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Ennesimo decreto energia? Bene, ma non perdiamo lucidità

La crisi dei prezzi dell’energia, la conseguente spinta inflativa e il rischio di una successiva recessione sono innescate – come già avvenuto in passato – da un incremento violento dei prezzi delle fonti fossili, oggi soprattutto il gas naturale.

L’invasione dell’ Ucraina da parte della Russia ha esacerbato il problema e reso evidente il potere monopolistico del fornitore russo. Questo, in particolare per l’Italia, è un problema secondario rispetto alla dipendenza dal gas tout court.

Dipendenza che, anche a prescindere dalla crisi russa, continuerebbe a esporci all’instabilità dei prezzi nell’ambito di un mercato del gas che si è trasformato da regionale a globale. In altri termini: la prossima crisi potrebbe originarsi da nuovi problemi geopolitici che oggi non possiamo prevedere, e verosimilmente si rifletterebbe sul prezzo del gas in arrivo da tutte le fonti disponibili, quand’anche diversificate. Inoltre, la realizzazione di nuove infrastrutture gas incrementa l’esposizione finanziaria delle nostre economie in questo settore, la cui domanda vedrà una veloce sostituzione per effetto delle politiche per il clima. Infatti, il green deal europeo prevede già al 2030 una riduzione dei consumi di gas del 40% per il solo effetto delle politiche ambientali.

Accelerare l’uscita dalle fonti fossili, come chiesto dalla comunicazione della Commissione europea su RePowerEU, è quindi l’obiettivo strategico fondamentale di medio periodo, ed è anche l’unico sinergico con le politiche del clima in linea con l’obiettivo 1.5, che prevedono una sostanziale decarbonizzazione dei consumi elettrici già entro un decennio (per i paesi G7 al 2035) e la neutralità climatica dell’intera economia ben entro il 2050. 

Nel breve periodo, ossia come affrontare il prossimo inverno anche in caso di chiusura del flusso dalla Russia, occorre valutare i tempi di risposta delle possibili opzioni da un lato e la coerenza con l’obiettivo di decarbonizzazione dall’altro, per evitare di gettare risorse in direzioni contraddittorie rispetto all’obiettivo di medio termine.

Strumenti da includere senz’altro sono risparmio ed efficienza energetica, il cui potenziale dev’essere quantificato e considerato a tutti gli effetti come una fonte di energia, e non come un vago auspicio.

Il primo (risparmio) richiede un coinvolgimento della cittadinanza per ridurre tutti i consumi che non comportino effetti negativi sulle filiere economiche – in particolare manifatturiere -, e andrebbe esteso attraverso opportune campagne anche ai consumi privati e non solo a quelli pubblici come recentemente previsto nella conversione del decreto “bollette”. Se da un lato, infatti, dall’inizio del conflitto l’industria ha ridotto i propri consumi di gas, al contrario il settore civile li ha aumentati rispetto allo stesso periodo del 2019 e 2021 (dati ISPI). Risparmio non può essere eguagliato a sacrificio nel momento in cui si vanno a limitare gli sprechi e le inefficienze del sistema senza generare un cambio radicale dello stile di vita (che pur in certi aspetti andrebbe ripensato). 

La seconda (efficienza) è un’azione che anch’essa offre contributi significativi in un periodo non superiore a quello necessario alla realizzazione di nuove infrastrutture gas. Secondo le nostre analisi, il solo effetto dell’efficientamento previsto dalle direttive europee ammonta a 2,3 miliardi di m3 nel giro di 3 anni e potrebbe estendersi a 4,6, considerando gli obiettivi del pacchetto Fit for 55.

Politiche per l’efficienza sono già in essere, come ad esempio il “superbonus” edilizio -, che però andrebbe aggiornato eliminando l’inclusione di caldaie a gas tra gli investimenti incentivati. Anche nel settore dell’industria, in particolare quella più energivora, è necessario introdurre requisiti di efficientamento, per esempio subordinandovi le misure di mitigazione del prezzo dell’energia.
Una socializzazione a qualunque costo degli oneri di riempimento degli stoccaggi di gas sarebbe irresponsabile, soprattutto se non affiancata a tutte le azioni possibili di riduzione dei consumi (che equivalgono del resto a più gas disponibile per stoccaggio). La nuova produzione nazionale, invece, è già sussidiata da un’esenzione generalizzata del pagamento delle royalty e sarebbe ulteriormente anticompetitiva se fosse oggetto di aiuti selettivi nell’ambito dei contratti di lungo termine su cui è già previsto l’intervento del GSE. Tale opzione andrebbe pertanto legata a una strategia di phase-out complessivo del gas per riportare coerenza tra politiche energetica e climatica.

Riguardo a questo e alla irrilevanza quantitativa del nuovo gas nazionale, ECCO ha scritto qui.

Lo sviluppo delle rinnovabili nel settore elettrico è il contesto con i maggiori potenziali di diversificazione dal gas russo, con un contributo stimato tra i 9 e i 15 miliardi di m3 in tre anni ovvero fino a coprire metà delle attuali forniture russe. L’accelerazione delle rinnovabili richiede di ripensare la logica del capacity market, frutto di una strategia anacronistica del Governo che pone il gas come unico complemento alle fonti rinnovabili per la produzione elettrica, inoltre eccessivamente remunerato tra le componenti regolate della bolletta (quasi 40€/MWh nelle ore di picco).

Sul piano della generazione elettrica non c’è molto da inventarsi, tutti gli scenari – da IEA a IRENA – indicano solare ed eolico come le fonti più convenienti (e rapide da realizzare una volta autorizzate). Elettricità Futura ha affermato che le imprese associate (che rappresentano la sola componente confindustriale) hanno progetti pronti per ben 60 GW in tre anni. Trovare il modo di autorizzarli rapidamente è di gran lunga la sfida fondamentale per la governance dell’energia in Italia.

Infine, un maggior uso delle centrali a carbone, incoerente con la strategia di decarbonizzazione del settore energia e con la tutela dell’ambiente, sta già avvenendo in conseguenza alla perdita di competitività del gas (la sola centrale di Civitavecchia ha raddoppiato la produzione nel primo trimestre 2022 rispetto a un anno prima). Sarebbe opportuno chiedersi come sia possibile che gli straordinari extraprofitti di questo comparto (quasi 130 €/MWh di margine al netto dei permessi ad emettere CO2 lo scorso marzo contro meno di 4 un anno prima!) siano ignorati dalla Robin Hood Tax anti clima con cui il Governo ha voluto colpire selettivamente le fonti rinnovabili, contro ogni sensatezza di segnale strategico agli investimenti.

L’analisi di dettaglio di ECCO su quali sono, e quanto valgono in termini di m3 di gas risparmiabili, le azioni opportune per affrontare la crisi è qui.

I contributi del pacchetto clima, ovvero risparmio, efficienza e rinnovabili, devono essere quantificati e chiaramente visibili tra le opzioni di diversificazione del Governo.

 

Photo by Kelly L from Pexels

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