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Politiche per la trasformazione industriale: il caso del cemento

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Per la sua rilevanza economica (15% del PIL) ed emissiva (22% delle emissioni nazionali), il settore della manifattura nazionale deve poter impostare un percorso di sviluppo nell’ambito della decarbonizzazione e il quadro normativo e di pianificazione dovrebbe facilitare questo cambiamento.

Esiste un’opportunità strategica nell’inquadrare le prospettive dello sviluppo industriale del Paese dentro il percorso di riduzione delle emissioni di gas serra.

La trasformazione industriale implica la necessità di declinare le politiche con maggiore dettaglio settoriale, ivi compresi i non energivori e le PMI, in modo che queste possano portare effetti sia nel breve (2030) che nel lungo termine, in prospettiva 2050, nel complesso dell’ecosistema industriale nazionale e delle sue caratteristiche.

Lo studio che segue propone un tale approfondimento settoriale per quello che riguarda la produzione nazionale di cemento con un’analisi integrata delle misure e politiche attive sul settore.

L’Italia è il secondo produttore di cemento nell’Unione Europea dopo la Germania, nonostante un calo del 60,7% rispetto ai volumi del 2006. L’Italia è anche un importante Paese consumatore di cemento e di calcestruzzo. Negli ultimi anni sono cresciute molto le importazioni di cemento e clinker, soprattutto da Paesi del Mediterraneo extra-Ue (Turchia, Tunisia, Algeria).

Nonostante i processi di concentrazione dell’industria del cemento degli ultimi dieci anni, i margini di profitto dei principali operatori nazionali rimangono limitati rispetto agli investimenti necessari per la decarbonizzazione dei processi di produzione del cemento.

Le emissioni dirette per la produzione di cemento pesano per il 3% delle emissioni nazionali e per il 15% delle emissioni relative all’industria manifatturiera. I due terzi delle emissioni dirette del settore sono il risultato delle emissioni di processo generate durante la fase di calcinazione. Il rimanente terzo è il risultato della combustione di fonti energetiche principalmente fossili, in particolare pet coke, durante la fase di produzione del clinker.

Le emissioni di CO₂ sono diminuite in misura consistente nel corso degli ultimi 15 anni (-61%), ma più come risultato della riduzione della produzione nazionale di cemento, a cui sono strettamente correlate. Negli ultimi anni, infatti, l’intensità emissiva è rimasta pressoché costante, di circa 0.7 tCO2/tcemento[1].

Viste queste complessità, una strategia per la riduzione delle emissioni dirette del settore del cemento deve incentrarsi attorno ad una molteplicità di soluzioni che possono essere attuate nel tempo. Alcune di queste sono attuabili nel breve periodo, come lo sfruttamento di combustibili alternativi al pet-coke e la diminuzione del rapporto clinker-cemento, anche mediante l’incentivazione all’utilizzo di inerti recuperati. La difficoltà maggiore resta la riduzione delle emissioni derivanti dal processo chimico che dal calcare porta al clinker e per tali emissioni non sono ancora mature soluzioni tecnologiche risolutive, per cui occorre impostare una strategia di finanziamento, ricerca e sviluppo che possa offrire in prospettiva 2050 le necessarie soluzioni tecnologiche per il settore.

Sono fondamentali le politiche di sostegno dell’offerta per i CapEx che le imprese produttrici dovranno sostenere in merito all’installazione di impianti CCUS, ma anche quelle che rendano sostenibili i costi operativi di gestione degli impianti alimentati con combustibili alternativi. Allo stesso tempo, vanno disegnate politiche di sostegno alla domanda per ridurre i consumi di cemento in volumi e creare un mercato (europeo e nazionale) dei prodotti di cemento a minor impatto emissivo.

L’Italia è ancora in ritardo rispetto alla formulazione di una strategia industriale di decarbonizzazione del comparto cemento e nemmeno all’interno del Piano Nazionale Energia e Clima si è individuato uno spazio per identificare la questione in modo organico. Alcune misure devono essere rafforzate (come i CAM), altre possono essere attivate.

Per questa ragione, come visto anche per il settore dell’acciaio, risulta necessario concepire un insieme di politiche industriali a cui assegnare diversi gradi di priorità e da coordinare nella loro esecuzione. Le politiche di sostegno all’offerta dovrebbero aggredire i costi di investimento e prevedere un sostegno ai costi energetici da consumo di gas naturale (e di elettricità). In contemporanea, si devono introdurre meccanismi regolatori, di incentivo e di protezione dal lato della domanda, per favorire lo sviluppo di un mercato che possa costituire uno sbocco alle più costose produzioni di cemento ‘verde’.

Alla luce del complesso quadro normativo costruito intorno agli obiettivi energia e clima, l’analisi che segue propone un quadro semplificato e aggregato per strutturare politiche coerenti con la transizione verso la neutralità climatica e un’analisi delle politiche correnti.

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NOTE

[1] Rapporti di sostenibilità Federbeton.

 

Foto di Patrick Hendry

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