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Clima e sicurezza: perché all’Italia serve una nuova Strategia per il Mediterraneo

In questo articolo Annalisa Perteghella riflette su una nuova strategia per il Mediterraneo, sui rischi di instabilità e insicurezza derivanti dal cambiamento climatico nella regione. Un’area definita dalla scienza come hot spot climatico, nella quale azioni di adattamento non possono più essere rimandate. Oltre al rischio siccità, e l’innalzamento del livello del mare, l’instabilità politica, la diversa conformazione dei sistemi economici e la dipendenza di alcune economie dalla rendita nel settore oil&gas aumentano il livello di vulnerabilità. Un contesto nel quale anche l’Italia dovrà dotarsi rapidamente di una strategia di sicurezza climatica in grado di monitorare gli sviluppi, definire le priorità di politica estera ed elaborare politiche di prevenzione e risposta agli impatti. 

Il nesso tra sicurezza e cambiamento climatico è sempre più riconosciuto a livello globale. Secondo il rapporto Climate Change 2022: Impacts, Adaptation and Vulnerability dell’IPCC, gli attuali livelli di riscaldamento globale minacciano vite umane, proprietà, infrastrutture critiche, sistemi energetici e di trasporto; un riscaldamento superiore a 1,5°C renderebbe ancora più complesso e costoso garantire la sicurezza umana, con ricadute su sistemi politici ed economici, stabilità e sicurezza internazionale. L’edizione 2023 del Rapporto sui rischi globali del World Economic Forum, che raccoglie le percezioni relative ai rischi globali per la sicurezza – attraverso un campione di oltre 1200 esperti -, indica il cambiamento climatico come il rischio dagli impatti maggiori nei prossimi dieci anni: in particolare, il fallimento nella mitigazione si colloca al primo posto, quello dell’adattamento al secondo posto, mentre disastri naturali ed eventi estremi si collocano al terzo posto.  

L’ampia regione del Mediterraneo allargato – che comprende Medio Oriente e Nord Africa, così come l’area del Golfo – è fortemente esposta ai rischi di instabilità e insicurezza derivanti dal cambiamento climatico. Di riflesso l’Italia, così come gli altri paesi dell’Europa meridionale affacciati sul bacino mediterraneo, è fortemente esposta tanto agli impatti diretti, che nella regione si manifestano con crescente intensità e frequenza, tanto alle conseguenze di questi impatti nei paesi della sponda sud.  

 

I dati della scienza sul Mediterraneo

La scienza afferma infatti che, per via delle emissioni cumulative, la temperatura media globale continuerà a crescere fino al 2040-2050. Gli interventi di mitigazione messi in atto oggi influenzeranno dunque le traiettorie del cambiamento climatico a partire dal 2050, secondo diversi scenari individuati dall’IPCC. Nello scenario “best case” (RCP2.6), le emissioni raggiungeranno il picco nel 2020; nel caso intermedio (RCP4.5), nel 2050 per poi diminuire rapidamente. Nello scenario peggiore, le emissioni continueranno a crescere (RCP8.5). Se dunque è urgente agire fin da oggi con interventi di mitigazione in linea con lo scenario RCP2.6 per cercare di contenere l’innalzamento futuro delle temperature, è altrettanto urgente porre in essere azioni di adattamento agli impatti del cambiamento climatico che sono destinati a manifestarsi in maniera crescente nei prossimi anni a causa dell’aumento delle temperature e della distruzione degli ecosistemi.  

 

L’aggravarsi di fenomeni metereologici estremi 

Nell’intera regione assisteremo a periodi estivi sempre più caldi e sempre più estesi. Mentre le precipitazioni diminuiranno in gran parte della regione. Gli eventi piovosi intensi acquisteranno maggiore intensità e si verificheranno sempre più spesso, causando inondazioni più frequenti e più distruttive. Altri eventi meteorologici estremi (tempeste, comprese quelle di sabbia, cicloni, ecc.) si intensificheranno. Entro il 2050 si potrebbe registrare un aumento del livello del mare tra 0,2 e 0,25 metri a Tangeri, Tunisi, Alessandria e Muscat, con serie conseguenze per residenti, infrastrutture e turismo nelle aree costiere.  

 

Disponibilità di risorse idriche 

Il cambiamento climatico inciderà anche sulla disponibilità di risorse idriche. La regione del Mediterraneo allargato presenta già oggi livelli di aridità tra i più alti al mondo. Una situazione dovuta sia alla conformazione climatica della regione, sia all’utilizzo non efficiente delle risorse idriche presenti. Per molti anni la regione ha utilizzato più acqua di quella che si rinnova naturalmente, ad esempio attingendo eccessivamente dalle falde acquifere o ricorrendo alla desalinizzazione. Secondo la classifica dello stress idrico di base pubblicata dal World Resources Institute, che si basa sul rapporto tra i prelievi idrici totali e le riserve idriche rinnovabili disponibili, tutti i 19 Paesi dell’area MENA soffrono di uno stress idrico di base “estremamente elevato” (12) o “elevato” (7). Nel 2040, con l’aumento previsto della popolazione, la maggioranza della regione sarà sottoposta a una situazione di stress idrico estremo. Tutto ciò avrà serie conseguenze sul settore agricolo, che, includendo la pesca e le foreste, occupa l’11% della forza lavoro e contribuisce in parte alla sicurezza alimentare e al commercio interregionale. 

 

Sicurezza alimentare 

Alcuni Paesi del Mediterraneo, tra cui quelli del Nord Africa, sono poi fortemente vulnerabili anche agli impatti del cambiamento climatico che si manifestano altrove, principalmente per via della forte dipendenza dalle importazioni di prodotti alimentari, in particolare di grano. Limitazioni alle esportazioni da parte dei paesi fornitori e/o rialzo dei prezzi dovuti a sempre più frequenti periodi di siccità rischiano dunque di mettere gravemente in pericolo la sicurezza alimentare nella regione, con possibili ripercussioni in termini di stabilità sociale e politica.  

 

Diversi livelli di vulnerabilità nel Mediterraneo

Mentre i fenomeni legati al cambiamento climatico si manifesteranno in maniera più forte in alcune parti della regione del Mediterraneo allargato rispetto ad altre, l’entità degli impatti dipenderà dal livello di vulnerabilità delle persone, delle economie e dei sistemi politici colpiti. La valutazione della vulnerabilità tiene conto dell’impatto potenziale, che risulta dal livello di esposizione e dalla sensibilità al rischio climatico, e della capacità di adattamento. Pertanto, se l’impatto potenziale è elevato ma la capacità di adattamento è alta, la vulnerabilità potrebbe essere da bassa a media, mentre un impatto potenziale più basso potrebbe comportare una vulnerabilità più elevata se la capacità di adattamento è bassa.  

La sensibilità al rischio climatico e ad altri shock non è distribuita uniformemente nella regione. I Paesi che dipendono in larga misura dall’agricoltura saranno più sensibili al rischio siccità.  Fenomeni come l’innalzamento del livello del mare saranno fortemente avvertiti dove c’è un’alta densità di sviluppo urbano in aree geografiche esposte, ad esempio la costa egiziana, Gaza, il Marocco e le coste del Golfo. Anche la capacità dei governi della regione di far fronte alle sfide poste dai cambiamenti climatici (capacità di adattamento) varia da un paese all’altro. L’accesso ai finanziamenti, la diffusione delle tecnologie e la preparazione delle istituzioni locali e nazionali faranno la differenza in termini di perdite di vite umane ed economiche. Ad esempio, nonostante si trovi sulla rotta delle tempeste tropicali, l’Oman mostra attualmente una minore vulnerabilità ai cambiamenti climatici rispetto al vicino Yemen, dato lo stato di conflitto, la governance frammentata e le infrastrutture fatiscenti di quest’ultimo.  

 

Stabilità politica e clima 

Instabilità politica e situazioni di conflitto aumentano infatti il livello di vulnerabilità: in parte perché in simili situazioni l’attenzione dei governi viene distolta dalla pianificazione a lungo termine, che è invece necessaria per costruire resilienza agli impatti; in parte, perché l’instabilità politica scoraggia gli investimenti e i finanziamenti necessari per la costruzione di resilienza. Anche situazioni di conflittualità o rivalità tra stati incidono in maniera negativa sulla capacità di risposta agli impatti, per la quale sarebbe invece necessaria la cooperazione transfrontaliera. Un esempio è rappresentato dall’Iran e degli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che condividono le acque del Golfo Persico, dello Stretto di Hormuz e del Golfo di Oman. La cooperazione tra questi Paesi sarebbe essenziale per ripristinare i fragili ecosistemi costieri del Golfo, ma la conflittualità politica, la sfiducia reciproca e la securitizzazione delle questioni ambientali (soprattutto in Iran) rendono estremamente difficile questo tipo di cooperazione.   

 

Economia e clima 

Anche la diversa conformazione dei sistemi economici della regione contribuisce a creare diversi livelli di vulnerabilità. Con l’eccezione di Israele, le economie dei paesi di Nord Africa, Medio Oriente e Golfo rimangono dominate dallo Stato e/o da élite imprenditoriali legate al sistema politico. In linea teorica, un forte ruolo dello Stato può essere positivo per la costruzione di una capacità di risposta agli impatti del cambiamento climatico, attraverso la mobilitazione di capacità su larga scala, la predisposizione di piani specifici per il settore agricolo e il coinvolgimento di aziende statali con competenze tecniche che possono essere impiegate in caso di crisi. Tuttavia, nella pratica, questo modello – abbinato a un sistema di sussidi su beni come energia e acqua – ha causato inefficienza diffusa e ha finito con il reprimere l’imprenditorialità e l’iniziativa privata. Il caso del Libano, invece, dimostra come uno spazio economico apparentemente privatizzato possa essere comunque dominato da cartelli legati alle élite politiche, dando origine a un sistema altrettanto inefficiente ai fini della costruzione di resilienza.  

 

Il ruolo dell’oil & gas 

La dipendenza di alcune economie della regione dalla rendita nel settore oil & gas rappresenta un ulteriore elemento di vulnerabilità. La transizione verso un sistema energetico decarbonizzato a livello globale comporterà una contrazione dei mercati dei combustibili fossili. Lo scenario Net Zero al 2050 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, in linea con gli scenari 1,5°C dell’IPCC, dimostra la drastica riduzione della domanda di carbone, petrolio e gas necessaria per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Ciò rappresenta una sfida per le economie della regione che dipendono dalle esportazioni di petrolio e gas, come Algeria, Libia, Iraq e paesi del Golfo. In questi paesi, la costruzione di resilienza passa inevitabilmente dalla diversificazione delle economie, da nuove politiche energetiche e fiscali domestiche, dall’apertura al settore privato e dallo sviluppo delle competenze necessarie. I paesi del Golfo, avendo già avviato processi di diversificazione economica e potendo contare su ampi fondi di ricchezza sovrana, risultano meno vulnerabili agli shock nei prezzi e nella domanda di idrocarburi di paesi come l’Algeria. Tuttavia, come la crisi del prezzo del petrolio dovuta alla pandemia di Covid-19 ha dimostrato, anche per i paesi meno vulnerabili l’accelerazione della transizione energetica ed economica è sempre più urgente.  

 

Le conseguenze dell’inazione e la necessità di una strategia per il Mediterraneo

Il mancato sviluppo di capacità di adattamento e risposta agli impatti del cambiamento climatico rischia di aggravare il già precario quadro di sicurezza della regione, esponendo l’Italia e l’Europa a nuove minacce di instabilità.  

In un contesto di crescente scarsità idrica, alti prezzi alimentari e popolazione in crescita, aumenta il rischio di conflitti per le risorse, migrazioni dalle aree rurali a quelle urbane, incapacità dei governi di mantenere un sistema di sussidi su beni come cibo ed energia, così come di acquistare beni alimentari sui mercati globali, soprattutto a fronte di prezzi crescenti dovuti a shock climatici globali e minori entrate economiche derivanti dal calo della domanda di idrocarburi necessario a rispettare gli obiettivi climatici fissati a Parigi.  

La capacità del cambiamento climatico di dare origine a fenomeni di instabilità dipende dalla misura in cui esistono già sfiducia e frustrazione nei confronti dei governi e dalla capacità di questi ultimi di prepararsi e rispondere efficacemente agli shock. A contare è anche il modo in cui i governi della regione rispondono alle manifestazioni di dissenso legato o innescato dagli impatti climatici: è più probabile che la repressione porti all’instabilità (almeno nel medio-lungo periodo) rispetto a misure di apertura come l’avvio di un dialogo. Un evento meteorologico estremo mal gestito dalle autorità, ad esempio, potrebbe combinarsi con fattori quali la disoccupazione, i prezzi elevati dei generi alimentari e l’assenza di libertà di espressione, provocando proteste di massa.  

 

Clima e migrazioni

Ulteriore conseguenza potrebbe essere l’aumento della pressione migratoria. A prescindere dall’impatto dei cambiamenti climatici, i paesi della regione dovranno affrontare livelli elevati di crescita demografica. Ciò si tradurrà in una maggiore pressione sulla capacità dello stato di fornire servizi come acqua ed energia, e, in base alle attuali tendenze di consumo alimentare, un aumento della domanda di importazioni. È probabile che si registrino fenomeni migratori crescenti, soprattutto all’interno dei confini nazionali dalle aree rurali a quelle urbane. Ma la regione del Mediterraneo, in particolare il nord Africa, è anche una regione di transito per le rotte migratorie dall’Africa subsahariana, che è destinata a subire impatti crescenti tanto dal cambiamento climatico quanto dai diversi conflitti aperti nel continente. Tuttavia, con quasi la metà degli abitanti della regione di età inferiore ai 25 anni, la demografia rappresenta anche un enorme potenziale di crescita e innovazione, rispetto all’invecchiamento della popolazione europea.  

 

Conclusione: perché all’Italia serve una nuova Strategia per il Mediterraneo 

Di fronte a questo scenario di rischio, è urgente che l’Italia integri la dimensione della sicurezza climatica nella propria politica estera, impegnandosi in interventi a supporto della costruzione di resilienza nei paesi della regione del Mediterraneo allargato, sia a livello bilaterale che a livello europeo, per esempio attraverso la partecipazione a iniziative Team Europe. Le strategie di cooperazione e sviluppo di MASE, MAECI e AICS e le risorse del Fondo italiano per il clima, recentemente istituito, devono essere disegnate e destinate a interventi di adattamento e costruzione di resilienza, soprattutto per i sistemi idrici e alimentari della regione. 

A livello politico invece è necessario che l’Italia si doti di una strategia di sicurezza climatica che, a partire dai dati scientifici resi disponibili per esempio dal Centro Euro-mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC), da ISPRA e dai programmi europei di osservazione satellitare come Copernicus, monitori gli sviluppi, informi le priorità di politica estera ed elabori politiche di prevenzione e risposta agli impatti. Contemporaneamente, è necessario supportare i paesi della regione nel loro sforzo di costruzione di un quadro fiscale e legale in grado di attrarre finanziamenti e investimenti internazionali. Nella regione, infatti, mancano ancora strumenti di mercato per il coinvolgimento del settore privato nella costruzione di resilienza ai rischi climatici. Anche se l’emissione di debito verde (sukuk e obbligazioni tradizionali) nella regione è aumentata rapidamente dal 2015, questa rappresenta ancora una piccola frazione del totale globale. Una serie di strumenti, tra cui l’uso di green bond e meccanismi di de-risking, possono essere impiegati per incoraggiare il settore privato a investire in aree come l’edilizia verde, la smart agriculture, l’isolamento termico e la conservazione dell’acqua. Per ottimizzare l’efficacia di questi strumenti, è importante che a questi interventi si affianchino miglioramenti a livello fiscale e legale volti alla creazione di una maggiore trasparenza.  

Nell’attuale contesto internazionale, segnato da crisi multiple, è necessario che l’Italia crei delle partnership con i paesi della regione del Mediterraneo allargato finalizzate alla costruzione di un sistema di governance resiliente agli shock e a sostegno della trasformazione dei sistemi economici in favore di decarbonizzazione e diversificazione.  I nuovi partenariati energetici con paesi come Algeria ed Egitto, finalizzati a fornire una risposta alla crisi energetica tramite la sola incentivazione di nuova produzione ed export di gas, non rappresentano una risposta adeguata né alle esigenze della transizione energetica né alla messa in sicurezza dagli impatti del cambiamento climatico. Al contrario, mitigazione e adattamento devono essere messi al centro di ogni nuova partnership, insieme al supporto alla costruzione di sistemi alimentari e idrici sostenibili e alla diversificazione delle economie. Ciò che serve, dunque, è la capacità di guardare oltre il breve periodo, gettando le basi per la costruzione di un nuovo modello di cooperazione, e di un nuovo ruolo, per l’Italia nel Mediterraneo. 

Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay

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