COP28

COP28, l’urgenza e l’equilibrio

di Jacopo Bencini, Policy Advisor, Politiche UE e multilaterali sul clima Italian Climate Network

A giorni partiremo alla volta di Dubai per seguire i lavori della COP28 sul clima. Anche quest’anno, come nel 2022, si tratterà di una COP incerta nelle premesse e aperta nelle possibili conclusioni, complice la violenta complessità dello scenario internazionale. Gli appuntamenti paralleli al processo ONU di questo 2023 – il Summit francese di giugno sulla finanza multilaterale, il Summit sull’Ambizione Climatica di settembre – non hanno purtroppo fornito elementi di novità significativi rispetto all’ambizione del processo; conviene dunque ripartire da dove ci eravamo lasciati a livello negoziale.

A Glasgow, due anni fa, erano entrati in sala per osmosi dal contesto internazionale i semi di un nuovo attrito politico post-pandemico tra Occidente e Paesi del Sud globale che, per eccesso di semplificazione, potremmo riassumere nell’indisponibilità di grandi Paesi del Sud (come l’India) ad operare scatti in avanti troppo bruschi (e costosi) nella transizione dal carbone ad altre fonti di energia meno inquinanti in assenza di adeguate garanzie economiche da parte dei Paesi ricchi e inquinatori, nell’ambito del principio di “responsabilità comuni ma differenziate” sancito dalla Convenzione Quadro ONU sul Clima del 1992.

Lo scorso anno a Sharm el-Sheikh quei semi di dualismo Nord-Sud sono germogliati ulteriormente, complice un certo scollamento tra le delegazioni occidentali ed il poco peso negoziale relativo esercitato dagli Stati Uniti d’America (in particolare rispetto a quello cinese, in crescita) fino alla politicamente clamorosa adozione della decisione 2/CP.27 che sancisce la nascita di un fondo multilaterale a compensazione di perdite e danni subiti dai Paesi più vulnerabili del mondo entro un anno, ossia proprio entro COP28.

Il Comitato di Transizione istituito ad hoc a COP27 per far arrivare sul tavolo di COP28 una proposta su come funzionerà il fondo ha prodotto una bozza che vede oggi il nuovo strumento finanziario nascere in seno alla Banca Mondiale per un periodo-test di quattro anni, con l’obiettivo finanziario di una prima dotazione start-up da “almeno” 100 miliardi di dollari l’anno fino al 2030. Inevitabile una certa contrarietà di molti Paesi del Sud globale in merito a questa prospettiva di governance lontana dalle sale ONU e più vicina, non è errato pensarlo, a centri di potere occidentali. Lecito aspettarsi tensioni su questo tema a Dubai. Da notare, intanto, il recente attivismo del nuovo Commissario Europeo Hoekstra. Il 13 novembre ha annunciato, cogliendoci di sorpresa, che l’Unione Europea ed i suoi Stati Membri contribuiranno “sostanzialmente” al nuovo fondo su perdite e danni. La notizia è arrivata del tutto inattesa, visto lo scetticismo dell’UE sul fondo stesso e sulla dinamica geopolitica che un anno fa ha portato all’adozione della decisione 2/CP.27, e potrebbe rappresentare il più importante cambio di rotta di queste settimane prima della COP verso una maggiore ambizione internazionale.

Quello che invece è mancato del tutto a Sharm el-Sheikh un anno fa, e che sicuramente mancherà anche a Dubai – è già una certezza – è il tema della riduzione delle emissioni climalteranti, vero punto-chiave dell’Accordo di Parigi. Complice il remix geoenergetico seguito all’invasione russa dell’Ucraina, alla guerra nel Caucaso e più recentemente in Medio Oriente, nessun grande Paese presenterà nuovi piani nazionali sul clima (NDC) e Arabia Saudita e altri Paesi hanno già anticipato in sede di pre-COP che nei testi e negli obiettivi non si parlerà neanche quest’anno di “phase-out” dalle fonti fossili – i tempi politici non sembrano maturi per una loro non-contrarietà.

COP28 sarà però anche la COP, non dimentichiamolo, del primo global stocktake. Una prima occasione formale e programmata per fare il punto, collettivamente, su quanto fatto fino ad oggi per rilanciare l’ambizione globale. Lo stocktake è un appuntamento periodico previsto dall’Accordo di Parigi, un punto di analisi collettiva e condivisione dei risultati atto a preparare l’adozione di nuovi e più ambiziosi piani nazionali che dovrebbero pervenire all’ONU entro il 2025, ossia entro la COP30 brasiliana di Belém. Sarà sicuramente interessante seguire i lavori e capire cosa, e come, i Paesi scriveranno nel testo finale di questa COP: la decisione-ombrello finale di quest’anno, infatti, dovrebbe partire proprio da quanto emerso nel processo di stocktaking e rilanciare l’ambizione verso il 2024 e il 2025. Si tratterà pertanto di un testo profondamente politico e programmatico, sul quale influirà moltissimo il carattere della Presidenza emiratina nel gestire il lavoro d’aula ed eventuali voci critiche – e del quale tuttavia pare non esistano ancora bozze negoziali sufficientemente mature a così pochi giorni dall’inizio della COP.

Tutti questi temi verranno discussi contemporaneamente, su più tavoli e su più livelli, come in ogni COP sul clima. Nell’urgenza dettata dall’accelerazione della crisi climatica, tuttavia, il sistema ha oggi bisogno di riacquisire credibilità e di produrre risultati politici equilibrati (ma decisi) tra mitigazione, adattamento e finanza, accettabili politicamente dai diversi gruppi negoziali e quindi frutto di utili compromessi che tengano insieme ambizione e compartecipazione agli sforzi, da parte dei responsabili storici come dei nuovi inquinatori.

Foto di https://www.cop28.com/

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