La transizione ecologica è fondamentale sia per il raggiungimento degli obiettivi climatici contenuti nello European Green Deal, sia per quelli di innovazione e competitività industriale del Green Deal Industrial Plan. La transizione è pertanto un prerequisito per la crescita e la sostenibilità del debito. La transizione dovrà però essere accompagnata, perché implica un passaggio degli investimenti da alcuni settori tradizionali verso altri dove la finanza privata non investirebbe in assenza di politiche specifiche. Il rischio di investimento deve quindi essere in parte sostenuto o garantito dal settore pubblico in modo da creare condizioni favorevoli per attrarre l’investimento privato.
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Il finanziamento pubblico ha un ruolo fondamentale nella transizione, ed è importante che tutti gli Stati membri possano mettere in campo le risorse necessarie, a prescindere dallo spazio fiscale del Paese. Squilibri significativi nella capacità degli Stati membri di finanziare la transizione metterebbero a rischio il level playing field del mercato unico.
Ad oggi, le proposte di riforma sul tavolo e il dibattito sulla riforma del Patto di stabilità e crescita sembrano indicare la mancanza del consenso politico per la creazione dello spazio fiscale necessario agli investimenti climatici a livello nazionale. Se però ciò non è possibile a livello nazionale, l’alternativa è che questo spazio venga creato a livello di Unione europea.
Una delle possibili opzioni in questo senso è l’implementazione dello European Sovereignty Fund, proposto nel Green Deal Industrial Plan, come un Fondo europeo per il clima. Questo Fondo dovrà essere legato alla presentazione di piani nazionali preparati sulla base dei Piani nazionali integrati energia e clima (PNIEC) e approvati dalla Commissione. Questi dovranno essere integrati nei piani di medio periodo previsti dalla riforma del Patto di stabilità. Ciò garantirebbe un controllo centrale sulle finalità di impatto e sui risultati, non ultimo tramite l’inclusione di robuste condizionalità e un monitoraggio regolare dell’uso dei fondi. Infine, questi piani dovranno integrare le misure orientate alla transizione ecologica contenute nei Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR), per evitare la duplicazione di progetti e rispondere a una reale necessità di finanziamento che non potrebbe essere soddisfatta tramite fondi già esistenti.
Un Fondo europeo per il clima dovrebbe contribuire alla spesa per investimenti ma anche sostenere incentivi che abbiano la funzione selettiva di creare un mercato di beni e infrastrutture compatibili con gli obiettivi climatici. Inoltre, dovrebbe assicurare la disponibilità di spesa sociale per proteggere le fasce sociali negativamente impattate dalla transizione. Se così non fosse, la transizione risulterebbe molto più difficile, poiché il mercato dei beni a zero/basse emissioni rischierebbe di non raggiungere la scala necessaria per una concreta modifica dei modelli di consumo. Escludere le fasce più disagiate dalla transizione aumenterebbe invece disuguaglianze e tensioni sociali, alimentando l’opposizione al cambiamento. Il Fondo dovrebbe inoltre avere un orizzonte temporale sufficientemente lungo da garantire quella stabilità delle politiche, che è il prerequisito perché il settore privato investa in maniera significativa nella transizione climatica.
L’attività di monitoraggio dell’implementazione del piano legato al Fondo europeo per il clima dovrà essere integrata nell’analisi di sostenibilità del debito (DSA) all’interno del Patto di stabilità. La Commissione europea dovrà inoltre dotarsi di modelli che integrino il rischio climatico, coordinandosi nella loro implementazione con gli strumenti che la Banca Centrale Europea sta approntando.
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