CCS è l’acronimo di Carbon Capture and Storage, ovvero la cattura, il trasporto e lo stoccaggio della CO2. Si parla spesso anche di CCUS, maggiori dettagli sulla differenza con CCS sono nel testo.
Le domande e risposte in questa analisi includono:
Quali sono i tassi di cattura e stoccaggio della CO2?
Quali sono i costi legati alle tecnologie CCS?
Che rilevanza hanno le tecnologie CCUS negli scenari IEA e IPCC?
Quale ruolo è previsto per la CCS nella strategia di decarbonizzazione dell’Italia?
Quale ruolo è previsto per la CCS nella strategia di decarbonizzazione dell’Europa?
Quali sono le questioni da tenere in considerazione nel valutare lo sviluppo delle tecnologie CCS?
Cosa significano i termini “abated” e “unabated”?
Sintesi dei punti chiave e raccomandazioni
Attualmente, circa 40 impianti commerciali di cattura della CO2 sono operativi a livello globale, catturando annualmente 45 milioni di tonnellate di CO2, equivalenti allo 0,12% delle emissioni globali del 2022 legate all’energia. Ad oggi, senza un adeguato quadro normativo, la CCS a fini ambientali manca di un business case che ne consenta lo sviluppo.
È difficile, stabilire in modo certo i tassi reali e potenziali di cattura degli impianti installati su scala industriale. La maggior parte degli impianti esistenti non pubblica i tassi di cattura effettivi registrati in ambito operativo. Secondo alcuni studi disponibili, i tassi effettivi sono significativamente più bassi rispetto a quelli teorici, anche se in letteratura il dibattito resta aperto. Al contrario, per impianti per produzione di ammoniaca (e quindi, per estensione anche in impianti idrogeno basati su ATR), bioetanolo e upgrading di gas naturale, i tassi di separazione sono già, ad oggi, molto alti (>95%). Questo perché serve raggiungere una rimozione spinta della CO2 per ottenere una qualità del prodotto adeguata o per un efficace funzionamento dell’impianto.
È chiaro, però, che per quanto riguarda l’utilizzo di questa tecnologia come strumento di mitigazione delle emissioni industriali siamo ancora in fase di sviluppo a livello commerciale, e non è possibile dimostrare con certezza la crescita percentuale nel tempo delle emissioni catturate.
I costi d’investimento variano, in base alla tecnologia adottata e la concentrazione di CO2. Secondo dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (International Energy Agency – IEA), possono arrivare fino a 120€ per tonnellata e oltre i 300€ nel caso della direct air capture (DAC). A questi vanno aggiunti quelli relativi ai rischi e ai costi di gestione che ricadono sulle future generazioni per la manutenzione e il monitoraggio dei siti.
Per la IEA, la tecnologia CCS non deve essere utilizzata per mantenere lo status quo e dovrebbe invece essere impiegata solo per definiti e limitati settori industriali, anche alla luce degli alti costi di investimento e utilizzo. L’IPCC prevede un quantitativo di 3 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno catturate al 2050, poiché non ancora adeguatamente testate su larga scala. Sia la IEA che l’IPCC prevedono che lo sviluppo delle tecnologie CCS avverrà principalmente dopo il 2030.
Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), dell’Italia, del 2024, identifica i settori dell’industria hard to abate, della produzione termoelettrica, dell’idrogeno blu e della gestione dei rifiuti come aree chiave per l’applicazione della CCS, promuovendo la creazione di hub per il trasporto e lo stoccaggio di CO2, anche in collaborazione con Francia e Grecia. Attualmente, il progetto principale in fase di sviluppo è quello di Eni e Snam, che prevede un impianto di stoccaggio a largo di Ravenna, con una prima fase che inizierà nel 2024 e una capacità di iniezione di 25.000 tonnellate di CO2 all’anno, destinata ad aumentare a 4 Mt entro il 2030. Il PNIEC stima un potenziale di stoccaggio di 749 Mt nelle zone onshore e offshore identificate. Il potenziale di stoccaggio degli acquiferi salini in Italia non è completamente noto, sono in corso studi per una sua stima più precisa.[1]
Seguendo le indicazioni IEA e IPCC, il ruolo della CCS oggi (specialmente in Europa) dovrebbe essere limitato e indirizzato alle sole emissioni non altrimenti evitabili, ovvero lì dove non vi siano alternative disponibili, come nel caso della gestione delle emissioni di processo derivanti da alcuni processi industriali, come la produzione di clinker per cemento.
Affidarsi alla CCS presuppone di considerare e risolvere importanti questioni, tra cui:
- la responsabilità pubblico/privato nella gestione dei siti nel tempo;
- i volumi di stoccaggio che, per quanto ampi, non sono infiniti;
- il rischio di perpetuare la dipendenza estera da fonti fossili, se la CCS viene applicata a processi che utilizzano combustibili fossili.
Per lo sviluppo e pianificazione dell’uso della CCS in Italia, occorrerebbe seguire, quindi, alcuni principi:
- valutare tutte le alternative disponibili in termini di costi e benefici ambientali, economici e sociali, nell’individuare i settori e le emissioni a cui dedicare l’utilizzo della CCS rispetto ad altre soluzioni di decarbonizzazione più efficienti e/o non dipendenti dall’uso di risorse fossili;
- assicurare la completa trasparenza nei quantitativi di CO2 che saranno catturati e stoccati, definendo senza ambiguità a quali settori verrà destinato l’uso di tali tecnologie;
- mantenere canali di consultazione e coinvolgimento attivo delle autorità pubbliche locali, dei territori e della società civile nello sviluppo dei progetti e nel successivo monitoraggio;
- individuare le fonti di finanziamento coerentemente con i settori o processi industriali che dovranno fare ricorso alle tecnologie CCS. Ad esempio, nel caso di utilizzo dei siti di stoccaggio ai fini della riduzione delle emissioni di settori industriali hard to abate che ricadono nell’EU ETS, i proventi delle aste derivanti da tale sistema potrebbero essere un’efficace fonte di finanziamento, che non grava sul bilancio dello Stato o sulla fiscalità o para-fiscalità.
Cosa si intende con CC(U)S?
La cattura, il trasporto e lo stoccaggio della CO2 (CCS – Carbon Capture and Storage) consiste in procedure per separare l’anidride carbonica dalle fonti energetiche, dai gas emessi da combustione o da processi industriali e di trasportarla in un sito per lo stoccaggio a lungo termine.
In alternativa, la CO2 può essere impiegata in processi industriali per generare prodotti chimici, materiali da costruzione o combustibili. Tale approccio è noto con l’acronimo CCU (Carbon Capture and Use). In questo caso, lo stoccaggio di CO2 non può essere considerato permanente, perché questa sarà rilasciata in atmosfera nel momento in cui il prodotto sarà consumato (nel caso di combustibili, per esempio) o arriverà a fine vita e sarà smaltito in un inceneritore (nel caso, per esempio, di materiali plastici).
È anche importante differenziare l’origine della CO2 che viene catturata. Questa può essere di origine fossile, biologica o atmosferica.
- Se la CO2 deriva da processi industriali che rilasciano CO2 immagazzinata in risorse fossili, la CCS mitiga l’impatto climatico di questi processi;
- Se la CO2 è catturata dai gas derivanti dalla combustione di biomassa, si parla di BECCS (Bioenergy with Carbon Capture and Storage), in questo caso la CCS è in grado di ‘assorbire’ emissioni (anche generare emissioni negative) perché previene il rilascio in atmosfera e lo stoccaggio permanente di CO2 che era stata immagazzinata in materiale biologico;
- Nel caso di cattura dall’aria atmosferica si parla di DAC (Direct Air Capture), che ha effetti simili al BECCS, ottenendo emissioni negative.
Nel conteggio netto della riduzione di emissioni grazie alla CCS è fondamentale prendere in considerazione la provenienza della CO2 e dove verrà immagazzinata per poter fare una contabilizzazione accurata. È, inoltre, fondamentale considerare le emissioni dovute alla produzione di energia che viene impiegata per far funzionare il processo.
Vi sono diverse alternative disponibili per la cattura della CO2, che possono essere raggruppate in tre categorie [2]:
- Cattura pre-combustione, che consiste nella rimozione del carbonio dai combustibili fossili. Si realizza in impianti di gassificazione del carbone o in impianti a gas sfruttando la reazione di reforming del metano[3], tecnica utilizzata per la produzione del cosiddetto “idrogeno blu”. Il tasso di cattura della CO2 associato a queste tecnologie è compreso fra il 79%[4] e il 95%[5].
- Cattura post-combustione, che consiste nella rimozione della CO2 dai fumi, a valle del processo di combustione. La cattura post-combustione può essere realizzata in diverse modalità e l’assorbimento con ammine è l’unica tecnologia industrialmente validata su larga scala, implementabile in impianti di generazione termoelettrica e industriali. Il principale aspetto critico riguardante questo processo è l’elevato consumo energetico necessario per la rigenerazione dei solventi. Inoltre, non è di secondaria importanza il fatto che le ammine sono generalmente tossiche e quelle aromatiche sono composti potenzialmente cancerogeni. Dalla letteratura emerge che il tasso di cattura dell’assorbimento con ammine è compreso fra l’85%e il 90%, variabile a seconda del settore di impiego.
- Ossicombustione, una tecnica di combustione in ossigeno puro, che permette di ottenere un flusso di gas combusti costituiti principalmente da anidride carbonica e acqua. Una volta separato il vapore acqueo tramite condensazione, si ottiene un flusso di gas ricco di CO2. In questi sistemi il principale consumo energetico aggiuntivo è l’energia elettrica richiesta dai compressori dell’unità di separazione dell’aria. L’ossicombustione permette di raggiungere un tasso di cattura della CO2 del 79%.
In linea generale, più la CO2 è concentrata, meno energia serve per catturarla (e quindi più è basso il costo e più alti i potenziali tassi di cattura). Per questo, i costi della DAC sono oggi proibitivi (oltre ai 500 USD per tonnellata secondo alcune fonti accademiche e fino a più di 300 secondo l’IEA) dato che la concentrazione di CO2 in atmosfera è molto più bassa (circa lo 0,04%) che la CO2 nei gas post-combustione o nei gas di scarto industriali.
Quali sono i tassi di cattura e stoccaggio della CO2?
A oggi è difficile stabilire quali siano gli effettivi tassi di cattura e stoccaggio della CO2 su scala industriale dati i pochi esempi di sistemi di CCS a oggi in funzione. La letteratura accademica è divisa sui valori. Da un lato, studi come quello dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis sostengono che i tassi di cattura effettivi sono significativamente più bassi rispetto a quelli teorici (Figura sotto).
Figura – Tassi di cattura della CO2 reali su scala commerciali in impianti per la produzione di idrogeno blu, centrali termoelettriche a carbone, impianti di trattamento del gas naturale e di gassificazione[6].
Dall’altro, però, ci sono studi come quello di Bauer et al. (2022) che sostengono che “la tecnologia di cattura della CO2 è già sufficientemente matura per consentire tassi di rimozione a lungo termine nell’impianto di produzione di idrogeno superiori al 90%. Tassi di cattura prossimi al 100% sono tecnicamente fattibili, con una leggera riduzione dell’efficienza energetica e un aumento dei costi, ma devono ancora essere dimostrati su scala.”
Attualmente, circa 40 impianti commerciali di cattura della CO2 sono operativi a livello globale, catturando annualmente 45 milioni di tonnellate di CO2, equivalenti allo 0,12% delle emissioni globali del 2022 legate all’energia[7].
L’industria del petrolio e del gas è uno dei leader mondiali nello sviluppo di questa tecnologia anche perché, ad oggi, l’unico sbocco economicamente conveniente per la CO2 catturata è funzionale proprio alle attività di estrazione degli idrocarburi mediante la tecnica del recupero avanzato del petrolio (EOR – Enhanced Oil Recovery). Questo processo prevede l’iniezione della CO2 nei giacimenti petroliferi per aumentare la pressione complessiva all’interno del giacimento stesso e facilitare l’estrazione del petrolio.
Ci sono, infine, processi industriali che già oggi prevedono la totale separazione della CO2 da altri gas, come per esempio l’estrazione di metano e la produzione di ammoniaca. Questo dimostra che nei processi industriali dove c’è un motivo economico per farlo, la separazione della CO2 è un processo che avviene su scala industriale ed è quindi replicabile. Purtroppo, però, dati gli alti costi dell’energia e i bassi costi delle quote di CO2, i progetti di CCS per la decarbonizzazione oggi esistenti in Europa (come Norcem) si limitano a catturare solo una parte delle emissioni. La dimostrazione dell’efficacia di queste tecnologie su scala industriale sarà idealmente dimostrata con l’entrata in funzione dei progetti finanziati dall’Innovation Fund negli ultimi anni.
Quali sono i costi legati alle tecnologie CCS?
I costi d’investimento variano, in base alla tecnologia adottata e la concentrazione di CO2. Secondo dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (International Energy Agency – IEA) riportati nel grafico sotto possono arrivare fino a 120€ per tonnellata e oltre i 300 nel caso della Direct Air Capture (DAC). A questi vanno aggiunti quelli relativi ai rischi e ai costi di gestione che ricadono sulle future generazioni per la manutenzione e il monitoraggio dei siti.
Oltre ai costi di cattura è fondamentale anche includere i costi di trasporto e il successivo stoccaggio della CO2. Questi costi sono altamente variabili, perché dipendono dalla distanza fra il sito di cattura e stoccaggio, dalla modalità di trasporto, dalla possibilità di utilizzare infrastrutture esistenti o condivise, dai volumi trasportati, e dalle caratteristiche geologiche del sito di stoccaggio. Un range indicativo secondo l’IEA è tra i 15 e i 50 € per tonnellata.
Nel calcolo dei costi andrebbero inoltre considerati anche quelli relativi ai rischi associati allo stoccaggio e i costi che coinvolgono le future generazioni nella gestione del rischio e nella manutenzione e nel monitoraggio dei siti.
Che rilevanza hanno le tecnologie CC(U)S negli scenari IEA e IPCC?
Gli scenari di decarbonizzazione della IEA e dell’IPCC mostrano come l’eliminazione di tutti i combustibili fossili debba essere l’elemento principale di qualsiasi strategia basata di contrasto al cambiamento climatico che si basi sulla scienza.
L’IEA afferma che la CC(U)S è una tecnologia essenziale per ottenere emissioni nette pari a zero in determinati settori industriali, ma non deve essere utilizzata per mantenere lo status quo. Se il consumo di petrolio e gas naturale dovesse evolvere nell’ambito delle attuali politiche e dei piani di sviluppo delle compagnie di Oil & Gas, ciò richiederebbe la cattura e lo stoccaggio di 32 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2 al 2050 per limitare l’aumento della temperatura media globale entro 1.5°C. Ciò implicherebbe un consumo di energia elettrica di 26 mila TWh (valore superiore alla domanda globale di energia elettrica nel 2022) e un investimento di oltre 3,2 mila miliardi di euro. Nello scenario di decarbonizzazione allineato a 1.5°C (NZE nella figura sotto), l’IEA attribuisce alle tecnologie CC(U)S un ruolo relativamente marginale nel medio periodo (2035) per la riduzione 2.5 miliardi di tonnellate di CO2 (Gt) all’anno a livello globale, per arrivare nel lungo periodo a 5.9 Gt.
Fonte: Word Energy Oulook 2024
L’IPCC prevede 3 Gt di CO2 all’anno catturate al 2050, evidenziando che un eccessivo affidamento su queste tecnologie rappresenta un rischio per il conseguimento degli Obiettivi di Parigi, poiché non ancora adeguatamente testate su larga scala.
Sia l’IEA che l’IPCC prevedono che lo sviluppo delle tecnologie CC(U)S avvenga principalmente dopo il 2030.
Quale ruolo è previsto per la CCS nella strategia di decarbonizzazione dell’Italia?
La Strategia Nazionale di Lungo Termine dell’Italia, ora in fase di revisione, prevedeva un abbattimento delle emissioni di CO2 tra i 20 e i 40 milioni di tonnellate entro il 2050, grazie all’implementazione della CCS. Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), pubblicato a metà 2024 e, sulla base del quale, la Strategia dovrà essere rivista, identifica i settori dell’industria hard to abate, della produzione termoelettrica, della produzione di idrogeno blu e della gestione dei rifiuti come ambiti prioritari per l’applicazione della CCS.
Uno dei punti salienti del PNIEC è la creazione di hub per il trasporto e lo stoccaggio di CO2, promuovendo soluzioni regionali che seguono l’esempio del Mare del Nord. In particolare, l’Italia intende collaborare con Francia e Grecia per sviluppare un Piano Mediterraneo per la CCS. Questo progetto si propone di integrare le emissioni provenienti da fonti esterne, come la Francia, che potrebbero contribuire con oltre 1 milione di tonnellate all’anno di CO2, oltre a quelle degli impianti nazionali, che si stimano essere almeno 3,6 milioni di tonnellate all’anno. Inoltre, entro la metà del 2030, si prevede la cattura e l’esportazione di CO2 dall’Italia verso la Grecia attraverso il progetto Prinos.
Attualmente, il principale progetto in fase di sviluppo è quello realizzato da Eni e Snam, che prevede la creazione di un impianto di stoccaggio di CO2 al largo della costa di Ravenna. Nel 2023 è stata rilasciata l’autorizzazione per il programma sperimentale “CCS Ravenna Fase 1”, con operazioni di iniezione che sono iniziate a settembre 2024. Questa fase avrà una capacità di iniezione di 25.000 tonnellate di CO2 all’anno, provenienti dalla centrale Eni di trattamento del gas naturale di Casalborsetti. Le emissioni catturate verranno stoccate in un giacimento a gas esausto, situato nell’offshore del ravennate. A partire dal 2027, si prevede di avviare la Fase 2, con una capacità di iniezione di 4 milioni di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2030, e potenziali ulteriori espansioni fino a 16 milioni di tonnellate all’anno entro il 2040-2050.2 all’anno entro il 2030, e potenziali ulteriori espansioni fino a 16 milioni di tonnellate all’anno entro il 2040-2050.
In aggiunta, il PNIEC prevede la creazione di progetti di interesse comunitario (PCI) nel Mediterraneo, come il “Callisto Mediterranean CO2 Network” e il “Prinos CO2 storage“. Questi progetti mirano a fornire un’infrastruttura di stoccaggio della CO2 accessibile alle industrie e alle centrali elettriche della regione, facilitando così la decarbonizzazione.
Il potenziale di stoccaggio identificato dal PNIEC è significativo: si stima che l’hub offshore di Ravenna possa contenere fino a 515 Mt, a cui si aggiungono 130 Mt dal Jonio Hub, 69 Mt onshore nell’area di Ravenna e ulteriori 35 Mt onshore in Sicilia. Inoltre, da letteratura, si stimano capacità di stoccaggio potenziale in acquiferi salini tra circa 3 e 5 miliardi di tonnellate di CO2, valori, tuttavia, del tutto indicativi dal momento che dovrebbero essere verificati con caratterizzazioni operative più specifiche.
Il PNIEC identifica anche i volumi di emissioni di CO2 dei principali potenziali ambiti di applicazione della CC(U)S riportando i dati di emissioni del 2022. Nel settore industriale hard to abate sono state identificate un totale di 67,5 Mt di CO2 di cui 13,1 Mt sono emissioni di processo. Il settore dell’incenerimento dei rifiuti ha generato circa 7,5 Mt di CO2, mentre il termoelettrico ha prodotto 71,4 milioni di tonnellate, con stime di riduzione significative grazie alle misure proposte per il 2030. Eni e Snam hanno recentemente condotto un’indagine di mercato per valutare il potenziale di cattura della CO2 in Italia, raccogliendo manifestazioni di interesse per una potenziale cattura di circa 30 Mt all’anno entro il 2030.
Al 2030, tenendo conto delle attuali stime sul profilo temporale della capacità di iniezione nel sito di stoccaggio di Ravenna e degli sviluppi infrastrutturali attesi, si stima di poter catturare 4Mt di CO2 da emettitori dei settori industriali hard to abate, dell’incenerimento dei rifiuti e della produzione termoelettrica a gas localizzati nel bacino padano e alcuni grandi poli industriali dislocati in corrispondenza di infrastrutture portuali del Paese, al momento, senza ulteriori dettagli.
Quale ruolo è previsto per la CCS nella strategia di decarbonizzazione dell’Europa?
Il Regolamento sull’industria a zero emissioni nette (Net Zero Industry Act – NZIA) adottato il 13 giugno 2024 prevede l’obiettivo di raggiungere una capacità di stoccaggio di 50 Mt all’anno entro il 2030, la CO2 stoccata può derivare sia dalla cattura (CCS) che dalla rimozione del carbonio (attraverso sistemi come DAC e BECCS).
Inoltre, l’articolo 18 dell’NZIA impone un obbligo ai produttori di Oil & Gas nell’UE di contribuire proporzionalmente alla loro produzione di CO2 tra il 2020 e il 2023. Gli Stati Membri possono esentare i loro produttori nazionali se la capacità di iniezione supera la quota di contribuzione del Paese.
L’NZIA, focalizzandosi sull’infrastruttura di stoccaggio, promuove anche lo sviluppo delle infrastrutture per la cattura e il trasporto della CO2, classificando i progetti come strategici per il Net zero.
Il 6 febbraio 2024, la Commissione europea ha, inoltre, adottato la strategia per la gestione industriale del carbonio (Industrial Carbon Management Strategy COM/2024/62), che mira a creare un mercato unico per la CO2 in Europa, e attrarre investimenti nelle tecnologie di gestione del carbonio. La strategia sottolinea l’importanza di un’infrastruttura di trasporto ad accesso aperto e la pianificazione coordinata con le infrastrutture per elettricità e idrogeno, senza però specificare le applicazioni di cattura del carbonio di maggior valore.
Quali sono le questioni da tenere in considerazione nel valutare lo sviluppo delle tecnologie CCS?
Gli scenari di decarbonizzazione della comunità scientifica internazionale suggeriscono un ruolo, ancorché limitato, per il CC(U)S nel raggiungimento degli obiettivi net zero al 2050, con uno sviluppo maggiore successivo al 2030 e 2050.
Affidarsi al CC(U)S oggi, infatti, presuppone di prendere in considerazione e risolvere alcune importanti questioni:
- L’uso del CCS implica importanti problematiche di gestione e responsabilità. Nella gestione nel tempo di tali sistemi occorre impostare adeguati monitoraggi e individuare chiaramente la catena di responsabilità che dovrebbe intervenire nel caso di fallimento nella cattura, di uno stoccaggio inadeguato o di fughe della CO2 immagazzinata nel tempo. Nella scelta dell’impiego di tali soluzioni, quindi, occorrerebbe quantificare anche tali costi, individuando un opportuno orizzonte temporale quantomeno legato ai tempi di permanenza in atmosfera della CO2.
- Volumi di stoccaggio limitati: lo stoccaggio geologico, ad oggi, è l’opzione più probabile per la maggior parte della CO2 catturata[8]. I luoghi idonei per lo stoccaggio permanente della CO2 si dividono tra giacimenti esauriti e acquiferi salini. Il PNIEC stima un potenziale di stoccaggio di 749 Mt nelle zone onshore e offshore identificate, mentre il potenziale di stoccaggio degli acquiferi salini in Italia non è completamente noto. Sebbene il potenziale possa apparire significativo, i volumi di stoccaggio sono molto limitati se teniamo in considerazione le emissioni di CO2 di oggi. Nel caso di un estensivo ricorso allo stoccaggio della CO2, si arriverebbe in fretta a saturare anche questi volumi.
- Permanenza di inquinanti locali: le tecnologie per la cattura della CO2 non consentono di ridurre l’impatto inquinante derivante dall’utilizzo dei combustibili fossili impiegati nell’industria e per la produzione di energia.
- Permanenza della dipendenza estera da fonti fossili: l’utilizzo della CCS in abbinamento ai combustibili fossili non riduce la dipendenza europea dalle importazioni di tali risorse e potenzialmente può comportare un rischio di lock-in in investimenti fossili, poiché gli impianti e le infrastrutture per lo stoccaggio della CO2 richiedono ingenti investimenti di capitale.
Raccomandazioni
Il ruolo della CCS dovrebbe essere limitato e accuratamente utilizzato per le emissioni non evitabili, ovvero laddove non vi siano alternative efficienti disponibili, come nel caso della gestione delle emissioni di processo derivanti da alcuni processi industriali[9].
La CCS può avere un ruolo importante anche nelle applicazioni dove l’origine biogenica della CO2 catturata permette la generazione di emissioni negative.
Per lo sviluppo e pianificazione dell’uso del CCUS in Italia, pertanto, occorrerebbe seguire i seguenti principi:
- valutare tutte le alternative disponibili in termini di costi e benefici ambientali, economici e sociali, nell’individuare i settori e le emissioni a cui dedicare l’utilizzo del CCS rispetto ad altre soluzioni di decarbonizzazione più efficienti e/o non dipendenti dall’uso di risorse fossili;
- assicurare la completa trasparenza nei quantitativi di CO2 che saranno catturati e stoccati, definendo senza ambiguità a quali settori verrà destinato l’uso di tali tecnologie;
- mantenere canali di consultazione e coinvolgimento attivo delle autorità pubbliche locali, dei territori e della società civile nello sviluppo dei progetti e nel successivo monitoraggio;
- individuare le fonti di finanziamento coerentemente con i settori o processi industriali che dovranno fare ricorso alle tecnologie CCS. Ad esempio, nel caso di utilizzo dei siti di stoccaggio ai fini della riduzione delle emissioni di settori industriali hard to abate che ricadono nell’EU ETS, i proventi delle aste derivanti da tale sistema potrebbero essere un’efficace fonte di finanziamento, che non grava sul bilancio dello Stato o sulla fiscalità o para-fiscalità.
Cosa significano i termini “abated” e “unabated”?
Nelle decisioni, nei comunicati dei consessi multilaterali (COP, G7, G20) o negli accordi tra paesi[10] ricorrono sempre più frequentemente gli attributi “abated/unabated” riferiti alle emissioni dall’uso delle fonti fossili. Una traduzione letterale può essere in ‘abbattute’, ovvero ‘eliminate’ dal processo produttivo che ne implica la produzione.
Tipicamente la tecnologia a cui si fa riferimento per ‘l’abbattimento’ delle emissioni da fossili è la CCS. Non esiste, però, una definizione univoca del termine, che sia allo stesso tempo precisa riguardo la quantità di compensazione delle emissioni affinché una fonte fossile possa essere classificabile come abated.
È fondamentale quindi stabilire una definizione precisa e univoca a livello globale, al fine di non lasciare spazio a interpretazioni e assicurarsi che le misure per l’abbandono delle fossili che verranno prese da ciascun Paese siano in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Le tecnologie per l’abbattimento delle emissioni di CO2, infatti, sono molteplici e caratterizzate da tassi di cattura delle emissioni molto variabili. Per definire un processo industriale o di generazione elettrica come abated bisognerebbe definire, anche, il destino della CO2 catturata, in quanto l’impatto della stessa risulta differente nel caso di stoccaggio geologico di lungo periodo o di utilizzo come feedstock per la produzione di materiali e prodotti caratterizzati da una breve vita utile.
Nel Summary for Policymakers del Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC viene chiarito che per unabated si intendono “i combustibili fossili prodotti e utilizzati senza interventi che permettono di ridurre sostanzialmente la quantità di emissioni di gas serra lungo l’intero ciclo di vita come, ad esempio, del 90% o più della CO2 emessa da centrali termoelettriche o l’abbattimento del 50%-80% delle emissioni fuggitive di metano derivanti dall’approvvigionamento energetico”.
Quelli forniti dall’IPCC sono degli esempi e non vi è una definizione che permetta di classificare in modo inequivocabile quando l’uso dei combustibili fossili sia abated o meno. Alcune fonti suggeriscono che, per poter parlare di abated, tutti gli impianti a carbone o a gas naturale dovrebbero raggiungere un tasso di cattura delle emissioni totali di CO2 di almeno il 90%, con uno stoccaggio permanente della CO2 catturata e, allo stesso tempo, una riduzione tendente a zero (0.2%-0.5%) delle emissioni fuggitive di metano lungo l’intero ciclo di vita[11].
Qualsiasi sia la definizione adottata per abated/unabated, questa deve essere univoca e chiara anche per evitare il rischio di greenwashing e, soprattutto, di divergere in maniera sostanziale rispetto alla direzione dell’abbandono dei combustibili fossili, come indicato dalla scienza.
NOTE
[1] Secondo i vari studi messi in campo per la definizione dei volumi disponibili in acquifero salino i volumi disponibili ammonterebbero a circa 5 Miliardi di tonnellate
[2] “Le tecnologie per la cattura della CO2”, ENEA. https://www.eai.enea.it/component/jdownloads/?task=download.send&id=1168&catid=58&Itemid=101
[3] Reazione di steam reforming del metano: CH4+H2O→CO+3H2
[4] Chan, Y; Petithunguenin, L; Fleiter, T; Herbst, A; Arens, M; Stevenson, P; “Industrial Innovation: Pathways to deep decarbonisation of Industry – Part 1: Technology Analysis”, Fraunhofer ISI, 2019.
[5] Politecnico di Milano.
[6] Schlissel, David; Juhn, Anika; “Blue Hydrogen: Not clean, not low carbon, not a solution”, Institute for Energy Economics and Financial Analysis
[7] Secondo il rapporto IEA (2023), nel 2022 le emissioni globali di CO2 legate all’energia sono cresciute dello 0,9%, pari a 321 milioni di tonnellate, raggiungendo un nuovo massimo di oltre 36,8 miliardi di tonnellate.
[8] “Net Zero by 2050”, iea.
[9] Per quanto riguarda il potenziale di stoccaggio in acquiferi salini, non si dispone invece di una conoscenza completa. Dati riportati nella bozza di Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima di giugno 2023.
[10] Anche in linea con la posizione dell’Unione UE alla COP 28, come stabilita al Consiglio UE del 16 ottobre 2023 https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-14285-2023-INIT/en/pdf
[11] Ad esempio il Glasgow statement https://unfccc.int/sites/default/files/GST/2023-04/Oil%20Change%20International%20-Global%20Stocktake%20Input_Finance%20Flows.pdf
Foto di Loïc Manegarium