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IPCC – Nuovo allarme della scienza: stop ai fossili, prima che sia troppo tardi

Lunedì 20 marzo 2023, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC), l’agenzia dell’ONU responsabile della scienza del clima, ha pubblicato il rapporto di sintesi del Sesto rapporto di valutazione (6th Assessment Report, AR6). La pubblicazione ha fatto seguito a una sessione plenaria in presenza, svoltasi tra il 13 e il 19 marzo a Interlaken, in Svizzera. 

Nulla di nuovo sotto il sole diranno in molti. In realtà, le cose stanno cambiando, molto rapidamente e non in meglio. Con questa nuova pubblicazione, la scienza ci ripete e conferma che il cambiamento climatico sta avvenendo ovunque intorno a noi. C’è un consenso inequivocabile, tra gli scienziati che si occupano di clima, sulla causa di tale cambiamento: l’attività umana.  

L’IPCC evidenzia che il cambiamento climatico in atto rappresenta una minaccia per il benessere del genere umano, per le società e per il mondo naturale.  Il clima si sta riscaldando a una velocità che non ha precedenti, almeno negli ultimi 2.000 anni. L’ultimo decennio è stato il più caldo degli ultimi 125.000 anni. Tutto questo a causa delle azioni umane. 

In tutto il mondo si osservano prove del fatto che la frequenza e l’intensità degli eventi climatici estremi sono aumentate, causando ingenti danni e, in alcuni casi, perdite irreversibili. Gli scienziati IPCC confermano quanto l’opinione pubblica ha percepito in seguito agli avvenimenti catastrofici degli ultimi anni. Il problema è qui, ora. 

Gli effetti del cambiamento climatico non si limitano però agli impatti sui territori, bensì si estendono ad esempio alla produzione e sulla disponibilità degli alimenti, in modo particolare per i più fragili e vulnerabili del mondo, esponendo milioni di persone a una grave insicurezza alimentare. Inoltre, siccità e inondazioni sono tra le prime cause di crisi umanitarie che spingono le popolazioni a lasciare le proprie case, inasprendo i conflitti violenti e incrementando i fenomeni migratori.  

Nelle nostre analisi sottolineiamo spesso che parlare di clima significa parlare anche di economia. Infatti, il cambiamento climatico sta causando ingenti danni economici, in particolar modo all’agricoltura, alla pesca, alla silvicoltura, al turismo e alla produttività di chi lavora all’aperto. Impatti che stanno diventando sempre più complessi e difficili da gestire, poiché gli eventi estremi hanno conseguenze a cascata. 

 

La pistola fumante nel rapporto di sintesi del 6° rapporto di valutazione dell’IPCC: i combustibili fossili

Per quanto riguarda i danni causati dallo sfruttamento dei combustibili fossili veramente possiamo dire: nulla di nuovo sotto il sole. La ricerca, estrazione, trasporto e combustione delle fonti fossili hanno portato a un aumento vertiginoso delle emissioni di gas serra (greenhouse gas, GHG) – causa del cambiamento climatico –  rispetto all’epoca pre-industriale. Le emissioni hanno raggiunto un picco tra il 2010 e il 2019 maggiore rispetto a qualsiasi altro decennio precedente.  

Alcuni dati IPCC sull’energia: nel 2019, il carbone ha contribuito al 33% di tutte le emissioni di CO2 umane, seguito dal petrolio (29%) e dal gas (18%).  

Siamo di fronte a numeri molto chiari, a cui però i decisori politici non riescono a dare seguito con provvedimenti altrettanto chiari. Nonostante l’evidenza degli impatti dello sfruttamento delle fonti fossili, ad esempio, queste continuano a ricevere importanti finanziamenti pubblici e privati. Di conseguenza, le emissioni di gas serra continuano ad aumentare in tutti i settori, in modo particolare in quelli manifatturiero e dei trasporti, spinte talvolta da quegli stessi che hanno obiettivi di decarbonizzazione che risultano di conseguenza difficili da raggiungere.  

 

Più soldi per la causa che per le soluzioni 

Tra il 2019 e il 2020, a livello mondiale, l’investimento nei combustibili fossili è stato maggiore di quello per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici. Nel settore energetico, l’investimento correlato ai combustibili fossili è stato, in media, di 120 miliardi di dollari all’anno. Una media di 650 miliardi di dollari è stata investita nella fornitura di petrolio e 100 miliardi di dollari in quella di carbone. Le finanze globali dedicate all’adattamento sono state invece di 46 miliardi di dollari.  

Il ritardo nel processo di decarbonizzazione dell’economia globale è anche imputabile a forti interessi dell’industria fossile che da anni lavora, con attività di lobby politica e influenza sul sistema dei media, per promuovere messaggi parziali e incompleti, che risultano in una informazione non corretta verso i cittadini e i decisori politici.  

 

IPCC: “Resta poco tempo a disposizione”

Nel rapporto viene sottolineato che abbiamo a disposizione una breve finestra temporale utile, che si sta chiudendo rapidamente, per assicurare un futuro vivibile alle future generazioni.  

Come era già emerso da pubblicazioni dell’IPCC precedenti, gli impegni nazionali presi dai governi prima della COP26 non sono in linea con l’obiettivo di mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 °C, soglia limite indicata dalla comunità scientifica per evitare l’aggravarsi degli impatti e l’irreversibilità della situazione. Secondo le proiezioni, gli attuali impegni porteranno addirittura a un riscaldamento globale di 2,8 °C entro il 2100, con conseguenze potenzialmente devastanti.  

Se le emissioni non verranno ridotte in modo più rapido di quanto previsto dalle politiche attuali, il riscaldamento globale che ne deriverà porterà a una serie di rischi e impatti enormi per l’ecosistema terrestre e chi lo “abita”. La produzione di cibo e la sicurezza alimentare, ad esempio, sono fortemente a rischio e, con l’innalzamento delle temperature oltre 1,5 °C, il pericolo della perdita simultanea delle coltivazioni di granoturco in diverse aree principali di produzione aumenterà, minacciando le filiere globali.  

Anche la disponibilità idrica, già oggi in forte crisi anche in Italia, sarà sottoposta a sempre maggiore pressione a causa del cambiamento climatico.  

Le conseguenze del cambiamento climatico interagiranno sempre più tra di loro e con altri rischi, con risultati sempre più pericolosi. Per esempio, l’aumento della siccità e minore disponibilità idrica causeranno una diminuzione della produzione agricola, con un conseguente aumento dei prezzi degli alimenti e una riduzione dei profitti degli agricoltori, che a loro volta saranno causa di maggiore denutrizione, insorgere di patologie e annessi costi per il sistema sanitario, fino anche a un aumento della mortalità collegata a questi fattori.  

I danni economici globali derivanti dal cambiamento climatico sono già oggi visibili. Se le azioni che si intraprenderanno non saranno tempestive e ambiziose, più alti saranno i costi. Infatti, il costo dell’inazione è molto più alto di quello necessario per implementare le azioni necessarie alla decarbonizzazione.  I paesi più poveri subiranno le maggiori conseguenze. Ma anche le economie più avanzate già vedono oggi i drammatici impatti della crisi climatica, e i costi potrebbero essere perfino maggiori di quanto stimato in passato. L’impatto climatico, dunque, ridurrà la crescita economica nazionale e colpirà le finanze pubbliche, diminuendo – come già stiamo vedendo – la qualità della vita. 

 

È necessario intervenire subito e con forza: partiamo dall’energia 

Per rispettare l’obiettivo di 1,5 °C, è necessaria un’azione coordinata che integri adattamento e mitigazione nelle decisioni politiche e permetta di ridurre in modo drastico la dipendenza dai combustibili fossili per la produzione di energia, dice il report IPCC.  

Rinnovabili ed efficienza energetica sono i pilastri su cui indiscutibilmente deve poggiare la decarbonizzazione dell’energia. A cominciare dal settore elettrico, che dovrà raggiungere emissioni di CO2 pari a zero tra il 2045 e il 2055 a livello globale. Questo creerà benefici anche in termini di salute e qualità dell’aria, due temi strettamente collegati al cambiamento climatico che spesso non vengono considerati quando si parla di transizione energetica. 

L’utilizzo globale di carbone, petrolio e gas andrà ridotto rispettivamente del 100, 60 e 70% entro il 2050. Questo implica una riduzione anche delle infrastrutture legate ai combustibili fossili, soprattutto per quanto riguarda la costruzione di nuove. Le politiche di adattamento al cambiamento climatico sono importanti, soprattutto per diminuire gli impatti. Ma l’adattamento da solo non è ovviamente sufficiente senza le politiche di mitigazione, perché più lentamente verranno ridotte le emissioni, maggiori saranno perdite e danni. 

La maggior parte delle misure di adattamento è stata finora frammentaria, su piccola scala, incrementale e in risposta agli impatti attuali e ai rischi a medio termine. Sebbene la situazione sia recentemente migliorata, la scarsità delle risorse finanziarie internazionali per l’adattamento sta impedendo ai paesi più vulnerabili di adattarsi al cambiamento climatico.  

 

IPCC “Ci sono anche buone notizie”

Tra il 2010 e il 2019 si sono osservate importanti riduzioni del costo unitario dell’energia solare (85%), dell’energia eolica (55%) e delle batterie agli ioni di litio (85%). Di conseguenza, importanti aumenti sono arrivati anche rispetto alla loro diffusione. Il fotovoltaico e gli impianti eolici onshore e offshore possono ora competere con i combustibili fossili sul costo livellato dell’energia in molti luoghi e i sistemi elettrici di molti paesi sono già in predominanza basati sulle energie rinnovabili.  Anche lo stoccaggio di energia tramite batteria è sempre più fattibile tecnicamente ed economicamente vantaggioso. 

I veicoli elettrici sono sempre più competitivi rispetto ai motori a combustione interna e rappresentano il segmento del settore automobilistico in crescita più rapida, avendo raggiunto una quota di mercato a doppia cifra in molti paesi nel 2020. È stato inoltre dimostrato che l’elettrificazione del trasporto pubblico è un’opzione fattibile, scalabile e abbordabile per la decarbonizzazione dei trasporti di massa.  

Dati che mostrano come vi sia una via d’uscita che non solo consente di ridurre le emissioni, ma permette anche il rilancio di molti settori produttivi, creando importanti nuove catene del valore, oltre a crescita dell’economia e dell’occupazione. 

 

In Italia, cosa possiamo fare? 

L’Italia, così come gli altri Stati membri dell’Unione europea, ha una grande occasione per aggiustare la rotta e indirizzare l’azione climatica verso un rapido abbandono delle fonti fossili e una conseguente riduzione delle emissioni climalteranti. Tale occasione è rappresentata dalla revisione del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC). 

Un rapporto sulla revisione del PNIEC è disponibile, qui

Il PNIEC è lo strumento con il quale identificare politiche e misure per il raggiungimento degli obiettivi energia e clima al 2030. La messa a terra degli impegni presi nell’ambito dell’Accordo di Parigi.  

Il PNIEC va però ben oltre gli obiettivi 2030. Infatti, il processo di decarbonizzazione implica la trasformazione di tutti i settori dell’economia e della società, per passare da un mondo nel quale sviluppo e benessere erano strettamente determinati dall’utilizzo dei combustibili fossili, ad un mondo in cui questo legame viene abbandonato progressivamente, nei tempi e nelle quantità definite dalla scienza. 

Nella revisione del PNIEC si dovranno fare delle scelte. Per farle è necessario comprendere l’impatto di tali scelte, oltre alle risorse e alle esigenze necessarie per affrontare la transizione. Scelte rese inevitabili dalla posizione dell’Italia, al centro dell’hotspot climatico della regione mediterranea.  Le politiche e le misure per la decarbonizzazione, nei fatti, incideranno anche sulla vita e sui consumi dei cittadini. Come si potranno rendere più efficienti le abitazioni, abbassando così le bollette delle famiglie? Come sarà la mobilità del futuro? Ci consentirà di avere un’aria più “respirabile”? Quale percorso dovrà intraprendere la nostra industria manifatturiera per non perdere competitività e riorientarsi verso produzioni ‘carbon free’, investendo sulla sua trasformazione?  Quali saranno le misure per mitigare i danni su agricoltura e turismo? 

Una sfida epocale che richiede la partecipazione di tutti, per assicurare un percorso di ampiezza, visione e trasparenza. Solo in questo modo, anche il nostro Paese sarà in grado di dare quelle risposte rapide e concrete che gli scienziati del clima chiedono, ormai da anni, a gran voce.  

 

Foto di Matt Palmer 

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