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Case green: efficienza energetica per gli immobili

A fine estate è previsto il secondo trilogo (negoziato a tre) tra Parlamento, Consiglio e Commissione Europea sul futuro della revisione della direttiva UE per l’efficienza energetica degli immobili, la cosiddetta direttiva “Case Green”. Un tema che negli scorsi mesi ha generato un acceso dibattito a livello nazionale. Tuttavia, molti argomenti utilizzati sono fondati su dati e informazioni confuse e imprecise, proviamo a fare chiarezza.

 

L’Italia, paese inefficiente

Il patrimonio edilizio italiano è particolarmente inefficiente e vetusto, con oltre il 65% degli immobili costruiti senza alcun criterio di risparmio energetico. Questo pesa sul fabbisogno energetico delle abitazioni – 2,5 volte superiore rispetto a quelle costruite con maggiori requisiti sull’efficienza energetica nel periodo 2016-2021 – e di conseguenza sulla domanda finale del settore, che è responsabile di quasi la metà dei consumi finali di energia e del 19% delle emissioni dirette. Senza contare l’elevata dipendenza dal gas naturale nel riscaldamento domestico, che espone fortemente le famiglie italiane ai rischi legati alla volatilità dei prezzi dei combustibili fossili, come abbiamo visto nel 2022 con l’aumento dei costi energetici. Con immobili in queste condizioni, una famiglia italiana tipo ha speso oltre 1.420 euro in più rispetto al 2021 – un incremento del 65% per la bolletta gas e del 108% per quella elettrica. Secondo le stime di ENEA, avere un’abitazione in classe F comporterebbe un miglioramento delle prestazioni energetiche di circa il 35% rispetto alla classe G, e minore domanda di energia, primariamente di gas, si traduce in maggiore sicurezza energetica per le famiglie.

Dei 32 milioni di abitazioni ad uso residenziale in Italia, di cui il 22% risulta inoccupato, meno del 3% (836.000 abitazioni) sono alloggi di edilizia residenziale pubblica. Di questi, circa 55 mila (7%) risultano sfitti per diverse ragioni. Tra queste anche l’inadeguatezza delle prestazioni energetiche e quindi la necessità di interventi tempestivi di manutenzione e riqualificazione energetica.

Direttiva EPBD “case green”: cosa prevede la proposta europea

Una premessa. La direttiva Energy Performance of Buildings Directive (EPBD) è inserita all’interno del pacchetto “Fit For 55”, strumento che nasce con l’obiettivo di allineare la normativa europea in materia di clima ed energia con la riduzione delle emissioni nette di gas ad effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990) e la necessità di accelerare il processo di transizione per conseguire la neutralità climatica entro il 2050. Il testo è in fase di negoziazione tra i due legislatori (Parlamento e Consiglio), alla presenza della Commissione, e non è quindi nella sua versione definitiva. Molto probabilmente ci saranno modifiche, o sui requisiti, o sui tempi e sulle scadenze.

Il documento mira ad accelerare i tassi di ristrutturazione degli edifici, a ridurre le emissioni di gas serra e il consumo energetico e a promuovere l’installazione di energie rinnovabili negli edifici. Introduce standard energetici maggiori per gli edifici di nuova costruzione, passando dalla definizione di “edifici a emissioni quasi zero” (NZEB) a “edifici a emissioni zero” (ZEB), da applicare a tutti i nuovi immobili a partire dal 2028, e prevede contestualmente scadenze per l’uscita dalle fonti fossili, anche dai meccanismi incentivanti (dal 2024), e obblighi per l’installazione di impianti solari

Per il parco immobiliare esistente, la proposta punta ad accelerare le riqualificazioni energetiche a partire dagli edifici con le prestazioni peggiori, introducendo soglie minime di prestazione energetica, e indicando di fatto una traiettoria per la riqualificazione del parco immobiliare in linea con gli obiettivi climatici 2030, 2040 e 2050: per gli edifici di proprietà pubblica e le unità immobiliari non residenziali il conseguimento di almeno la classe energetica E dal 2027 e della classe D dal 2030; sono concessi tre anni in più per gli edifici residenziali, rispettivamente dal 2030 e dal 2033

Il tutto accompagnato da una nuova classificazione delle classi energetiche: la nuova classe G corrisponderà al 15% degli edifici con le prestazioni peggiori e si potrà introdurre una nuova categoria “A+” per gli edifici con elevati standard di efficienza e un impatto carbonico sull’intero ciclo di vita particolarmente positivo. Le restanti classi (da A a F) dovranno essere ricalcolate e ricalibrate dai singoli Stati Membri sulla base delle caratteristiche del patrimonio edilizio nazionale, assicurando una distribuzione uniforme e bilanciata dell’ampiezza delle singole fasce. 

L’Europa quindi non chiede di rinnovare il 60-75% degli oltre 12 milioni di edifici esistenti nei prossimi dieci anni, ma, secondo stime preliminari, solamente il 25-30%. Inoltre, non sono previste sanzioni o limitazioni in caso di non rinnovamento. L’eventuale decisione è demandata ai singoli Stati, ai quali è lasciato ampio margine di discrezionalità e flessibilità. Inoltre, vi è la possibilità di escludere alcune tipologie edilizie: alloggi sociali, luoghi di culto, edifici protetti o di particolare valore storico o architettonico, o altri edifici del patrimonio, “nella misura in cui il rispetto della norma implichi un’alterazione inaccettabile del loro carattere o aspetto, o qualora la ristrutturazione non sia tecnicamente o economicamente fattibile” (Articolo 9, comma 5, lettera a), edifici residenziali destinati ad essere usati meno di quattro mesi all’anno. 

Le opportunità per l’Italia

Intervenire sul patrimonio edilizio è prioritario. L’Italia lo fa da almeno un decennio attraverso un complesso sistema di incentivazione fiscale, che tuttavia risulta essere poco mirato al risparmio e alla diminuzione delle emissioni. Nei prossimi tre anni spenderemo circa 18 miliardi/anno di risorse pubbliche in bonus edilizi, ma il previsto trend di riduzione delle emissioni non sarà sufficiente a raggiungere gli obiettivi al 2030, secondo le stime di ISPRA che tengono conto degli impatti del Superbonus e del PNRR. Servono regole più chiare e lo sviluppo di una traiettoria di medio-lungo periodo, e la direttiva mira esattamente a questo obiettivo. La definizione di una strategia al 2030 e 2050 è essenziale per rimettere ordine a un sistema di incentivi eterogeneo che soffre di instabilità temporale, moltiplicazione e frammentazione normativa e debole efficacia. Ed è proprio di questa semplicità, stabilità e certezza normativa che hanno bisogno cittadini, imprese e investitori per poter pianificare le attività, i finanziamenti e la formazione professionale, e rendere la riconversione edilizia un’opportunità di crescita e di sicurezza energetica.

Leggi l’articolo originale “Case Green” su Chiudicolgas.org

Foto di Pexels

 

 

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