un sistema di monitoraggio volto alla valutazione dell’efficacia delle politiche e delle misure di due diligence adottate, al fine di identificare eventuali lacune e apportare miglioramenti continui. 

7.Comunicare pubblicamente sulla due diligence 

Le imprese devono rendere pubbliche le informazioni relative alla loro politica e alle misure di due diligence adottate, consentendo una maggiore trasparenza e responsabilità nei confronti delle parti interessate. 

Le autorità amministrative nazionali designate dagli Stati Membri saranno responsabili della supervisione di queste nuove norme e potranno applicare sanzioni in caso di mancato rispetto. Inoltre, grazie alla Direttiva, le eventuali vittime delle attività delle aziende avranno ora la possibilità di intraprendere azioni legali per danni che potrebbero essere stati evitati con adeguate misure di due diligence. 

 

L’ambito di applicazione della Direttiva 

I criteri dimensionali definiti dalla CSDDD per la definizione della aziende affette dalla Direttiva, non si discosta in linea generale, da quelli espressi nella CSRD. La Direttiva, infatti, si applicherà a un’ampia gamma di aziende (finanziarie e non finanziarie), con sede in Europa ed extra-EU, con l’obiettivo di raggiungere dei risultati a livello globale.  

Sono soggette alla Direttiva Due Diligence le seguenti categorie di aziende: 

  • Le società dell’UE con più di 250 dipendenti in media e un fatturato netto mondiale superiore a 40 milioni di euro nell’esercizio finanziario precedente all’ultimo esercizio. 
  • Le società dell’UE che sono capogruppo di un gruppo con 500 dipendenti e un fatturato netto mondiale superiore a 150 milioni nell’ultimo esercizio finanziario. 
  • Le società non EU che hanno generato un fatturato mondiale superiore a 150 milioni di euro, di cui almeno 40 milioni di euro nell’Unione Europea nell’esercizio finanziario precedente all’ultimo esercizio finanziario.  
  • Le società non EU che sono capogruppo di un gruppo con 500 dipendenti e un fatturato mondiale superiore a 150 milioni e almeno 40 milioni sono stati generati nell’Unione nell’ultimo esercizio per il quale sono stati redatti i bilanci annuali. 

 

Le difficoltà dell’iter approvativo e i prossimi passi 

Il 1 giugno scorso, il Parlamento europeo ha votato in plenaria per l’approvazione della CSDDD. Durante la votazione, si sono manifestate diverse posizioni tra i membri del Parlamento, riflettendo l’importanza e la complessità del tema della responsabilità delle imprese per la sostenibilità. Il risultato finale della votazione ha evidenziato il sostegno della maggioranza alla Direttiva, con 366 voti favorevoli, ma anche una significativa opposizione, con 225 voti contrari (38, invece, gli astenuti).  

Nel contesto italiano, la posizione dei rappresentanti parlamentari è stata particolarmente divisiva: 27 europarlamentari italiani dei partiti progressisti e liberali hanno espresso il loro sostegno alla Direttiva mentre 30 europarlamentari appartenenti ai partiti politici italiani di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega, hanno espresso voto contrario. Questa divisione di opinioni riflette il dibattito in corso in Italia e all’interno dei partiti politici sulla direzione e l’ambito dell’azione normativa in materia di responsabilità delle imprese. 

Tra i principali emendamenti che sono stati approvati in sede di plenaria dall’Europarlamento troviamo quello relativo alla cancellazione dell’Articolo 26, che stabilisce l’obbligo per gli amministratori delle società di istituire e sorvegliare l’attuazione di processi e misure di diligenza in materia di diritti umani e ambiente e di adeguare di conseguenza la strategia aziendale. Gli amministratori, però, rimangono comunque responsabili della supervisione degli obblighi richiesti dalla CSDDD relativamente ai cambiamenti climatici (Articolo 15). Le società sono tenute ad adottare un piano atto a garantire che il modello di impresa e la strategia aziendale siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile e in conformità con i principi dell’accordo di Parigi. Inoltre, lo stesso Articolo prevede che i manager aziendali ricevano una remunerazione variabile anche in base al raggiungimento degli obiettivi climatici previsti dai precedenti piani. Un ulteriore incentivo all’adozione di pratiche sostenibili. 

Dopo l’approvazione della posizione del Parlamento europeo, i rappresentanti degli Stati Membri avranno l’opportunità di esprimere le loro posizioni e influenzare l’esito finale della Direttiva attraverso il processo legislativo dei ‘triloghi’, durante il quale le istituzioni dell’Unione europea (Parlamento, Commissione e Consiglio) si riuniranno per discutere e negoziare gli aspetti tecnici e le possibili modifiche al testo della Direttiva.  

Una volta concluso il confronto tra le tre istituzioni e raggiunto un accordo definitivo, la Direttiva dovrà essere trasposta nella legislazione nazionale degli Stati Membri entro 2 anni dall’entrata in vigore della Direttiva, prevista per il 2024. In questo frangente, le autorità nazionali avranno la possibilità di adattare le disposizioni della Direttiva alle specificità del contesto locale, assicurando un’attuazione coerente e aderente alla realtà del paese. Ciò implicherà un coinvolgimento dei vari stakeholder, tra cui le imprese, le organizzazioni della società civile e gli esperti del settore, per garantire una trasposizione efficace ed equilibrata della Direttiva nella legislazione nazionale. 

Nel corso del processo approvativo della CSDDD gli ostacoli e le opposizioni sono molteplici e insidiosi. Il rischio di un suo svuotamento sostanziale rimarrà a lungo dietro l’angolo. Questa Direttiva rappresenta tuttavia un tassello strategico del Green Deal europeo e sarà decisivo che, fin dai prossimi mesi, gli attori della finanza sostenibile, le organizzazioni della società civile e la politica a favore di una transizione ordinata verso una società più equa e sostenibile, esercitino con efficacia il proprio ruolo di indirizzo e di vigilanza anche su questo terreno.

Photo by Karolina Grabowska

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