La recente pubblicazione da parte della Commissione della raccomandazione sugli obiettivi di decarbonizzazione al 2040 riaccende l’attenzione sull’European Green Deal, progetto chiave della Commissione Von der Leyen. Questo progetto, da sempre al centro dell’interesse pubblico data l’importanza sia delle misure al suo interno che dei loro effetti ridistributivi e di trasformazione sociale, sarà indubbiamente parte del dibattito politico relativo alle prossime elezioni europee del 6-9 giugno.
Il pacchetto Fit for 55 rappresenta il primo progetto al mondo di decarbonizzazione di un intero sistema economico che, oltre a delineare gli obiettivi e percorsi di decarbonizzazione al 2030, crea l’impalcatura sulla base della quale si costruiranno anche le future misure necessarie al raggiungimento della neutralità climatica nel 2050. Questo ha un’importanza cruciale a livello europeo nel presentare un progetto complessivo, ancorché differenziato, di decarbonizzazione dell’economia del continente. A livello mondiale, la sua rilevanza sta nel mostrare, da una parte, che la trasformazione è possibile, e dall’altra nell’attivare il peso economico dell’UE nel persuadere altri Paesi a seguire questa strada. La Comunicazione presentata dalla Commissione a supporto della raccomandazione di un obiettivo di decarbonizzazione del 90% al 2040 mette in chiaro, come evidenziato anche nella nostra analisi, che l’attuazione del Fit for 55 al 2030 sta alla base di tutte gli scenari di decarbonizzazione considerati.
La maggior parte della legislazione del pacchetto Fit for 55 è stata approvata con una larga maggioranza nel Consiglio e Parlamento Europeo, ma negli ultimi mesi c’è stato un riposizionamento nel discorso politico verso uno scetticismo verso alcuni aspetti chiave del pacchetto quali l’Energy Performace of Buildings Directive (EPBD, meglio nota come ‘Direttiva Case Green’) o la progressiva eliminazione dal mercato delle auto a combustione interna.
Il risultato delle elezioni sarà, dunque, determinante nello stabilire fino a che punto la nuova Commissione vedrà il proseguimento e l’implementazione di queste misure come una priorità, come lo è stato per l’attuale Commissione.
Analisi UE dei Piani Energia e Clima
L’approvazione dell’insieme di misure e obiettivi del Fit for 55 costituisce un passo fondamentale verso il raggiungimento dell’obiettivo 2040 e, poi, di neutralità climatica nel 2050, ma la sfida che si presenta ora è quella dell’attuazione. La Commissione sottolinea che la riduzione delle emissioni da adesso al 2030 deve procedere a quasi tre volte la velocità della riduzione annuale media degli ultimi 10 anni.
A livello nazionale, il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione passa principalmente per i National Energy and Climate Plans (NECP), che per l’Italia è il Piano nazionale integrato energia e clima o PNIEC, che gli Stati membri hanno aggiornato negli scorsi mesi per includere gli obiettivi concordati nel pacchetto Fit for 55.
La Commissione ha pubblicato il 18 dicembre 2023 le proprie osservazioni sui 24 piani inviati (tre non erano ancora stati ricevuti), e nonostante la valutazione complessiva sia positiva, vengono identificate delle mancanze nel livello di ambizione, dal momento che la riduzione di emissioni che emerge dai piani presentati è di circa il 51% rispetto ai livelli del 1990, cioè 4% in meno rispetto all’obiettivo di riduzione delle emissioni del 55% nel 2030.
Se è vero che questa distanza tra le misure messe in campo e gli obiettivi europei verrà quantomeno ridotta con la presentazione dei tre piani mancanti e con le correzioni che gli Stati faranno prima della consegna finale entro il 30 giugno 2024, ci sono alcuni elementi sottolineati dal report della Commissione che meritano un’attenzione particolare, dal momento che evidenziano due sfide fondamentali ancora da superare.
Il primo elemento è quello del finanziamento della transizione
La Commissione stima che saranno necessari 620 miliardi di euro addizionali all’anno per raggiungere gli obiettivi dell’European Green Deal e REPowerEU e se, da una parte, i fondi europei appaiono insufficienti con la fine di NGEU nel 2026, lo stato delle negoziazioni sulla riforma del patto di stabilità e crescita lascia ben pochi margini perché questi fondi possano essere trovati a livello di finanza nazionale. La Corte dei Conti europea ha evidenziato in un report pubblicato lo scorso 26 giugno che non è chiaro come gli Stati membri intendano indirizzare gli investimenti privati necessari per raggiungere gli obiettivi del 2030.
In questo contesto, è fondamentale che gli Stati membri, e in particolar modo quelli più indebitati, presentino in maniera chiara le proprie necessità di finanziamento, eppure l’analisi della Commissione rileva la mancanza all’interno di molti piani di una previsione degli investimenti necessari per il periodo 2020-2030 e del gap rispetto agli investimenti disponibili a livello nazionale e europeo. Questo rende molto difficile costruire una stima globale attendibile delle necessità di investimenti. Manca inoltre, con qualche eccezione la presentazione di un piano su come attrarre i capitali privati. Questi sono, entrambi, passi fondamentali per poter argomentare, sulla base di dati concreti, la necessità di trovare lo spazio fiscale richiesto.
La Commissione dovrebbe quindi utilizzare questa quantificazione più precisa dei deficit finanziari identificati per mettere sul tavolo una proposta legislativa per risolverli. Una opzione in questo senso potrebbe essere la creazione di un Fondo Europeo per il Clima modellato sull’iniziativa Next Generation EU.
Il secondo elemento è quello della valutazione e attenuazione degli impatti delle politiche per la transizione
Nonostante gli impatti redistributivi delle politiche di transizione e gli impatti sul mondo del lavoro siano significativi, gli Stati membri hanno incluso nei propri piani valutazioni solo parziali degli impatti socio-economici della transizione sugli individui, famiglie e imprese. Il fatto che le politiche incluse in questo ambito si concentrino principalmente sulla mitigazione degli effetti negativi sulle regioni legate all’industria del carbone rivela una mancanza di comprensione di molti Stati membri della reale portata della sfida della transizione. Con l’avvento dell’ETS2 nel 2027 i costi della transizione verranno a pesare in maniera diretta sui conti delle famiglie con un aumento dei costi della benzina/gasolio e dei sistemi di riscaldamento fossili che, inizialmente contenuti, cresceranno col tempo, specie dopo la fine del periodo a prezzo calmierato. Una valutazione degli impatti e misure dedicate, che tengano adeguatamente conto degli impatti e delle diverse capacità di spesa dei cittadini, con particolare riferimento all’emancipazione dei costi delle fossili per le famiglie più vulnerabili, devono essere al centro dell’azione degli Stati membri.
Dal lato impresa, l’analisi della Commissione sottolinea che mancano nei piani nazionali delle strategie comprensive ed integrate su come difendere la competitività industriale durante il processo di decarbonizzazione. In molti piani mancano identificazione di settori su cui focalizzare azioni di reskilling e upskilling per affrontare il problema di mancanza di figure qualificate per i nuovi lavori della transizione. È necessario che i piani identifichino obiettivi, misure e fondi per evitare che la mancanza di professionalità adeguate diventi un’opportunità persa e un ostacolo alla transizione.
Dal momento che gli impatti della decarbonizzazione sui sistemi economici sarà significativo, e che la IEA stima il valore del futuro mercato dei beni legati alla transizione in 650 miliardi di dollari l’anno entro il 2030, è fondamentale che gli Stati membri pianifichino in modo dettagliato e chiaro come cogliere le opportunità di questo cambiamento, altrimenti è comprensibile come sia i settori produttivi che i singoli cittadini, per quanto favorevoli all’azione contro il cambiamento climatico, non possano agire come attori del cambiamento alla scala e al passo che sono necessari sulla base delle evidenze scientifiche.
La mancanza di un reale piano sociale e industriale è anche evidente nella scarsa dotazione economica dei fondi dedicati a questi due aspetti, il fondo sociale per il clima (fino a 65 miliardi per il periodo 2026-2032) e STEP (1,5 miliardi di euro secondo il recente compromesso). Anche l’Innovation Fund, finalizzato a portare sul mercato soluzioni per decarbonizzare l’industria europea, e finanziato tramite i proventi ETS, pur recentemente rafforzato, ha una dotazione stimata di soli 40 miliardi per il periodo 2020-2030. La nostra stima bottom up dell’investimento necessario per la decarbonizzazione di questo settore è di circa 2.7 – 3 miliardi di euro all’anno, per la sola Italia.
L’opinione dell’European Scientific Advisory Board on Climate Change (ESABCC) su Green Deal e politiche di decarbonizzazione europee
Anche l’ESABCC, organo scientifico incaricato di fornire raccomandazioni alle Commissione Europea sul cambiamento climatico, ha pubblicato il 18 gennaio 2024 un rapporto che contiene delle raccomandazioni sull’implementazione delle politiche europee di decarbonizzazione. Il rapporto sottolinea come il raggiungimento degli obiettivi del pacchetto Fit for 55 dipenda da una robusta azione dei governi nazionali, e raccomanda di allineare meglio le politiche UE con gli obiettivi di decarbonizzazione. Sottolinea inoltre l’importanza di una valutazione sistematica degli impatti socio-economici di queste politiche e dell’introduzione di misure sociali di mitigazione tramite un processo trasparente e partecipato.
Questo, però, non significa che la Commissione non abbia un ruolo importante da giocare nel coordinare i piani nazionali in modo da favorire le sinergie ed evitare duplicazioni e soluzioni nazionali incoerenti con l’architettura europea. Questo è particolarmente visibile nel settore industriale e in quello energetico. Il primo beneficerebbe di un piano industriale europeo in grado di sviluppare e sostenere un comparto manifatturiero diffuso e integrato a livello europeo evitando gli squilibri e storture dell’attuale rilassamento del regime di aiuti di stato, che favorisce le industrie nazionali tedesche e francesi a scapito di quelle di tutti gli altri Paesi. Il settore energetico invece beneficerebbe di maggiore coordinazione intraeuropea nello sviluppo delle reti e nella creazione di un mercato elettrico in grado di facilitare lo sviluppo di tecnologie abilitanti quali gli accumuli e la demand response, e di scoraggiare progetti non allineati con il progetto europeo di decarbonizzazione.
La decarbonizzazione dei sistemi economici per allinearli con gli obiettivi di Parigi è, infatti, inevitabilmente una trasformazione complessa e con importanti effetti redistributivi e impatti a tutti i livelli della società. L’impalcatura legislativa proposta dall’UE con l’European Green Deal è un primo passo molto importante, ma, di per sé, non sufficiente senza una robusta attuazione tramite politiche che siano disegnate sulla base di un’analisi completa ed esaustiva dei costi e degli impatti e senza misure per mitigare i rischi e massimizzare le opportunità. Questi impatti, alcuni dei quali sono identificati in questa analisi, sono prevedibili fin da ora e la loro mitigazione è facilitata da alcune delle misure parte del pacchetto Fit for 55. Il compito degli Stati membri è adesso quello di attuare adeguate misure di accompagnamento della transizione all’interno dei loro piani nazionali, ma il compito della Commissione è quello da una parte di coordinare questi sforzi per renderli più efficienti, dall’altra di promuovere l’interesse comune europeo proponendo strumenti adeguati per il finanziamento della transizione.
Approfondimento Fit for 55: macroaree di impatto
Energia
Il settore energetico è uno dei settori dove si concentrano i maggiori sforzi di decarbonizzazione, sia per il significativo impatto emissivo (27% delle emissioni UE nel 2021), sia perché la decarbonizzazione del settore energetico abilita quella di altri settori come quello dei trasporti e del riscaldamento/raffreddamento degli edifici, che vanno verso l’elettrificazione dei consumi.
Sempre nel 2021, le fonti rinnovabili hanno prodotto circa il 21,8% dell’energia consumata in UE, e la revisione della Renewables Energy Directive (RED) recentemente entrata in vigore presenta un obiettivo di aumentare questa percentuale al 42,5% (+2,5% su base volontaria) entro il 2030. L’invasione russa dell’Ucraina e la conseguente impennata dei prezzi del gas hanno mostrato come un aumento della generazione elettrica rinnovabile sia fondamentale anche dal punto di vista dell’indipendenza energetica e del contenimento dei prezzi energetici.
Il raggiungimento dell’obiettivo della RED imporrà un’accelerazione dei ritmi di installazione di impianti di generazione rinnovabile. In Italia nel 2022 sono stati installati circa 3 GW, mentre per il 2023 solo quelli nella rete di trasmissione sono il doppio. Raggiungere l’obiettivo per l’Italia però vorrebbe dire un ritmo annuale al di sopra dei 10 GW, in coerenza con gli obiettivi dichiarati dal MASE nell’ultima proposta di revisione del Piano Nazionale Energia e Clima (PNIEC).
Uno dei maggiori ostacoli al raggiungimento di questo obiettivo, in molti Paesi, è un regime delle autorizzazioni per l’installazione di impianti rinnovabili troppo complesso o lento. Per questo il Consiglio europeo ha introdotto già dal dicembre 2022 un regime temporaneo finalizzato a semplificare le autorizzazioni per certe tecnologie più adatte all’adozione rapida, per poi concordare un nuovo regime semplificato con la revisione della RED.
La Commissione ha inoltre focalizzato l’attenzione sulle due tecnologie primarie di generazione rinnovabile, solare ed eolico, pubblicando una strategia dedicata a ciascuna.
La Strategia solare UE, pubblicata con REPowerEU il 18 maggio 2022 mira a creare il giusto framework per lo sviluppo di massa della tecnologia solare in Europa fissando un obiettivo di quasi 600GW di capacità solare installata in UE entro il 2030. Il Piano d’azione per l’eolico invece mira ad accelerare lo sviluppo di questo settore tramite processi di permesso più rapidi, migliori meccanismi d’asta, accesso a finanziamenti e sviluppo delle skill necessarie a questa industria.
Trasporti
Il settore trasporti è responsabile per circa il 25% delle emissioni europee di gas climalteranti, ed è anche uno dei settori che è stato interessato da progressi meno significativi nel processo di decarbonizzazione.
La recente revisione del Regolamento sugli standard di emissione dei veicoli nuovi si propone di eliminare progressivamente le auto a combustibili fossili dalle strade imponendo uno stop alla vendita di auto nuove a combustione nel 2035 e un target intermedio che impone una riduzione delle emissioni medie delle auto nuove del 55% entro il 2030. In parallelo l’applicazione di un costo del carbonio ai carburanti fossili imposto dall’European Trading System (ETS2) a partire dal 2027 provvederà a dare una ulteriore spinta a passare ad auto a zero emissioni.
Pur se inizialmente criticato come troppo ambizioso, il nuovo Regolamento è stato infine visto con favore dalle case automobilistiche, che in alcuni casi hanno annunciato obiettivi di elettrificazione delle flotte addirittura in anticipo rispetto alla data proposta dal Regolamento (Stellantis ha annunciato un obiettivo del 100% di produzione elettrica al 2030).
In questo senso la clausola di revisione del Regolamento nel 2026 è un potenziale rischio se dovesse introdurre elementi in contrasto con il percorso di elettrificazione dei veicoli, in coerenza col quale sono in corso investimenti significativi da parte dell’industria automobilistica europea. Tra gli elementi di criticità vi è la posizione espressa dall’Italia contro l’ambizione del 100% di riduzione delle emissioni dei veicoli al 2035 in considerazione del presunto potenziale low carbon dei biocarburanti. Nella pratica questa eventualità significherebbe poter continuare a immatricolare veicoli endotermici anche dopo il 2035. Questa misura è già stata respinta una volta in fase di approvazione del testo.
Il plausibile aumento di veicoli elettrici sulle strade europee prodotto da questa legislazione dovrebbe essere supportato da uno sviluppo della rete di ricarica pubblica, anche sulle autostrade, come previsto dalla Alternative Fuels Infrastructure Regulation (AFIR). L’Energy Performance of Buildings Directive (EPBD) sulla quale le istituzioni europee hanno recentemente raggiunto un accordo, prevede inoltre l’installazione di punti di ricarica nei parcheggi comuni di tutti i nuovi edifici.
Per quanto riguarda i veicoli pesanti che rappresentano da soli il 6% delle emissioni UE, di più difficile elettrificazione per via delle dimensioni e massa superiori, è in fase di approvazione una modifica al ‘Regolamento sugli standard di emissioni CO2 dei veicoli pesanti’ con obiettivi di riduzione del 45% al 2030 e del 90% al 2040 (rispetto alla baseline del 2019-2020) .
Ulteriori provvedimenti in direzione della decarbonizzazione dei trasporti riguardano i settori dell’aviazione e del trasporto marittimo. Sono stati infatti approvati i Regolamenti Refuel Aviation – che prevede quote minime di carburanti sostenibili per l’aviazione (2% al 2025, 6% al 2030, 70% al 2050) e una quota minima di carburanti sintetici (1,2% al 2030 per arrivare al 35% nel 2050) – e FuelEU Maritime – che prevede una progressiva riduzione delle emissioni del trasporto marittimo partendo dal 2% al 2025 e fino all’80% al 2050.
Efficienza energetica
L’Energy Efficiency Directive (EED) stabilisce la centralità e base legale del principio ‘energy efficiency first’ cioè l’idea che l’efficienza e la riduzione del consumo energetico devono essere considerati da tutti i Paesi UE nella creazione di tutte le politiche e decisioni di investimento nei settori energetici e non energetici.
L’EED impone un obiettivo di riduzione a livello europeo dell’uso energetico dell’11,7% nel 2030 rispetto allo scenario di riferimento fatto nel 2020, corrispondente a un aumento di ambizione rispetto alla proposta originaria del 9%. L’incremento è una conseguenza dell’individuazione in REPowerEU dell’efficienza energetica come una delle soluzioni più efficaci e sostenibili per diminuire la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili dalla Russia. L’obiettivo si traduce in un consumo energetico finale massimo di 763 Mtep (obiettivo vincolante) e un consumo energetico primario massimo di 992,5 Mtep (obiettivo non vincolante). Per riferimento, il consumo di energia finale nel 2021 era di 968 Mtep e il consumo di energia primaria 1309 Mtep. Gli Stati membri sono liberi di fissare il proprio obiettivo nazionale entro il 2,5% di quanto prodotto da una formula comune, tenuti conto una serie di fattori quali l’intensità energetica, il PIL pro capite, il potenziale di risparmio energetico, l’evoluzione del mix energetico e il livello di ambizione dei piani nazionali di decarbonizzazione.
Per aiutare a raggiungere l’obiettivo di efficienza, l’UE impone agli stati degli obiettivi annuali di risparmio energetico del consumo finale: 1,3% nel 2024-25, 1,5% nel 2026-27, 1,9% nel 2028-30. Questo ha anche lo scopo di spingere l’efficientamento dei settori di maggiore consumo energetico finale: trasporti, industria e edifici.
A livello europeo il settore residenziale, in particolare, è responsabile per circa il 40% dei consumi energetici finali e il 36% delle emissioni. In Italia tali percentuali sono rispettivamente del 50% e del 20% circa.
Lo sforzo di efficientamento deve partire dagli edifici pubblici: l’EED impone una riduzione del consumo finale combinato di tutti gli enti pubblici pari almeno all’1,9% ogni anno rispetto al 2021 (obiettivo indicativo per i primi 4 anni, poi vincolante dal 2028) e la trasformazione in near zero building ogni anno del 3% della superfice riscaldata/raffreddata in edifici di proprietà di enti pubblici con una superfice oltre i 250mq.
Il già citato EPBD ha tra gli obiettivi quello di stabilire traiettorie nazionali per l’efficientamento graduale degli edifici meno performanti e per la trasformazione di tutti gli edifici in edifici a zero emissioni entro il 2050.
Un altro importante obiettivo dell’architettura legislativa sull’efficienza energetica è quella di spingere gli Stati membri a sostenere in via prioritaria la riqualificazione delle abitazioni meno efficienti, che sono spesso abitate dalle fasce di popolazione meno abbienti e meno in grado di provvedere all’investimento necessario a questi lavori. In maniera simile all’applicazione della tassa del carbonio sui carburanti fossili per le auto a combustione interna, l’ETS2 imporrà, a partire dal 2027, un rincaro progressivo per i sistemi di riscaldamento a combustibili fossili tramite l’applicazione del prezzo del carbonio.
Ci sono anche importanti norme sugli obblighi di installazione di pannelli solari e colonnine di ricarica negli edifici nuovi e in edifici esistenti che rispondono a determinate caratteristiche.
Occorre sottolineare infine che la legislazione europea prevede esenzioni per edifici particolari (tra cui quelli storici e religiosi) che potrebbero presentare difficoltà tecniche o costi eccessivi di efficientamento.
Industria
Gli obblighi di decarbonizzazione del settore industriale sono distribuiti tra industrie soggette all’ETS (settore termoelettrico e settori ad alto consumo energetico) e industrie non-ETS, ricadenti, invece, nell’ambito del regolamento di condivisone degli sforzi (Effort Sharing Regulation, o ESR).
Il nuovo pacchetto porta l’obiettivo di decarbonizzazione dei settori soggetti all’ETS al 62% nel 2030 (rispetto ai livelli del 2005), e introduce un regime progressivo di riduzione delle quote gratuite. Questa riduzione è accompagnata dall’introduzione progressiva del CBAM alle importazioni da Paesi terzi di prodotti di specifici settori esposti al rischio di delocalizzazione. La prevenzione della delocalizzazione dei settori più inquinanti, infatti, non avverrà più esentando questi dal pagare il prezzo del carbonio (cosa che elimina l’incentivo economico alla decarbonizzazione), ma tramite l’applicazione di questo stesso prezzo del carbonio ai beni prodotti da competitor situati in Paesi terzi dove il prezzo del carbonio non viene applicato. La revisione del Regolamento ESR, al contempo, porta l’obiettivo di riduzione delle emissioni per i settori inclusi al -43,7% per l’Italia (40% a livello europeo) rispetto al 2005.
Al di là di questi obiettivi ampi e plurisettoriali però, la legislazione europea non propone misure specifiche per accompagnare la transizione dei settori produttivi. Le proposte legislative legate al Green Deal Industrial plan propongono obiettivi di competitività e di costruzione di catene di valore europee per i beni legati alla transizione, ma non offrono un percorso legislativo di settore o macrosettore per la decarbonizzazione delle industrie esistenti. Non viene, inoltre, risolta la questione del finanziamento di questa trasformazione, se non parzialmente. L’Innovation Fund stabilito con direttiva ETS, infatti, benché rafforzato, resta uno strumento con diversi vincoli, mentre la proposta iniziale di un European Sovereignty Fund si è concretizzata in un meno ambizioso Strategic Technologies for Europe Platform (STEP) la cui dotazione proposta (10 miliardi a livello europeo) è inadeguata agli obiettivi e rischia di essere ulteriormente ridotta a soli 1,5 miliardi nel corso delle negoziazioni per il Multiannual Financial Framework.
Entrambe le questioni saranno fondamentali nei prossimi mesi e anni per assicurare che il Green Deal sia in grado di centrare il proprio obiettivo di coniugare la decarbonizzazione con la prosperità economica.
Finanza
In ambito finanziario, l’UE ha rinforzato il reporting di sostenibilità delle aziende portandolo all’interno del bilancio finanziario grazie alla nuova CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) che allarga anche l’ambito di applicazione e introduce uno standard di rendicontazione obbligatorio (ESRS – European Sustainability Reporting Standards). Lo standard si pone un triplice obiettivo, particolarmente rilevante ai fini del reindirizzamento delle risorse finanziarie:
- stabilire un quadro di riferimento per portare il reporting non finanziario allo stesso livello di quello finanziario;
- facilitare la standardizzazione e la comparabilità delle informazioni sulla sostenibilità tra le aziende;
- ridurre il rischio di una rendicontazione incoerente da parte delle aziende che operano a livello globale, integrando il contenuto degli standard di riferimento globali.
Il fine è quello di aumentare la trasparenza sulla reale sostenibilità ambientale e sociale delle varie aziende per indirizzare con più sicurezza gli investimenti verso attività che supportano la transizione e la decarbonizzazione e combattere il cosiddetto greenwashing.
Sempre con il medesimo obiettivo di aumentare la trasparenza delle informazioni ed evitare il greenwashing, la nuova CSRD richiederà alle imprese europee soggette di rendicontare le informazioni richieste dalla Tassonomia UE, cioè un sistema di classificazione per le attività economiche sostenibili, che definisce un linguaggio comune e dei criteri sulla sostenibilità delle attività e degli investimenti di alcuni settori.
Nell’ambito dello stesso framework legislativo troviamo anche la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFRD), il Regolamento europeo che richiede la rendicontazione dei rischi e degli impatti ESG a livello di soggetto e di prodotto finanziario da parte degli operatori di mercato finanziario. Infine, la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD) di cui si sono recentemente chiusi i triloghi, che richiede alle aziende l’adozione di procedure di due diligence volte alla promozione di condotte aziendali sostenibili ed attente alla tutela dell’ambiente e dei diritti umani, lungo l’intera catena del valore.
Foto di Christian Lue