Si è tenuto lunedì, 29 gennaio 2024, il Summit Italia-Africa, atteso da molti in quanto occasione designata dalla Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni per annunciare le linee guida del Piano Mattei per lo sviluppo del continente africano.
Solidità del Governo sul fronte internazionale
Dal punto di vista istituzionale, la presenza di 46 Stati africani, delle principali organizzazioni internazionali, istituzioni finanziarie internazionali e Banche multilaterali per lo sviluppo, nonché dei vertici dell’Unione europea, offre segnali positivi rispetto al convening power del Governo, e sul suo posizionamento internazionale. In particolare, considerata la necessità di inquadrare il Piano Mattei nella dimensione multilaterale ed europea, la presenza delle maggiori cariche europee – la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola e il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel – è certamente un segnale positivo.
Complice anche la Presidenza italiana del G7, l’Italia ha confermato il forte mandato politico verso il continente africano, che ha infatti portato a trasformare una conferenza ministeriale in un Summit ai più alti livelli, e che rappresenta appunto anche una delle priorità per il mandato G7 di Roma.
Ambiguità del Piano Mattei
Al di là del piano più istituzionale e di rappresentanza del Vertice, è difficile dare un giudizio complessivo del Piano Mattei. Il Summit non ha fatto emergere elementi radicalmente nuovi rispetto a quanto già era trapelato negli scorsi mesi: il Piano rappresenterà una piattaforma di cooperazione aperta e co-partecipata dai Paesi africani, basata nelle intenzioni su: un approccio paritario, non predatorio e non caritatevole, con l’obiettivo di contribuire alla crescita dell’Africa grazie alle proprie risorse attraverso progetti e strategie innovativi.
Senza clima non può esserci sviluppo
Questa nuova pagina delle relazioni con l’Africa che il Governo si propone di scrivere, sembra mancare proprio di innovazione. Una strategia per l’Africa che possa davvero essere veicolo di sviluppo e che rappresenti un’evoluzione dei rapporti con il continente, non può escludere il clima, dimensione che nel Summit è stata affrontata solo marginalmente. Infatti, oggi, qualsiasi Piano di sviluppo non può escludere il tema clima. Questo vale ancor di più per una regione come quella africana, caratterizzata da un elevato rischio climatico, spesso causa di instabilità che va ad alimentare quei fenomeni migratori che l’Italia vorrebbe contenere. Trascurare il clima significa inoltre non cogliere le grandi opportunità offerte da investimenti nelle tecnologie della transizione energetica e industriale.
L’elefante nella stanza: lo sfruttamento delle fonti fossili
Accanto all’assenza del clima, è emersa invece in modo abbastanza evidente – seppur non sia stata fatta nessuna menzione esplicita – la dimensione delle fonti fossili (Oil&Gas). Con buona probabilità, infatti, il Piano rischia di generare nuovi partenariati energetici basati proprio sulle fonti fossili. Un approccio lungi dall’essere innovativo e funzionale per la crescita dei Paesi africani, per i quali investire (e legare il proprio debito) a gas, petrolio e carbone è sempre più un rischio; un passo indietro rispetto a una crescita sostenibile, inclusiva e stabile, data la volatilità dei mercati internazionali e le traiettorie di decarbonizzazione intraprese dall’Italia e dall’Europa vincolate dagli impegni climatici internazionali.
Alla ricerca del clima?
Alla COP28, Meloni aveva alzato l’ambizione italiana sul clima, annunciando un’allocazione di 100 milioni di euro per il neonato fondo per le Perdite e i Danni (Loss and Damage) e un nuovo contributo di 300 milioni di euro per il Green Climate Fund, e impegnando l’Italia rispetto ai target sulle energie rinnovabili, l’efficienza energetica e l’uscita graduale (transitioning away) dalle fonti fossili.
Tuttavia, questa ambizione su clima e energia mostrata da Giorgia Meloni alla Cop28 non si è vista al Summit Italia-Africa; non sono emerse priorità chiare in materia di energia legate agli obiettivi di decarbonizzazione, né una strategia definita su come supportare il continente nell’uscita dalle fonti fossili. Più in generale, sembra mancare la consapevolezza della centralità della dimensione climatica come parte integrante e non derubricabile delle politiche che l’Italia porta avanti a largo spettro – iniziando proprio dalla politica estera.
Clima e migrazione
Assente al Summit anche un chiaro riferimento all’impatto del clima sulle migrazioni, cui si è accennato soltanto con riferimento alla questione della scarsità idrica, e al rischio che questa generi conflitti e aumenti flussi migratori. L’impatto del cambiamento climatico sui flussi migratori rappresenta un fattore sempre più centrale, come peraltro riconosciuto anche dalla Segretaria Generale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, che ha recentemente dichiarato che “i cambiamenti climatici ormai causano più movimenti di persone dei conflitti”.
Il nesso tra clima-migrazione e il nesso tra clima e sviluppo, sottolineati anche nell’ambito della Conferenza Internazionale su Migrazione e Sviluppo organizzata dalla stessa Meloni lo scorso luglio 2023, rappresentano infatti dimensioni fondamentali per un approccio realistico e integrato rispetto al continente africano – tanto più per una strategia come il Piano Mattei, che ambisce a promuovere prosperità e sviluppo con l’obiettivo di lungo termine di diminuire i flussi migratori verso l’Europa.
Un’ambiguità di fondo su energia
L’energia si conferma pilastro centrale del Piano Mattei. Ad oggi, oltre il 71% delle importazioni italiane dal continente africano sono rappresentate da prodotti energetici e l’Africa nel 2023 è stato il primo partner energetico dell’Italia. La Premier ha insistito ancora una volta sull’ambizione di rendere l’Italia un “hub energetico” tra Europa e Africa, sostenendo progetti volti tanto all’uso interno quanto all’esportazione, al fine di garantire nuove forniture energetiche all’Europa e insieme sostenere lo sviluppo in Africa. Anche le dichiarazioni dell’AD di Eni Claudio Descalzi, presente al Summit, lasciano intendere che l’abbondanza di risorse energetiche del continente sarà centrale per assicurare la sicurezza energetica in Italia e in Europa e garantire sviluppo locale. Questa narrativa, tuttavia, non è basata sulla realtà: se da un lato, infatti, la sicurezza energetica in Italia e in Europa non è più a rischio, dall’altro la retorica del gas per lo sviluppo si scontra con la dimostrazione di come la crescita sostenibile e di lungo periodo che serve all’Africa non possa basarsi sul fossile – come messo in luce nel caso del Mozambico e della Repubblica del Congo.
Di fatto, però, di oil&gas non si è parlato direttamente – anche se la presenza tra i delegati del Summit dell’Amministratore delegato di Eni e altri rappresentanti delle industrie dell’energia lascia intendere il ruolo centrale che l’industria del fossile continuerà a svolgere nel Piano. Gli interessi della partecipata sono coinvolti anche nella filiera dei biocarburanti, nel cui sviluppo in Kenya – citato esplicitamente da Meloni – Eni sta investendo molto.
E le rinnovabili?
Quanto alle energie rinnovabili, nel suo discorso, il Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani ha ribadito le possibilità di cooperazione tra imprese italiane e africane “anche” in ambito di energia rinnovabile, rispecchiando la stessa dicitura usata nella legge sulla governance del Piano Mattei che il Parlamento italiano ha recentemente adottato, dove si parla di “sviluppo del partenariato energetico anche nell’ambito delle fonti rinnovabili”.
Il riferimento alle rinnovabili è meno tiepido e più deciso invece nel documento intitolato “I cinque pilastri del Piano Mattei”, pubblicato sul sito del Governo. Rispetto al pilastro energia, si legge che “gli interventi avranno al centro il nesso clima-energia, punteranno a rafforzare l’efficienza energetica e l’impiego di energie rinnovabili, con azioni volte ad accelerare la transizione dei sistemi elettrici, in particolare per la generazione elettrica da fonti rinnovabili(…)”. Emerge con forza, in questo quadro, il ruolo del settore privato sottolineato anche dal Ministro Tajani, con riferimento in particolare a centri di innovazione “dove le aziende italiane potranno selezionare start-up locali”. Un riferimento da attenzionare per capire come si espliciterà nel quadro di un processo di cooperazione paritario.
Le energie rinnovabili sono state uno dei punti focali del discorso della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che ha individuato tre aree – energia e clima, istruzione e migrazione – dove Europa e Africa stanno lavorando insieme, e dove l’impegno italiano può davvero fare la differenza. In questo quadro, il discorso di von der Leyen si è concentrato da un lato sull’immensa potenzialità africana in materia di energie rinnovabili, e dall’altro sulla necessità di investire di più in infrastrutture, grazie anche alle risorse stanziate dal Global Gateway.
La necessità di inquadrare il Piano Mattei in più ampio quadro europeo che veda un rafforzamento delle relazioni e della cooperazione tra Africa ed Europa è emersa anche nelle parole della Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola. Un rafforzamento, questo, che dovrebbe vedere le energie rinnovabili al centro, come richiesto dai leader africani nella dichiarazione di Nairobi che ha seguito l’African Climate Summit dello scorso settembre, e come ribadito anche dal Presidente del Kenya William Ruto, che nel suo discorso ha sottolineato come le energie rinnovabili siano la scelta razionale dal punto di vista economico, e dovrebbero rappresentare una priorità.
Una nuova pagina nelle relazioni Italia-Africa: quali passi concreti?
Secondo quanto emerso dal Summit, scrivere una nuova pagina nelle relazioni italo-africane significa investire nel medio-lungo periodo in aree chiave che rappresentano priorità condivise: istruzione e formazione; salute; agricoltura (con riferimento alle dimensioni della food security e della food safety), acqua e energia.
Meloni ha fatto riferimento a una serie di progetti pilota in diversi Paesi africani, facenti capo ad ognuno di questi pilastri, con l’auspicio che questi possano poi essere replicati a livello più ampio su scala continentale.
Questo riferimento specifico a iniziative concrete durante il discorso di apertura è sembrato rispondere alla necessità di scongiurare il cosiddetto effetto “cornice vuota”: in altre parole, fugare i dubbi riguardo la poca concretezza ed effettiva progettualità del Piano circolati nelle settimane precedenti il Vertice. A tale titolo, anche nell’intervento che ha chiuso il Summit, la premier ha insistito sul carattere pragmatico del Piano e sulla necessità di seguire da vicino le attività che ne faranno parte e i relativi obiettivi, delineando un cronoprogramma e dando vita, appunto, a un metodo di lavoro che possa poi essere ampliato a tutti i Paesi che vorranno parteciparvi. D’altro canto, il rischio che si intravede è quello di produrre una sorta di patchwork di iniziative che rimangono slegate e singole, senza un reale quadro strategico che davvero possa orientare una nuova fase di partenariato tra i Paesi africani, l’Italia e l’Europa.
Come si finanzia il Piano Mattei?
Per fare tutto ciò, servono ingenti risorse. Secondo quanto emerso sinora, il Piano potrà contare su 5.5 miliardi di euro, tra cui 3 miliardi dal Fondo per il Clima (FIC), e 2.5 miliardi dalle risorse dedicate alla Cooperazione allo sviluppo. Il FIC, gestito da Cassa Depositi e Prestiti (CDP), è stato istituito nel 2022 e rappresenta il principale strumento pubblico nazionale per perseguire gli obiettivi assunti dall’Italia nel quadro degli accordi internazionali su clima e ambiente, con un’allocazione di 4.2 miliardi nel periodo tra il 2022 e il 2026. Come confermato da Meloni durante la COP28, il 70% di questo Fondo dovrebbe essere dedicato all’Africa – si tratta, appunto, dei 3 miliardi di cui la premier ha parlato durante il Summit. Il focus del FIC su clima sarà equamente ripartito tra la dimensione della mitigazione e quella dell’adattamento; dal punto di vista operativo, si tratta di uno strumento rivolto alle imprese italiane che vogliono investire in Africa, e come tale prevede operazioni di assunzione di capitale di rischio, concessione di finanziamenti e rilascio di garanzie.
Si aggiungerà a questi due panieri entro l’anno corrente un terzo strumento finanziario, anch’esso con il coinvolgimento di CDP e dedicato ad agevolare il contributo del settore privato nei progetti che compongono il Piano Mattei.
La stessa Meloni ha spiegato che le risorse sinora allocate non sono – ovviamente – sufficienti, e ha chiamato a raccolta istituzioni finanziarie internazionali, Banche Multilaterali di Sviluppo, Unione europea e altri Stati donatori, oltre a menzionare la creazione a orizzonte 2024 di un nuovo strumento che agevoli gli investimenti del settore privato in Africa con CDP. Oltre al magro importo dedicato al Piano (per fare un parallelismo, si consideri che il filone africano della Global Gateway Initiative UE può contare su 150 miliardi), un’altra problematica riguarda il fatto che non si tratta di nuovi Fondi, bensì fondi già disponibili e riallocati al Piano Mattei. Non abbastanza, dunque, e nulla di nuovo per sostenere un Piano che mira a inaugurare una nuova fase nelle relazioni con l’Africa.
La partecipazione: luci e ombre
Se da un lato la partecipazione dei leader africani è andata oltre le aspettative, complice anche una necessità di accreditamento con la Presidenza italiana del G7, dall’altro la questione della partecipazione e della co-partecipazione dei partner africani alla definizione del Piano è emersa come un punto critico del Summit.
Da un lato, hanno lasciato il segno le parole di Moussa Faki, Presidente della Commissione dell’Unione Africana (UA), che nel suo discorso ha fatto notare come sarebbe stato necessario un maggiore coinvolgimento dell’UA da parte italiana nell’ambito del Piano Mattei. Un commento, questo, che va contestualizzato nel proposito del governo italiano di scrivere il Piano insieme ai Paesi africani, esplicitato apertamente da parte di Meloni in occasione della visita in Mozambico e Repubblica del Congo dello scorso ottobre, e cui Meloni ha fatto riferimento più volte anche in seno al Summit, escludendo che il Piano Mattei sia una “scatola chiusa” da “calare dall’alto”.
Dall’altro lato, si è fatta sentire la totale assenza della società civile italiana e africana. Assenza che pesa ancora di più considerando che in platea erano invece seduti i rappresentanti delle imprese italiane che più saranno coinvolte nel Piano, e che dunque la partecipazione non è stata limitata al solo livello istituzionale. A tal proposito, la scorsa settimana 79 organizzazioni della società civile africana hanno inviato una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al Governo, portando alla loro attenzione una serie di richieste per il Piano italiano sull’Africa.
Rimane quindi da capire come si espliciterà la cooperazione effettiva con i partner africani su più livelli – dai vertici degli Stati alla società civile, menzionata nella legge che istituisce la Cabina di regia del Piano – e nelle diverse fasi – dalla definizione dei progetti all’attuazione, senza dimenticare la valutazione d’impatto. Un’altra componente da coinvolgere è rappresentata dalla diaspora africana in Italia che, come menzionato anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cena che ha aperto il Summit, costituisce un attore importante nel definire il legame che unisce l’Italia con i Paesi africani.
Quali passi dopo il Summit?
Il Summit e i relativi annunci sul Piano Mattei rappresentano chiaramente solo un primo passo di un processo che si preannuncia necessariamente lungo e complesso, e che dovrebbe prevedere il coordinamento tra numerose realtà eterogenee, a livello italiano ed africano.
Per dare seguito a quanto promesso durante il Vertice e dare vita a un Piano “per e con l’Africa” che sia davvero innovativo e strategico, ci aspettiamo che il clima sia in prima linea, tanto in materia di investimenti per l’adattamento al cambiamento climatico, quant’anche in ambito di iniziative che favoriscano la transizione energetica e industriale dei Paesi africani. In questo quadro, i risultati dei primi incontri della Cabina di Regia del Piano, che dovrebbe riunirsi a breve, saranno essenziali per capire il passo e l’orientamento di questa macro-iniziativa.
L’Italia ha l’opportunità durante l’anno di presidenza del G7 di mettere in pratica i buoni propositi annunciati e promuovere impegni internazionali ambiziosi, cominciando dal raccogliere e farsi promotrice della richiesta dei Paesi africani di riforma del sistema finanziario internazionale. Tutto ciò permetterà all’Italia di restare davvero aperta rispetto alle voci africane e alle loro richieste e priorità – come si addice a un Piano non predatorio e paritario.
Senza responsabilità, apertura, audacia e innovazione, l’intenzione della Meloni di costruire una relazione nuova e più giusta tra le nazioni fallirà. C’è ancora tempo per recuperare. Il vertice italiano del G7 di giugno è la prossima tappa che dirà se stiamo assistendo a un vero e proprio “cambio di paradigma”, come sostenuto e auspicato da Meloni, o a un’altra promessa vuota.
Foto da account Twitter Giorgia Meloni