In Polonia, a seguito delle elezioni del 15 ottobre, dopo otto anni di governo del partito Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PiS) si prospetta un cambio alla guida del Paese.
Si attende ora la formalizzazione dell’incarico al leader dell’opposizione, Donald Tusk, ex presidente del Consiglio europeo, di centro destra (PPE). Gli altri due partiti che comporranno la possibile coalizione The Left and Third Way sono rispettivamente di centro sinistra e di centro. Intendiamoci, PiS rimane ancora il partito di maggioranza relativa nel Paese, ma l’assenza di possibili alleati, rende possibile solo un’alleanza tra le forze di opposizione.
Il governo uscente ha condotto negli ultimi otto anni una forte opposizione nel Consiglio dell’Unione europea, in particolare sulle politiche di energia e clima. Analizzando 11 voti sull pacchetto Fit for 55, osserviamo che il governo polacco ha sempre votato contro o si è astenuto su qualunque misura riguardante il clima. L’opposizione alle politiche climatiche è arrivata negli scorsi mesi fino al contenzioso legale con la Corte di Giustizia europea rispetto alla validità del regolamento sul divieto di vendita di auto con motori a combustione interna dal 2035.
Nel grafico: voti contrari o astenuti degli Stati Membri rispetto alle votazioni sul pacchetto Fit for 55. Le votazioni riportate sono disponibili sul sito del Consiglio dell’Unione Europea. I voti pubblici sono una parte dei voti totali.
Una buona notizia per le politiche climatiche europee?
L’uscita di scena del maggiore oppositore del Green Deal gioca a favore della politica climatica europea. La sesta economia europea, quinta in termini di popolazione, con ben 52 europarlamentari non eserciterà il ruolo di opposizione registrato in questi ultimi anni. Il conservatore Tusk ha già annunciato l’intenzione di riallineare le politiche climatiche della Polonia agli obiettivi europei. Infatti, il programma della Coalizione Civica (Civic Coalition) prevede una riduzione delle emissioni di CO2 del 75% rispetto al 2022 nel settore energetico e misure per una generazione elettrica derivante al 68% da fonti di energia rinnovabile al 2030. In termini di capacità installata significa più che triplicare il solare e più che raddoppiare l’eolico in sei anni. Si propone inoltre di incrementare la quota di rinnovabili nei sistemi di riscaldamento domestico dal 16 al 40%.
Il percorso di riallineamento della Polonia alle politiche climatiche dell’Unione era quantomai necessario per l’economia polacca. Il 75% dell’export è diretto verso altri paesi UE, di questo il 29% verso la Germania. In un quadro di accelerazione degli sforzi europei di decarbonizzazione, di trasformazione della finanza e di crescente necessità delle imprese di rendicontare rispetto agli obiettivi climatici, l’economia polacca mostrava un’intensità di emissioni di CO2 per GDP dalle 2 alle 5 volte maggiore dei paesi europei. L’opposizione al pacchetto clima si era tradotta in un ritardo.
Una buona notizia per l’economia polacca?
Il carbone e la lignite rimangono le maggiori fonti energetiche del paese 40% del mix energetico e 80% in quello elettrico. Questo non ha evitato alla Polonia un’inflazione del 13% nel 2022 e del 11% nel 2023 innescata dalla crisi gas che costituisce il 17% del mix energetico. La crisi del gas russo oggi impone una transizione da carbone a rinnovabili, saltando la transizione a gas. L’obiettivo di Coalizione Civica del 68% di rinnovabili al 2030 è equivalente a quanto messo sul piatto dal Piano nazionale italiano, ma parte da un contributo del 20%, la metà del nostro e determinerà una riduzione dei 2/3 delle centrali a carbone.
Negli otto anni passati c’era tutto il tempo di gestire la transizione e di trovare una soluzione ai 76.000 lavoratori ancora impegnati e nelle 3 miniere di lignite e nelle 15 centrali a carbone del Paese. Tantopiù che le risorse europee per la transizione erano abbondanti. Il governo guidato da Diritto e Giustizia aveva provocatoriamente fissato la chiusura delle centrali a carbone nel 2049. Facendo leva sul tema sociale dei lavoratori, nei fatti aveva rinunciato a trovare una soluzione.
Il cambio di governo permette di sbloccare i fondi europei (PNRR e fondi di coesione pari a circa 110 miliardi di euro) attualmente congelati da Bruxelles per violazioni del diritto UE rispetto all’arretramento democratico esercitato da PiS. Questo permette di indirizzare risorse verso politiche di decarbonizzazione.
Il tema della sostenibilità sociale della transizione rimane centrale in Polonia e la capacità di gestire la transizione sarà importante per il successo del pacchetto clima europeo. Fino ad oggi la Polonia si è rifiutata di parlare di clima, ora chi è chiamato a recuperare il ritardo dovrà ben bilanciare le opportunità e le criticità della transizione. Oltre alla complessa transizione del settore energetico, la Polonia dovrà gestire il passaggio alla mobilità elettrica. Il settore automotive impiega in Polonia circa 500.000 persone, contribuisce a circa l’8% del PIL del paese e al 13,5% dell’export.
Con la conferma di un governo Tusk, il Consiglio Europeo sarà composto dai seguenti governi
A breve, il 22 novembre si voterà anche in Olanda. Anche in questo Paese il tema clima è importante, tra spinte populiste apertamente anti europeiste, adesione al pacchetto clima della destra conservatrice e una probabile buona affermazione della lista verde non lascia presagire rilevamenti riposizionamenti degli equilibri sul clima in Consiglio.
Una tale composizione del Consiglio, affiancata all’analisi della situazione politica rispetto alle elezioni europee 2024 sembrano delineare un’Europa leggermente più conservatrice di ora. Uno dei primi impegni della nuova Commissione sarà la definizione dell’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2040, come previsto dalla legge clima europea. Poche settimane fa, il neo vice-presidente dalla Commissione Wopke Hoekstra, austero conservatore del centro destra olandese, ha confermato l’intento della Commissione di raggiungere un obiettivo del -90% delle emissioni al 2040. La direzione è chiara. La Polonia insegna che rifiutare la transizione non giova a nessuno.
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