Elezioni 2022

Il clima è cambiato: gestiamo l’inevitabile

Una chiacchierata su rischio clima e adattamento con Antonello Pasini, Fisico del Clima presso il CNR

All’inizio di questa campagna elettorale, proprio mentre i partiti politici erano indaffarati a raccogliere idee, proposte e soluzioni per redigere in tutta fretta i programmi elettorali, gli scienziati del clima hanno rivolto un appello importante alla politica, chiedendo a gran voce di porre la crisi climatica al centro degli impegni del prossimo governo. Un tempismo perfetto che sotterra le critiche riguardo alla presunta inefficacia comunicativa del mondo della scienza.  

Tra i firmatari di questo appello, troviamo Antonello Pasini, Fisico del Clima presso il CNR. Abbiamo imparato a conoscere il professor Pasini per le sue sempre più numerose presenze nei media nazionali, nelle quali ricorda con forza i rischi del cambiamento climatico, suggerendo soluzioni che possano limitare gli impatti futuri. Abbiamo parlato con lui per approfondire il rischio clima e comprendere quali sono gli elementi imprescindibili per una piano di governo che ponga il clima al centro.  

Professor Pasini, nel vostro appello sottolineate che l’Italia è al centro dell’hotspot climatico del Mediterraneo e per questo risente più di altre zone del mondo dei recenti cambiamenti climatici di origine antropica e dei loro effetti sul territorio, sugli ecosistemi, ma anche sull’uomo e sulla società. Siete stati ascoltati dalla politica? Quali sono state le reazioni?  

“Noi [scienziati climatici ndr] sosteniamo che le politiche climatiche debbano essere le fondamenta su cui poggiare lo sviluppo futuro del Paese”, afferma Pasini. “La crisi climatica mina qualsiasi idea di sviluppo”, continua il professore, “e sono sorpreso dalla scarsa risposta della politica. I partiti si dividono sulla visione del futuro, ma la crisi climatica è trasversale. Se ignorata, ogni iniziativa di rilancio del Paese rischia di fallire”. 

Brutte notizie. Dall’analisi di ECCO sui temi climatici all’interno dei programmi elettorali dei partiti, emerge che nonostante la fragilità del nostro Paese, le politiche di adattamento sono un tema largamente ignorato 

Il professor Pasini concorda con noi nell’affermare che questa estate ha dimostrato anche ai più scettici le conseguenze dei cambiamenti climatici. “I nodi sono venuti al pettine”, afferma Pasini. “Se, fino a qualche anno fa, molti erano portati a pensare che le conseguenze del riscaldamento climatico fossero un problema per le generazioni future, gli eventi catastrofici dei mesi scorsi dimostrano con evidenza che non è affatto così. Temperature elevate, siccità o piogge troppo abbondanti, stanno causando enormi danni sul territorio, sugli ecosistemi e non ultimo sull’uomo e sui settori produttivi. Il rischio è quello di rincorrere le crisi in modo emergenziale senza fare una pianificazione adeguata, che invece dobbiamo fare ora”. 

 

Ma quindi, professore, il vecchio detto ‘prevenire è meglio che curare’ possiamo applicarlo anche al clima? 

“Assolutamente sì, dobbiamo renderci conto che siamo di fronte ad una deriva climatica! La spesa per intervenire ora è nettamente inferiore rispetto al costo generato dalla riparazione dei danni. È vero”, continua il professore, “la transizione energetica ha dei costi, ma questi vengono ripagati ampiamente se consideriamo i danni potenziali del cambiamento climatico.”  

Pasini sostiene che stando ai cicli di sviluppo della Terra, in prospettiva dovremmo andare molto lentamente verso una nuova glaciazione. “È evidente che stiamo andando in direzione opposta” sottolinea il professore, inviando una stoccata a presunti ‘esperti’ del clima che affollano gli studi televisivi e le pagine dei giornali con analisi che nulla hanno di scientifico. “La comunità scientifica è concorde”, ribadisce Pasini, “il dibattito è legittimo ma le posizioni da considerare sono quelle pubblicate nelle riviste scientifiche da chi è riconosciuto nel mondo accademico e ha le credenziali per parlare di queste cose”. 

 

Ma quindi, la domanda sorge spontanea: cosa possiamo fare, e chi lo deve fare? 

Secondo Pasini è necessario partire da quella che lui definisce la “cultura del rischio. Ogni territorio ha le sue peculiarità”, prosegue il professore, “e nel caso dell’Italia dobbiamo considerare le specificità del nostro Paese e sviluppare in parallelo una cultura della legalità. Non possiamo pensare che avallare abusi edilizi, o forzare progetti che stanno fuori dal piano regolatore di un determinato territorio possano portare vantaggi. Al contrario, sono svantaggi che mettono a rischio sia i beni materiali che le vite umane. Dovremmo partire dalle scuole, e ogni territorio può portare avanti progetti specifici che mettano insieme protezione civile, geologi, esperti etc. Siamo creativi, possiamo inventarci di tutto e di più”, conclude Pasini 

 

Cose suggerirebbe al prossimo Governo? 

“In primis un intervento deciso verso politiche di adattamento. I fenomeni estremi che citavamo in precedenza li vedremo ancora in futuro e quindi dobbiamo gestire l’inevitabile, adattando la nostra agricoltura, i nostri sistemi produttivi, le nostre città e i nostri stili di vita. Non possiamo pensare di abbassare le temperature, ma di stabilizzarle, possibilmente a 1.5 gradi di aumento rispetto al periodo pre-industriale.”  

In questo senso, il professore sottolinea “l’urgenza di approvare il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici. Ad oggi abbiamo una strategia nazionale ma non è operativa, poiché il piano è fermo da cinque anni in attesa di approvazione. Questo potrebbe dare il via a tutti i piani locali, nei territori.” 

“A questo, ovviamente, vanno aggiunte azioni decise per la mitigazione, attraverso la diminuzione drastica delle nostre emissioni di gas serra, perché altrimenti si potrebbero avverare scenari climatici rispetto ai quali non sarebbe più possibile difendersi in maniera efficace. Dobbiamo cioè evitare l’ingestibile!”.  

 

Ci permetta una provocazione, non si sente un po’ come Di Caprio nel famoso film Don’t look up? 

Pasini sorride, ma sostiene che “un po’ di differenza c’è, soprattutto ultimamente. Noto maggior interesse su questi temi. Probabilmente lo chiedono i cittadini, credo vi sia una maggiore consapevolezza. E quindi anche il mondo mediatico si deve adeguare, lo vedo anche dalle richieste che mi vengono fatte.” 

La richiesta da parte dell’opinione pubblica di porre le tematiche climatiche al centro dell’agenda politica è evidente, come peraltro emerso nel sondaggio condotto da ECCO insieme a More in Common e Ipsos prima dell’estate.   

Saranno in grado i futuri parlamentari e il nuovo governo di comprendere la gravità di questa crisi? Ai posteri l’ardua sentenza, verrebbe da dire. Ma vista la rapidità di questa deriva climatica, i posteri, nostro malgrado, siamo già noi.

 

Photo by Gelgas Airlangga

 

 

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