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Il Mediterraneo: laboratorio di soluzioni per la transizione energetica globale

La regione del Mediterraneo allargato detiene, da sempre, una posizione strategica per la geopolitica globale. Più recentemente, lo spostamento delle rotte energetiche europee da nord a sud, verso Africa e Medio Oriente, l’intensificarsi dei flussi migratori e l’esacerbarsi del conflitto tra Israele e Hamas, hanno ulteriormente sottolineato la centralità della regione, riportandola in cima all’agenda politica internazionale. 

Nelle scorse settimane, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato la nomina di un nuovo commissario per il Mediterraneo, mentre la NATO ha nominato lo spagnolo Javier Colomina come Inviato per il Mediterraneo. Anche i Paesi G7, nel loro comunicato finale e nei lavori del G7 dei Parlamenti evidenziano il rilievo geopolitico della Regione mediterranea. Il Governo italiano, tradizionalmente proteso verso il Mediterraneo, ha rilanciato il suo impegno nella Regione attraverso nuove partnership e iniziative come il Processo di Roma e il Piano Mattei per l’Africa 

Questa crescente attenzione verso il Mediterraneo, tuttavia, non sembra essere accompagnata dalla consapevolezza che il futuro della regione passa necessariamente attraverso la costruzione di resilienza agli impatti climatici, il superamento di modelli di sviluppo legati alle fonti fossili e il rafforzamento della cooperazione energetica in un’ottica di transizione giusta verso le rinnovabili. 

Nell’ultimo anno, in ECCO abbiamo dedicato grande attenzione al Mediterraneo, attraverso analisi e approfondimenti e la costruzione di alleanze con partner regionali, come MATTCCh, Mediterranean Alliance of Think Tanks on Climate Change. Crediamo che il Mediterraneo possa essere il laboratorio di una transizione giusta e inclusiva, in cui i Paesi della regione collaborino per affrontare le sfide comuni del cambiamento climatico e cogliere le opportunità che la transizione energetica offre per uno sviluppo duraturo e sostenibile.  

Mediterraneo: una regione eterogenea e complessa  

Crocevia di tre continenti, l’area del Mediterraneo è caratterizzata da grande eterogeneità, con livelli di sviluppo socio-economico disomogenei e un complesso contesto di sicurezza. Nonostante alcuni tentativi di creare un quadro istituzionale comune, il divario tra la sponda Nord e quella Sud si è acuito negli ultimi due decenni. Nello stesso spazio coesistono realtà profondamente diverse, che sembrano replicare, su scala regionale, quelle dinamiche tra il Nord e il Sud globali che stanno erodendo la fiducia nella diplomazia e nella cooperazione internazionale.  Le conseguenze della pandemia e dell’invasione russa dell’Ucraina, hanno ulteriormente inasprito il divario, causando interruzioni dei flussi commerciali, insicurezza alimentare, aumento dell’inflazione e del debito pubblico, dando spazio anche all’ingerenza di potenze extra-europee che sempre più cercano di affermare la propria influenza nella regione.  

Il cambiamento climatico: una minaccia senza confini 

Il Rapporto dell’IPCC sul Mediterraneo definisce la Regione come un hotspot climatico, in cui il clima cambia più rapidamente che in altre zone del pianeta (0,4°C in più rispetto alla variazione media globale). Seppur gli impatti del cambiamento climatico colpiscano in maniera crescente tutta la regione, il livello di vulnerabilità è determinato in gran parte da fattori non climatici, come la tenuta dei sistemi economici e politici e l’accesso alla finanza. Le conseguenze di eventi meteorologici estremi sono quindi ben più devastanti nei Paesi più fragili, come accaduto in Libia durante l’alluvione del 2023.  Gli impatti dei cambiamenti climatici agiscono come un moltiplicatore di minacce, esacerbando criticità preesistenti e alimentando nuove crisi. Anche gli impatti su settori economici strategici come agricoltura, pesca e turismo, sono più acuti nella sponda meridionale, contribuendo ad accrescere il tasso di disoccupazione, malcontento e tensioni, che possono a loro volta innescare fenomeni di migrazione, radicalizzazione e nuovi conflitti. Questi effetti a cascata travalicano i confini nazionali e producono ripercussioni complesse su scala regionale e globale. 

I rischi della non-transizione

La transizione energetica comporterà a livello globale una contrazione dei mercati dei combustibili fossili. Questo è particolarmente rilevante per i Paesi produttori di fossili della regione, le cui economie, in diversi casi, sono fortemente dipendenti dalle rendite del settore. Diversi scenari confermano che la domanda globale di gas è destinata a calare. Già negli ultimi anni, in Europa, i consumi di gas sono diminuiti ben oltre le stime. . Il consumo di gas in Italia è diminuito del 18,6% tra agosto 2022 e gennaio 2023 e l’offerta proveniente dai giacimenti esistenti in Algeria, ad oggi primo fornitore di gas dell’Italia, non sarà più necessaria dopo il 2035. Questi scenari impongono una riflessione urgente per scongiurare gli effetti di una “decarbonizzazione traumatica”, ovvero di una transizione subita più che pianificata strategicamente per coglierne i benefici. Per questi Paesi, la costruzione di resilienza passa attraverso la diversificazione economica. Diversamente rischiamo il tracollo delle economie e del contratto sociale che esse sorreggono, con evidenti ripercussioni sulla stabilità dell’intera regione, inclusi i Paesi europei.  

Nuovi modelli di cooperazione regionale 

Come suggerisce Lorena Stella Martini nel suo articolo serve un allineamento anche a livello europeo delle politiche climatiche ed energetiche nella regione. Al contrario, negli anni 2022-23, per ridurre la dipendenza dal gas russo, l’Europa ha siglato nuovi accordi sul gas proprio con i Paesi che dovrebbero investire su uno sviluppo alternativo a quello fondato sulle fonti fossili. Infatti, nuovi investimenti non sono compatibili con gli impegni climatici internazionali e rischiano di generare stranded asset e fenomeni di lock-in, rallentando la transizione energetica locale e globale.  

La Regione possiede tra i maggiori potenziali al mondo di sviluppo delle energie rinnovabili, un’alternativa competitiva al gas e un’opportunità di diversificazione economica. Al momento, però, questo potenziale rimane largamente inespresso. Una cooperazione regionale che dia priorità a investimenti nelle rinnovabili e nelle infrastrutture elettriche consentirebbe una graduale integrazione e crescita economica per tutti i partner, maggiore sicurezza energetica condivisa e opportunità di uno sviluppo industriale sostenibile.  

Attraverso il Piano Mattei, l’attuale Governo ha voluto proiettare un modello di cooperazione basato su partnership paritarie e benefici condivisi. Il Paese potrebbe dare concretezza alle proprie ambizioni di leadership, facendosi portavoce di una nuova visione per il Mediterraneo, a partire dai prossimi appuntamenti internazionali ed europei.  

A fronte di questo quadro complesso è necessario rispondere attraverso nuove forme di cooperazione regionale, che riflettano una visione e una strategia condivise e che puntino a raggiungere traguardi ambiziosi ma a portata di mano. Il Mediterraneo può essere il laboratorio di pratiche innovative e inclusive per ricostruire la fiducia nella cooperazione internazionale e guidare la transizione energetica globale.  

Foto di Nejc Soklič

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