A settembre, il percorso verso la COP30 ha fatto tappa in Etiopia per due appuntamenti di portata strategica per la diplomazia climatica africana e globale: l’Africa Climate Week (1-6 settembre) e l’Africa Climate Summit (ACS2, 8-10 settembre). Entrambi tenutisi nella capitale etiope, Addis Abeba, a due anni dalla prima edizione degli eventi ospitata dal Kenya. La Climate Week rientra nel calendario di eventi organizzati dalle Nazioni Unite (UNFCCC) per avanzare l’azione sul clima. L’evento, che ha riunito negoziatori, esperti, società civile e settore privato, è stato un momento di confronto sulle sfide dell’adattamento, della finanza e dell’innovazione. L’ACS2, invece, organizzato dall’Unione Africana e dalla Repubblica Federale Democratica d’Etiopia, ha rappresentato il vertice politico in cui i leader africani si sono riuniti per articolare una voce comune sul clima.
La doppia natura degli eventi di Addis Abeba – laboratorio tecnico e piattaforma politica – riflette l’ambizione del continente africano di ridefinire il proprio ruolo nella transizione globale, proponendosi come laboratorio di soluzioni e modelli alternativi di sviluppo e nuova voce della diplomazia climatica globale. Le aspettative erano molto alte. In un momento segnato da una profonda crisi del multilateralismo, dall’erosione della fiducia nei meccanismi di cooperazione internazionale e da crescenti tensioni geopolitiche, l’ambizione africana non rappresenta solo una risposta alle esigenze e alle vulnerabilità strutturali del continente, ma un tentativo di proporre una nuova leadership globale, che sia capace di coniugare crescita, giustizia climatica e innovazione.
Nonostante segnali scoraggianti, come la scarsa partecipazione di capi di stato e di governo (soprattutto a confronto con la prima edizione di Nairobi), il Vertice ha saputo riflettere la consapevolezza che la sfida climatica non può essere affrontata senza una convergenza tra visione, strumenti e leadership. In un contesto di crescente frammentazione, l’Africa ha scelto di presentarsi come attore propositivo, capace di mobilitare risorse, innovazione e consenso attorno a una nuova agenda climatica, che guarda alla COP30 di Belém come tappa cruciale di un percorso di autodeterminazione e responsabilità globale. Come ha affermato il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed all’apertura del vertice: “non siamo qui per negoziare la nostra sopravvivenza, ma per definire la prossima economia climatica mondiale.”
Il Vertice si è articolato attorno alla richiesta di una finanza climatica che superi la logica dell’aiuto e che venga riconosciuta come responsabilità e forma di riparazione da parte Nord Globale verso i paesi più vulnerabili, in grado di colmare un divario che vede il continente ricevere appena l’1-3% dei flussi globali, prevalentemente sotto forma di prestiti. Tra i vincoli finanziari che frenano lo sviluppo il problema dell’insostenibile peso del debito pubblico e di un’architettura finanziaria globale sbilanciata verso il finanziamento basato sui prestiti, come evidenziato a più riprese dal Presidente del Kenya William Ruto, rimane infatti una questione fondamentale. Tra il 2013 e il 2024, il debito pubblico estero del continente è quasi raddoppiato, passando da 395,5 miliardi di dollari a 690, pari al 24% del PIL del continente.
A maggio, i leader africani avevano adottato la Dichiarazione di Lomé alla conclusione della prima Conferenza dell’Unione Africana sul debito, in Togo e, parallelamente, hanno richiesto una riforma urgente del Common Framework del G20 per la ristrutturazione del debito. Già il primo Africa Climate Summit di Nairobi, nel 2023, aveva affrontato questo stallo, da un lato, mobilitando oltre 49 miliardi di dollari in impegni (di cui, però, secondo il bilancio della Commissione dell’Unione africana, solo uno è stato erogato) e, dall’altro, pubblicando la Dichiarazione di Nairobi, una richiesta di nuove forme di tassazione globale per sostenere l’azione climatica e soprattutto di riforma delle istituzioni finanziarie internazionali. L’obiettivo è bilanciare gli squilibri di potere che persistono nella finanza climatica globale e nei processi decisionali, come riflesso di dinamiche di potere tra il Nord e il Sud globali risalenti all’era coloniale, affinché “la finanza climatica sia equa, significativa e prevedibile”, come auspicato da Mahamoud Ali Youssouf, presidente della Commissione dell’Unione africana.
Adattamento e crescita sostenibile
Al centro del dibattito, oltre alla finanza, si sono imposti i temi dell’adattamento e della crescita sostenibile, con un attenzione particolare verso l’energia rinnovabile. L’adattamento, spesso relegato a tema secondario nelle agende globali, è stato riconosciuto come test di credibilità del regime climatico: i Piani Nazionali di Adattamento devono diventare linee di investimento, integrate nella pianificazione nazionale e nei sistemi di valutazione delle banche multilaterali, con indicatori trasparenti che traccino sia il volume che la qualità delle risorse.
La crescita sostenibile, invece, è stata declinata come esigenza di una industrializzazione verde, capace di creare lavoro, resilienza e valore aggiunto locale, superando la logica estrattiva che ha storicamente caratterizzato la relazione tra Africa e Nord globale. Le energie rinnovabili sono al centro di questa ambizione. Come evidenziato da un recente rapporto commissionato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, il continente detiene il 60% del potenziale solare, ma riceve solo il 2% degli investimenti globali in energia pulita. Il costo del solare, secondo IRENA, è ormai inferiore del 41% rispetto ai fossili, e oltre il 90% delle nuove capacità installate a livello globale sono rinnovabili, ma per mantenere il target 1.5°C i flussi di capitale verso l’Africa dovranno aumentare di oltre cinque volte entro il 2030. Anche la gestione sostenibile e trasparente dei minerali critici, di cui il continente abbonda, è emersa come questione fondamentale nel favorire lo sviluppo sostenibile, attraverso la creazione di filiere locali a valore aggiunto e riducendo la dipendenza dalle esportazioni di materie prime non lavorate.
Gli accordi internazionali
In questo contesto, si inseriscono le numerose partnership e iniziative internazionali lanciate durante il Vertice. Come la firma di un accordo tra istituzioni finanziarie africane e banche commerciali per mobilitare fino a 100 miliardi di dollari a sostegno dell’industrializzazione verde. Il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed ha lanciato inoltre una proposta per una Africa Climate Innovation Compact, finanziata dal continente stesso, con l’obiettivo di sviluppare “mille” soluzioni locali entro il 2030, coinvolgendo università, centri di ricerca, startup e comunità rurali. L’ambizione dichiarata è quella di fare dell’Africa il primo continente a industrializzarsi senza compromettere i propri ecosistemi, ribaltando la narrazione storica di dipendenza e marginalità.
Il ruolo dell’Europa
L’UE era presente con una delegazione guidata dalla vicepresidente della Commissione Europea Teresa Ribera. Attraverso il Global Gateway, l’UE si è impegnata a mobilitare 150 miliardi di euro entro il 2027 per sostenere la resilienza climatica e la transizione energetica africana, lanciando due iniziative chiave: il Continental Energy Programme in Africa (CEPA), che con 15 milioni di euro apre una nuova fase di cooperazione sul mercato elettrico unico africano e sull’efficienza energetica, e il programma RISED Ethiopia, con 133 milioni già stanziati per modernizzare e rendere più verde la rete elettrica etiope. Queste iniziative si inseriscono nella campagna “Scaling up Renewables in Africa”, lanciata dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e dal presidente sudafricano Cyril Ramaphosa.
Il ruolo dell’Italia
Anche l’Italia era presente con una delegazione guidata dal Sottosegretario di Stato al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica Claudio Barbaro. Il nostro Governo si è posto l’obiettivo di rafforzare la cooperazione con l’Etiopia nel quadro dell’Adaptation Accelerator Hub, un’iniziativa lanciata nel corso della Presidenza italiana del G7 (2024) pensata per accompagnare i paesi più vulnerabili nella realizzazione di strategie di investimento nell’adattamento al cambiamento climatico attraverso progetti solidi e finanziabili, con particolare attenzione ai sistemi alimentari sostenibili, all’agricoltura resiliente e alla gestione integrata delle risorse idriche. L’Hub propone di trasformare la pianificazione in azioni concrete, capaci di attrarre investimenti pubblici e privati a beneficio delle comunità locali. Questa azione si colloca all’interno di una più ampia strategia di rilancio della cooperazione Italia-Africa, che trova nel Piano Mattei il suo principale strumento operativo. Tuttavia, la riuscita del Piano dipenderà dalla capacità di integrare le iniziative con una visione strategica coerente, evitando sovrapposizioni e assicurando che gli interventi siano realmente orientati allo sviluppo sostenibile e alla sicurezza climatica del continente.
Il futuro dell’Africa nell’azione climatica
Il Vertice si è configurato come un momento di riflessione e incontro, in cui l’Africa ha rivendicato ambizioni di leadership. I documenti finali adottati a chiusura del Vertice, la Dichiarazione di Addis Abeba Accelerating Global Climate Solutions: Financing for Africa’s Resilient and Green Development e il Flaship Report delle iniziative, sembrano riflettere questa volontà. La sfida, ora, è tradurre questa ambizione in risultati concreti, a partire dai prossimi appuntamenti di New York, gli incontri della Banca Mondiale, il G20 Sudafricano fino ad arrivare alla COP30 di Belém, in un anno decisivo per il futuro della governance climatica globale.
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