La COP28 di Dubai, a fine 2023, ha mostrato l’impegno unanime di quasi duecento Paesi per l’abbandono progressivo delle fonti fossili: gas, petrolio e carbone. La riunione Ministeriale Clima, Energia e Ambiente del G7 a guida italiana, in programma a Torino dal 28 al 30 aprile, rappresenta il primo momento per dimostrare come i Paesi del G7 interpretano gli impegni presi a Dubai, e soprattutto come intendono sostenere la propria transizione e allo stesso tempo supportare questo sforzo a livello globale.
Il G7 del 2024 si inserisce nel solco della cosiddetta “strada per Belém”, ovvero quel percorso che, nei prossimi due anni, porterà alla COP30 di Belém in Brasile nel 2025, passando per la COP29 di Baku. La COP30 sarà infatti il momento in cui i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi – a dieci anni dallo storica COP21 – dovranno presentare nuovi contributi nazionali di riduzione delle emissioni, i cosiddetti NDCs (Nationally Determined Contributions), ovvero gli obiettivi e piani di decarbonizzazione che saranno attuati da ogni Paese per limitare a 1,5°C il riscaldamento globale.
Quest’anno, in particolare, sarà l’anno della finanza per il clima. A Baku, alla COP29 di novembre, si discuterà del nuovo obiettivo collettivo di finanza per il clima (New Collective Quantified Goal on Climate Finance o NCQG), ovvero il budget che sarà messo a disposizione per i Paesi in via di sviluppo e vulnerabili per sostenere gli investimenti necessari a ridurre le emissioni, per l’adattamento e per le perdite e i danni dagli impatti climatici.
Il G7 di quest’anno appare più rilevante rispetto al passato. Affinché il risultato sia all’altezza delle sfide contemporanee, i membri del G7 dovranno dare un chiaro segnale a cittadini, imprese e investitori sulla transizione e sulla finanza per clima.
Sono tre i pilastri su cui giudicheremo il successo o meno del G7 di Torino:
- Il G7 deve trovare un accordo su un quadro strategico e coerente finalizzato alla progettazione e allo sviluppo di piani di transizione nazionali per l’intera economia, allineati all’obiettivo di contenimento dell’aumento della temperatura di 1,5°C. Tali piani dovrebbero illustrare come i Paesi del G7 intendano abbandonare gradualmente i combustibili fossili, con orizzonte la COP30, in particolare la consegna dei nuovi impegni di riduzione delle emissioni (NDCs).
- Indicare concretamente come i Paesi G7 intendono intraprendere la transizione dal carbone, dal petrolio e dal gas verso le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, le due grandi priorità emerse dalla COP28. L’abbandono delle fonti fossili deve essere accompagnato da un rapido sviluppo delle energie rinnovabili e delle misure di efficienza energetica. Questo per garantire che la transizione favorisca stabilità di prezzo e sostenibilità – e quindi tutela – a cittadini, imprese e finanze pubbliche, slegando il sistema Italia dalla dipendenza dal gas, costata oltre 90 miliardi tra il 2021 e il 2023. Passi avanti consisterebbero invece in nuovi obiettivi per lo sviluppo della rete elettrica e delle batterie, che sono le infrastrutture e tecnologie abilitanti della transizione, soprattutto nel settore elettrico. Al contrario, un nuovo supporto pubblico per investimenti in gas, oltre ad essere in contraddizione con gli obiettivi climatici dei Governi G7, sarebbe deleterio per il debito pubblico e le bollette di cittadini e imprese, senza apportare reali nuovi benefici per la sicurezza energetica.
- I Paesi del G7 dovrebbero offrire un supporto per facilitare la transizione energetica e la resilienza a livello globale. Ciò passa da impegni per aumentare i flussi finanziari diretti ai Paesi in via di sviluppo, oltre a una profonda revisione delle regole finanziarie attuali, in particolare per quel che riguarda la gestione del debito e le modalità di accesso ai finanziamenti multilaterali per lo sviluppo. Nei rapporti con il Sud globale, è inoltre fondamentale che il G7 confermi il proprio impegno per un rafforzamento delle filiere di approvvigionamento delle materie prime critiche per la transizione, che sia in netto distacco dallo sfruttamento predatorio del passato che è stato troppo spesso la norma nelle relazioni economiche, commerciali e politiche con i Paesi produttori.
La definizione degli obiettivi e degli impegni del G7 ha una sua declinazione nazionale. Maggiore è l’ambizione sul fronte interno, tanto più aumenterà la credibilità e l’influenza internazionale del G7. L’Italia, come Presidenza di turno, non potrà non vedere il legame fra i temi del G7 e la sua strategia di cooperazione allo sviluppo per l’Africa attraverso il Piano Mattei.
Il Ministro Gilberto Pichetto Fratin coprirà quindi un ruolo importante di guida, oltre che di arbitro dei negoziati. Il rischio più grande per l’Italia è quello di dedicare troppa attenzione politica a tecnologie marginali per la decarbonizzazione dell’economia, come i biocombustibili, o del tutto assenti nel sistema italiano, come il nucleare, invece di puntare su soluzioni vincenti per i cittadini e le imprese italiane, come rinnovabili e efficienza.
I biocombustibili avranno un impatto limitato per la decarbonizzazione dei trasporti. Anche raggiungendo le aspirazioni del Governo al 2030, spinte dalle priorità di Eni come primo produttore nazionale, questi raggiungerebbero appena il 15% dei consumi. Obiettivo messo in discussione dalla competizione del trasporto elettrico, che sarà sempre più economico, sostenibile e disponibile su larga scala rispetto ai biocombustibili. Investire su di essi significa inoltre aggravare la dipendenza energetica dalle importazioni: già oggi quasi la metà delle biomasse per la produzione di biocarburanti provengono da Cina e Indonesia e con nuovi investimenti previsti in Africa questa dipendenza può solo aumentare, senza garanzie effettive di sostenibilità ambientale e sociale.
Puntare sul nucleare per l’Italia sarebbe la scelta meno pragmatica e meno economica. L’Italia non dispone di alcun impianto e tra tempi di accettazione sociale, concessione, pianificazione e costruzione, il nucleare da fissione non arriverebbe realisticamente prima di 15-20 anni. Già oggi tecnologie immediatamente disponibili e con ricadute positive su occupazione locale, come impianti fotovoltaici ed eolici (soprattutto per quanto riguarda installazione e vendite), reti elettriche a batterie, sono più economiche del nucleare. E possono decarbonizzare il settore elettrico italiano al 2035, in linea con il preciso impegno G7 che vige dal 2022, in modo sicuro senza ricorrere al nucleare. Infine, sul nucleare da fusione non vi è ad oggi alcuna evidenza scientifica né di mercato di una reale disponibilità commerciale prima di metà secolo, nonostante il marketing e l’importante azione di pressione messa in campo da Eni.
La Ministeriale di Torino è dunque un momento importante per scegliere e accelerare il futuro tecnologico dei Paesi G7. La neutralità tecnologica di per sé non esiste, in quanto ogni tecnologia ha ricadute economiche, sociali, industriali e geopolitiche molto diverse. Come Cina e Stati Uniti, anche l’Europa deve scegliere le tecnologie su cui puntare. Sbagliare ora per conservare interessi costituiti e puntare su tecnologie dai bassi benefici e non presenti in Italia significa essere tagliati fuori dai mercati del ventunesimo secolo.
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