1. Il trasporto su strada è tra le principali cause della crisi climatica?
Sì, a livello globale le emissioni di CO2 dei trasporti pesano per circa un quarto del totale [1]. Nella ripartizione delle emissioni per composizione modale, il trasporto su strada pesa per il 75% del totale (45% passeggeri; 30% merci), seguito a distanza dal trasporto aereo (11%), navale (11%) e ferroviario (1%), nonché da altre forme di trasporto di sostanze, quali petrolio e gas, tramite pipeline (2%) [IEA, 2022].
In Italia, con 105 milioni di tonnellate di CO2eq nel 2019, il 33% del totale nazionale, i trasporti risultano il primo settore per emissioni carboniche, di cui per ben il 90% imputabile al trasporto su strada.
Ripartizioni delle emissioni dei trasporti in Italia, 2019
Fonte: Elaborazione su dati Ispra/IPCC, 2021
La mobilità su auto privata da sola causa emissioni per 67 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, pari a poco meno del 70% del totale delle emissioni dei veicoli su gomma e al 61% del totale [Ispra/IPCC, 2021].
Nonostante i progressi nell’efficienza dei veicoli, dal 1990 a oggi le emissioni dei trasporti in Italia sono cresciute del 3% a causa del forte incremento della domanda di mobilità di passeggeri e merci.
Il settore è anche responsabile di ulteriori emissioni di inquinanti con effetto a scala locale. Ben il 40,3% degli ossidi di azoto totali (NOx), l’11,4% di composti organici volatici non metanici (COVNM), il 10,1% di polveri sottili (PM) e il 18,7% di monossido di carbonio (CO) sono ascrivibili ai trasporti. L’Italia è tutt’ora sotto procedura di infrazione per mancato rispetto delle direttive europee per la qualità dell’aria per gli ossidi di azoto e le polveri sottili [Mims, 2022].
2. Il trasporto su strada utilizza la maggior parte del petrolio e prodotti derivati importati e consumati in Italia?
Sì, come per le emissioni anche per i consumi di energia finale i trasporti sono il primo settore a livello nazionale: 36 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (tep) su 113 Mtep totali (31,7%) consumate nel 2019. Di questi 32,4 Mtep (90%) è l’energia derivata da consumi di prodotti petroliferi, di cui per il 95% imputabile al trasporto su strada [Mise, 2020].
Consumi energetici dei trasporti per vettore (Mtep) e dettaglio dei consumi di prodotti petroliferi per modalità in Italia, 2019
Fonte: Elaborazione su dati Mise/Eurostat, 2020
In termini di quantità di prodotti petroliferi, nel 2019 il trasporto su strada ha consumato 9,8 milioni di litri di benzina, 25,3 milioni di litri di gasolio e 3,1 milioni di litri di GPL, pari al 65% del totale dei consumi di petrolio per uso energetico (il 50% se si considerano anche gli usi non energetici per la produzione di lubrificanti, bitumi, consumi di raffineria, ecc.), prevalentemente di importazione.
L’Italia importa il 95% del petrolio e prodotti derivati che consuma (37% dalla Russia, 28% dal Medio Oriente, 27% dall’Africa, 7% da Usa e altri Paesi UE [Mise, 2021]), per una spesa complessiva che nel 2021 è stata di 35,8 miliardi di euro, di cui circa 25 miliardi per i soli consumi dei trasporti, in prevalenza su gomma. Secondo le proiezioni dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani [OCPI, 2022], a causa della crisi energetica la spesa aggiuntiva per l’import 2022 sarà pari a 27,4 miliardi di euro, per un totale di 63 miliardi di euro (+75%).
3. Le politiche europee sugli standard di emissione di CO2 per i veicoli di nuova immatricolazione hanno favorito la riduzione delle emissioni delle auto?
Sì, ma non è abbastanza. Il passaggio all’elettrico e la generazione di elettricità da fonti rinnovabili rappresentano l’unica opzione in grado di garantire il raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni dei veicoli, sia in termini di CO2 che di altri inquinanti nocivi (NOx, polveri sottili ecc.).
Prima dell’introduzione del regolamento che definisce standard di prestazione emissiva degli autoveicoli e dei veicoli commerciali leggeri (furgoni) di nuova immatricolazione, le emissioni di CO2, in media, sono diminuite di 1,9 g/km all’anno dal 2000 al 2007. Quando i primi standard di CO2 sono stati concordati nel 2008, i produttori hanno notevolmente superato i tassi di riduzione annuali richiesti per raggiungere l’obiettivo 2015 di 130 gCO2/km, addirittura superando le aspettative, con una riduzione media di 4,9 gCO2/km l’anno contro i 3,6 g/km attesi.
Emissioni di CO2 per le auto di nuova immatricolazione in Europa dal 2000 al 2021, proiezioni lineari per gli anni successivi e obiettivi del nuovo Regolamento (UE) 2019/631 sugli standard di CO2 per le auto [2]
Fonte: ICCT
Per contro, dopo il raggiungimento degli obiettivi del 2015, e in assenza di ulteriori obiettivi intermedi nel periodo fino al 2019, le emissioni medie di CO2 sono nuovamente aumentate di 0,7 g/km all’anno per poi invertire nuovamente la tendenza e arrivare ai 95 gCO2/km del 2021 [ICCT, 2022].
Con la revisione del Regolamento 631/2019 sugli standard di CO2 per auto e furgoni di nuova immatricolazione nell’ambito delle riforme previsto dal pacchetto Fit for 55, in corso di negoziazione a livello UE, gli obiettivi per i prossimi anni riguardano una ulteriore riduzione del 15% entro il 2025 e del 55% al 2030 rispetto all’obiettivo 2021, fino a raggiungere il 100% di riduzione entro il 2035 [EUParl, 2022]. L’obiettivo indica la strada della mobilità del futuro con il passaggio all’elettrico, l’unica tecnologia in grado di garantire in modo efficiente queste prestazioni.
Il passaggio all’elettrico del trasporto su strada accompagnato dalla transizione alle rinnovabili elettriche consente, inoltre, di azzerare le emissioni in atmosfera di altri gas inquinanti associati al consumo di idrocarburi (NOx, COVM, PM10/PM2,5), obiettivo non raggiungibile rimanendo ancorati al motore endotermico, anche in accoppiamento a sistemi di abbattimento dei fumi di scarico più avanzati (EURO VI e successivi), neppure utilizzando carburanti sintetici [T&E, 2021].
Va da sé che per raggiungere gli obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni di tutto il settore dei trasporti, come previsto dal pacchetto di riforme Fit for 55 che pone l’Europa e l’Italia in linea con la traiettoria verso la neutralità carbonica al 2050, l’elettrificazione dei veicoli dovrà accompagnarsi a una riduzione del traffico auto attraverso politiche di mobilità alternativa e sostenibile.
4. L’auto elettrica è la tecnologia che consente la maggiore riduzione delle emissioni di CO2 e altri inquinanti?
Sì, sia considerando il ciclo di produzione e consumo dei carburanti e dell’elettricità, sia considerando il ciclo di vita di utilizzo del veicolo [3].
A mix energetico di generazione elettrica attuale nella UE-27, le emissioni di CO2 dirette e indirette (Well-to-Wheel, ossia anche considerando le emissioni di ciclo di vita dei carburanti) associate ai consumi medi di un veicolo elettrico puro a batteria (BEV) di media potenza e dimensione risultano fino al 75% inferiori rispetto a quelle generate da un veicolo analogo a combustione interna (ICE) alimentato con carburanti di origine fossile, e di circa il 25% inferiori rispetto a un veicolo ibrido plug-in (PHEV) [JRC WTW Report, 2020].
Un vantaggio ancora più netto emerge anche nel confronto dell’efficienza diretta dei consumi, che in un’auto elettrica risultano essere fino a 4 volte più bassi rispetto a quelli di un’auto a combustione interna di pari potenza e dimensioni e fino al doppio rispetto un’auto ibrida plug-in [JRC TTW Report, 2020]. Per intenderci, a parità di energia consumata un’auto elettrica percorre quattro volte la distanza percorsa da un’auto a benzina.
La maggiore efficienza emissiva dei veicoli elettrici è confermata anche da analisi di Life Cycle Assessment (LCA), che oltre agli impatti del ciclo di produzione dei carburanti considerano anche quelli relativi alla produzione dei veicoli, dei componenti specifici, nonché della fase di utilizzo per la durata media vita utile e la gestione del fine vita (il cui contributo al bilancio delle emissioni è negativo).
Secondo lo studio curato dalla DG Climate Action della Commissione Europea [EU Commission, 2020], risulta che le emissioni di CO2 di ciclo di vita di un’auto elettrica di medie dimensioni (con riferimento al mix energetico di generazione elettrica medio europeo, in linea con quello dell’Italia) sono del 55% inferiori rispetto a quelle di un veicolo endotermico di pari peso e potenza alimentato a benzina (del 47% nel caso di un veicolo diesel).
Efficienza carbonica di ciclo di vita di un’auto elettrica di medie dimensioni a confronto con un’auto endotermica alimentata a benzina e diesel
Fonte: EU Commission, 2020
Queste differenze aumentano ulteriormente in uno scenario di incremento della generazione elettrica da fonti rinnovabili: al 2030 la riduzione delle emissioni risulta del 72%, e in uno scenario al 2050 compatibile con la traiettoria 1,5°C la riduzione arriva all’80%.
L’analisi è stata presa a riferimento anche dal gruppo di ricerca della Struttura per la transizione ecologica della mobilità e delle infrastrutture (STEMI) che ha curato per il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile lo studio “Decarbonizzare i trasporti in Italia” [Mims, 2022].
Altre analisi indipendenti più recenti condotte da Transport and Environment [T&E, 2022] e dall’International Council of Clean Transportation giungono a conclusioni molto simili [ICCT, 2021]
5. Gli e-fuels decarbonizzati prodotti da idrogeno verde sono un’opzione alternativa efficiente rispetto all’elettrificazione per la mobilità su strada?
No, il carattere altamente energivoro della produzione di idrogeno verde rende questi carburanti sintetici un’alternativa non valida all’elettrificazione diretta dei veicoli. Soluzioni hydrogen based devono essere indirizzate alla decarbonizzazione di modalità di trasporto per cui l’elettrificazione non è un’opzione praticabile, come l’aviazione, oltre che ai settori industriali hard to abate.
Da un punto di vista chimico, i carburanti sintetici prodotti utilizzando elettricità rinnovabile (e-fuels decarbonizzati), sono a tutti gli effetti idrocarburi e la loro produzione richiede l’utilizzo di due ingredienti primari: idrogeno verde e carbonio climaticamente neutro. Il primo è prodotto per elettrolisi dell’acqua in un processo altamente energivoro (servono fino a 50 kWh di elettricità per produrre un kg di H2 [CNR, 2021]); il secondo può essere la CO2 catturata dai fumi di combustione di biomasse, se non, in un futuro, dall’atmosfera. In entrambi i casi, i processi richiedono ulteriori consumi di energia per la cattura e lo stoccaggio/trasporto.
La produzione industriale di un litro di syndiesel con tecnologia Fischer-Tropsch, la più diffusa e consolidata, richiede fino a 0,5 kg di idrogeno e 3,6 kg di CO2, per un bilancio totale di consumi elettrici stimati in 25-28 kWh [Concawe, 2019, JRC, 2020], quattro volte il consumo medio giornaliero di elettricità di una famiglia italiana.
Messo in un’auto a combustione interna tradizionale, un litro di syndiesel consente di percorrere meno di 20 km, mentre con la stessa quantità di elettricità finale necessaria per la sua produzione una Fiat 500 elettrica ne percorrerebbe circa 200. L’utilizzo di e-fuels nei motori endotermici, inoltre, non risolve in alcun modo il problema delle emissioni di inquinanti nocivi come gli NOx [T&E, 2021], che sono generati per reazione tra azoto e ossigeno atmosferico nella camera di combustione di qualsiasi motore a scoppio a causa delle elevate temperature che si raggiungono.
Il carattere altamente energivoro della produzione di e-fuels, di cui i consumi elettrici per la produzione di idrogeno verde sono la principale voce, li rende una tecnologia non competitiva con l’elettrificazione diretta della mobilità su strada sotto tutti gli aspetti, non da ultimo quelli di convenienza economica [ICCT, 2020].
Fonte: ICCT, 2020
La loro promozione su larga scala rischia inoltre di dirottare la produzione di elettricità rinnovabile necessaria alla decarbonizzazione dei consumi in altri settori (industriale e civile), compromettendo gli obiettivi di transizione energetica nel loro complesso [Bellona, 2021].
L’idrogeno verde come vettore energetico può giocare un ruolo importante nella transizione verso la decarbonizzazione dei consumi energetici, ma dato il carattere altamente energivoro della produzione deve essere gestito come una “risorsa scarsa” da dedicare primariamente ai settori industriali cosiddetti hard to abate, come il siderurgico o il cemento, e come accumulo di energia.
Nei trasporti l’utilizzo di idrogeno verde o carburanti sintetici decarbonizzati potrebbe trovare impiego laddove oggi non esistono efficaci soluzioni alternative all’elettrificazione, come l’aviazione o il navale di lunga percorrenza, oltre a utilizzi di nicchia nel ferroviario e nel trasporto merci su strada per lunghissime percorrenze.
6. I biocarburanti possono competere con l’elettrificazione nella decarbonizzazione del trasporto su strada?
No, l’utilizzo di biocarburanti offre solo un contributo marginale alla riduzione delle emissioni dei trasporti.
Nel quadro di regole e obiettivi introdotti dalle direttive europee sulle energie rinnovabili (dapprima la 2009/28/CE cosiddetta RED I, aggiornata nel 2018 con la direttiva UE 2018/2001, RED II) i biocarburanti fanno parte della partita per la decarbonizzazione dei trasporti, e in particolare del trasporto su strada, contribuendo a limitare le emissioni di gas serra dei milioni di veicoli leggeri e pesanti con motore a scoppio che continueranno a circolare, via via sempre di meno, fino al completo passaggio della flotta all’elettrico.
Si tratta, tuttavia, di un contributo che non può che essere marginale. Infatti, secondo i criteri di sostenibilità introdotti dalla Direttiva 1513/2015 (cosiddetta Direttiva ILUC, Indirect Land Use Change), per la maggior parte dei biocarburanti oggi consumati, prevalentemente biodiesel per il trasporto su gomma, il potenziale di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra è limitato a causa degli impatti associati al cambiamento indiretto della destinazione d’uso dei territori di provenienza delle biomasse utilizzate per la loro produzione [JRC, 2021]. In primis l’olio di palma e di soia, per i rischi di deforestazione, oltre che di sicurezza alimentare, tant’è che nel quadro della proposta di revisione della RED II la Commissione per l’ambiente, la salute pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI) del Parlamento Europeo ne propone l’immediato phase-out, in anticipo sui tempi comunque già previsti nella direttiva originaria [T&E, 2022]
Anche confidare sui biocarburanti cosiddetti avanzati prodotti a partire da scarti e rifiuti di biomassa, lascia aperte non poche perplessità in merito alla loro sostenibilità e disponibilità [T&E, 2020], anche economica, per un utilizzo massivo nel trasporto su strada che sia competitivo rispetto all’elettrificazione.
I biocarburanti dunque possono avere un ruolo nel traghettare i trasporti su strada verso l’elettrificazione, ma non devono essere né i principali beneficiari di investimenti volti a diminuire l’impatto climatico dei trasporti, né possono essere messi al centro del modello di mobilità che si vuole costruire.
7. L’auto elettrica è conveniente per i consumatori?
Sì, oggi con adeguati incentivi per ridurre l’incidenza del costo di acquisto del veicolo, nel prossimo futuro anche senza incentivi.
Per valutare la convenienza all’acquisto di un’auto elettrica non ci si deve fermare al prezzo di acquisto, ma estendere le valutazioni al cosiddetto TCO (Total Cost of Ownership, costo totale del possesso) del veicolo [UniTS, 2019], un metodo che oltre al prezzo d’acquisto prende in considerazione i costi attualizzati associati all’utilizzo, ad esempio le spese di carburante o di ricarica, alla manutenzione, le imposte e il valore di rivendita come usato. Le simulazioni TCO effettuate a livello europeo [BEUC, 2020] e nazionale [RSE, 2021, PoliMi, 2022], evidenziano come l’auto elettrica sia già oggi la scelta più conveniente in termini di costi di gestione/utilizzo rispetto a un’auto tradizionale. Il differenziale di prezzo iniziale rimane tuttavia la principale discriminante per raggiungere un consistente vantaggio di TCO nel breve periodo o nel caso di utilizzo per chilometraggi annui limitati.
Le analisi mostrano come tale discriminante sia in stretta relazione con l’assenza di un mercato dell’usato elettrico (essendoci ancora troppo poche auto in circolazione), fattore che in prospettiva consentirà di limitare la svalutazione del valore del veicolo nel tempo, aumentando il ritorno dell’investimento sull’acquisto iniziale. Inoltre, le analisi evidenziano come il differenziale di TCO elettrico/tradizionale determinato dal gap di prezzo iniziale sia più elevato per le utilitarie dei segmenti A-C che non per i veicoli premium di alta gamma. Per i costruttori, il consistente differenziale di prezzo d’acquisto delle utilitarie è dovuto alla ridotta marginalità di profitto per segmenti, e indicano in un incremento della domanda l’opportunità di consolidare economie di scala di produzione tali da garantire una rapida riduzione dei prezzi di vendita. L’introduzione dello standard a partire dal 2035 di sola vendita di auto elettriche è lo strumento che permette di superare questa barriera legata ai volumi di mercato.
In questo senso, nel breve periodo è necessario mantenere attive forme di stimolo al consumo tali da attivare dinamiche di mercato virtuose, anticipando la convenienza all’acquisto di auto elettriche su larga scala attraverso l’erogazione di incentivi, prioritariamente, se non esclusivamente, per le utilitarie. Nel medio e lungo periodo il calo generalizzato dei prezzi di acquisto [T&E, 2021] grazie alle economie di scala di produzione e al consolidamento del mercato dell’usato renderà gli incentivi non necessari.
8. Gli italiani sono ”pronti“ per l’auto elettrica? Quale schema di incentivi pubblici può favorire una rapida diffusione di massa?
Sì, gli italiani vogliono passare all’auto elettrica. Servono forme di incentivo mirate per i segmenti utilitarie e famigliari utili a favorire una diffusione di massa.
Secondo diversi sondaggi recenti [EY, 2022; Aretè, 2021], la maggior parte degli italiani che intendono acquistare un’auto la vorrebbero elettrica. Questa tendenza è certamente dovuta alla sensibilità degli italiani verso i rischi del cambiamento climatico [ECCO, 2022], ma anche ai più bassi costi di utilizzo e manutenzione e alla consapevolezza, sempre più diffusa, che l’auto elettrica rappresenti il futuro. Nonostante buona parte degli italiani dichiari la disponibilità a pagare di più per passare all’elettrico, l’eccessivo differenziale di prezzo con le auto tradizionali risulta ancora la principale discriminante nelle scelte di consumo. A seguire, la disponibilità di una adeguata infrastruttura di ricarica pubblica e l’autonomia dei veicoli.
Uno schema di incentivi per sostenere la diffusione di massa di auto elettriche – oltre a escludere tout-court qualsiasi forma di sussidio ad auto a combustione interna, inefficienti e inquinanti per definizione -, deve favorire prioritariamente, se non esclusivamente, l’acquisto di modelli elettrici sui segmenti di auto più venduti: le utilitarie nei segmenti A e B (ideali per soddisfare le esigenze di mobilità di breve e medio raggio [Isfort, 2022]), e nel segmento C (opzione di scelta prevalente per l’acquisto della prima auto per la famiglia), che insieme fanno oltre l’80% del mercato nazionale [Unrae, 2021].
Gli importi degli incentivi erogati devono essere riferiti ad analisi TCO aggiornate [4] e possono prevedere una scalabilità in base al reddito. Lo schema di incentivi deve essere esteso anche alle opzioni di noleggio privato a medio e lungo termine, quale modalità di consumo sempre più utilizzata dagli italiani nel caso dell’auto. Per le flotte aziendali, i vantaggi fiscali di deducibilità dal reddito d’impresa devono escludere le auto tradizionali per essere applicati alle sole auto elettriche.
Il sostegno alla domanda di auto elettriche compatibile con le effettive necessità di sostituzione di auto tradizionali nella società favorisce l’incremento delle produzioni e una progressiva riduzione dei prezzi di vendita, consentendo entro pochi anni di eliminare la necessità degli incentivi stessi.
Per raggiungere questi obiettivi, va verificato che la disponibilità finanziaria allocata ai sensi del D.lgs 17/2022 sia compatibile con un piano strategico che, in linea con gli obiettivi di riduzione delle emissioni del trasporto su strada previsti dal pacchetto Fit for 55, preveda una penetrazione di auto elettriche pure a batteria di almeno 8 milioni di unità circolanti entro il 2030 [PoliMi, 2021], il doppio di quanto previsto dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima [PNIEC, 2020].
9. La data del 2035 per lo stop alla vendita di auto a combustione interna è un problema per i costruttori europei?
No. Tutti i principali costruttori europei si sono espressi a favore della transizione all’elettrico e già prima della proposta della UE avevano in essere obiettivi e piani industriali per l’elettrificazione completa dei veicoli prodotti molto in anticipo sul 2035.
Previsioni di elettrificazione dei costruttori
Fonte: Qualenergia, 2022
Volkswagen e Mercedes, subito dopo il via libera del Parlamento Europeo al nuovo regolamento UE, hanno definito l’obiettivo del 2035 “ambizioso ma raggiungibile” [Autonews, 2022]. L’annuncio di Volkswagen, tra i primi produttori a livello mondiale a investire sulla transizione all’elettrico, conferma l’obiettivo del piano strategico lanciato nel 2021 di portare al 70% le vendite di veicoli elettrici in Europa già al 2030 [Bloomberg, 2021] e l’obiettivo di diventare leader mondiale con un piano di investimenti aggiuntivo di 180 miliardi di dollari [Fortune, 2022]. Nella strategia di Mercedes è previsto un piano di vendite all electric già a partire dal 2030, con obiettivi intermedi fissati già per il 2025, finanziato con 40 miliardi di euro [MB, 2022; Forbes, 2021].
Ford e Volvo si erano addirittura mosse in anticipo rispetto al voto espresso dal Parlamento Europeo sul nuovo Regolamento UE, sottoscrivendo pubblicamente un appello per un voto ambizioso che segnasse la fine dell’era dei motori a combustione interna per le auto [T&E, 2022].
Stellantis, forte del successo europeo della 500 elettrica, prima del voto sul nuovo Regolamento UE annunciava un piano per il 100% delle vendite di vetture elettriche in Europa (per tutti i modelli di tutti i marchi del gruppo) già a partire dal 2030 [Ilsole24ore, 2022]. Il piano Dare Forward di Stellantis [Stellantis, 2022] comprende anche importanti investimenti in Italia nella riconversione dei siti produttivi e nella produzione di batterie, con la giga factory di Termoli in joint venture con Mercedes e Total Energies [MF, 2022].
10. La rete delle infrastrutture di ricarica è adeguata alla diffusione di massa dell’auto elettrica?
No, serve un cambio di passo con più investimenti pubblici e una revisione del sistema regolatorio. Secondo le rilevazioni effettuate da Motus-E, alla fine di giugno 2022 risultavano installati in Italia 30.704 punti di ricarica distribuiti su 15.674 colonnine in 12.410 location. L’aumento sull’anno precedente è del 32%, ma rimane un numero ancora decisamente troppo basso rispetto alle necessità.
Il 78% dei punti installati sono tecnologie a ricarica accelerata, il 14% a ricarica lenta e solo l’8% a ricarica veloce o ad alta potenza, necessarie per ridurre al minimo i tempi di sosta per i rifornimenti. Il 57% circa si trova nel Nord Italia, il 23% circa nel Centro mentre solo il 20% nel Sud e nelle isole. Il 34% è nei capoluoghi di provincia e il restante negli altri comuni. Sulle autostrade, i punti di ricarica sono 235, di cui 151 per ricariche veloci o ultra veloci. Per ovviare alla range anxiety, ossia l’ansia da ricarica, sono disponibili numerose app che riportano mappe interattive in cui è possibile trovare un punto di ricarica durante i viaggi.
Le installazioni di punti di ricarica oggi sono ancora molto lontane rispetto ai nuovi obiettivi in discussione per un aggiornamento del Pnire (Piano nazionale delle infrastrutture di ricarica elettrica), atteso dal 2020, che stimano 100 mila stazioni di ricarica al 2030 per una disponibilità di 200 mila punti [Motus-E, 2020].
L’adeguata disponibilità di punti di ricarica pubblici è una condizione necessaria per incrementare la penetrazione di auto elettriche nella flotta nazionale. In quest’ottica, è necessario verificare l’adeguatezza della copertura finanziaria a sostegno dei piani di sviluppo della rete di ricarica ad accesso pubblico, che deve essere pianificata per una copertura capillare e ben ponderata di punti di ricarica lenti, veloci e ultra veloci. Allo stesso tempo, come da schema già inserito nel nuovo decreto cosiddetto aiuti bis del governo [Mise, 2022], si deve insistere nel sostegno economico all’installazione di punti di ricarica privati (Wall-box) a seguito dell’acquisto di un’auto elettrica e nell’incentivare l’installazione di punti di ricarica negli edifici residenziali, rimuovendo anche le barriere tariffarie per incrementare la potenza delle utenze private.
Opportune politiche fiscali per favorire nuove installazioni presso i parcheggi aziendali [Motus-E, 2021] e stimolare le imprese a contribuire ai costi di ricarica per i dipendenti, sono ulteriori misure che devono essere prese in considerazione.
11. La scelta della UE per lo stop alle nuove immatricolazioni di auto a combustione interna entro il 2035 e il passaggio all’elettrico è ideologica e penalizza l’Italia con il rischio di perdere di competitività e posti di lavoro?
No, semmai è vero il contrario: non reagire a un mercato globale che cambia il paradigma di prodotto rischia di creare una crisi occupazionale allargata. Superare il motore a scoppio e il consumo di fonti energetiche fossili, scegliendo la tecnologia più efficiente disponibile per mitigare la crisi climatica, è una sfida globale e tutte le più grandi economie del mondo si sono già attivate.
Secondo le statistiche pubblicate nel Global Electric Vehicle Outlook dell’Agenzia Internazionale per l’energia [IEA, 2022], nel 2021 la flotta di auto elettriche circolanti nel mondo ammontava a 16,4 milioni di vetture – più del doppio del 2019 – e le vendite raggiungevano i 6,5 milioni di nuove unità, sfiorando il 10% della quota di mercato complessiva, 3,5 volte quella registrata nel 2019. Secondo Bloomberg [Bnef, 2022], il picco di vendite di auto con motori a combustione interna è già stato superato e si prevede una quota di mercato globale per le auto elettrificate superiore al 50% già entro il 2030, con il predominio di tecnologie elettriche pure a batteria (BEV). I principali mercati sono quello cinese (3,4 milioni di nuove immatricolazioni) e quello europeo (2,3 milioni), dove nel 2021 le vendite di veicoli elettrici puri e ibridi plug-in hanno superato il 17% del totale. Al terzo posto si posiziona il mercato statunitense.
Crescita della flotta di auto elettriche a batteria (BEV) e ibride plug-in (PHEV) nel mondo
Fonte: IEA, 2022
Con 1,5 miliardi di vetture circolanti nel mondo e la previsione di un 60% di sostituzione della flotta globale con tecnologie elettriche già entro il 2040 [Bnef, 2022], gli spazi di mercato sono immensi, ma dato il carattere dirompente del cambiamento in corso è necessario muoversi per tempo [McKinsey, 2022] e la decisione della UE va esattamente in questa direzione.
Fissare l’obiettivo di cessare al 2035 la vendita (non l’uso) di auto con motore a combustione interna puntando su tecnologie elettriche pure non è una scelta ideologica incurante dei rischi, ma una visione industriale nell’interesse nazionale delle grandi economie manifatturiere europee, tra le quali l’Italia. In un mercato che cambia il paradigma di prodotto del futuro occorre essere proattivi e governare la transizione. Invocare la neutralità tecnologica, ad esempio lasciando aperte le porte a e-fuels e biocarburanti, come scudo a tutela di interessi costituiti, significa accumulare ritardi e procedere in modo confuso e disordinato, gettando le basi per un’ampia crisi occupazionale del settore. E tanto più in Italia, dato il ruolo delle filiere della componentistica nel settore automotive, come è stato ribadito dalle stesse associazioni di categoria [Anfia, 2022] e dai sindacati dei lavoratori [Fiom-CGIL, 2022].
È necessario iniziare a ragionare fin da subito su quali politiche mettere in campo per supportare le filiere che incontreranno le maggiori difficoltà, come nel caso della componentistica dei motori endotermici, e per massimizzare le opportunità occupazionali nelle filiere emergenti. Allargando lo sguardo alle opportunità per i settori produttivi emergenti – powertrain, batterie, sistemi elettromeccanici, sistemi digitali, piattaforme produttive, infrastrutture di ricarica, energie rinnovabili – è possibile mantenere invariato il saldo occupazionale del settore acquisendo al contempo nuove competenze e aprendo potenziali spazi in nuovi mercati [BGC, 2021].
Presidiare la transizione all’elettro-mobilità in modo sistemico è una grande opportunità e consente all’Italia di sviluppare le competenze scientifiche, tecniche e organizzative necessarie per affrontare le sfide del futuro. Non si tratta di essere visionari, ma realisti: il futuro è già oggi, e il nostro paese non deve rimanere indietro. Favorire l’Italia nella transizione significa agire con una visione politica di lungo periodo, mettendo a terra politiche lungo tre assi prioritari:
1) Politiche industriali a favore della produzione di componentistica per veicoli elettrici, anche riconvertendo le filiere esistenti, e sviluppo di nuove filiere per il recupero e riciclo delle componenti, prevedendo una governance adeguata per la gestione del fine vita in uno schema di responsabilità estesa del produttore.
2) Politiche del lavoro, per aggiornare e riqualificare gli addetti nelle filiere di componentistica a rischio attraverso percorsi di formazione ad-hoc e favorire la ricollocazione dei lavoratori a rischio favorendone la mobilità verso altri settori o anticipandone l’uscita.
3) Politiche per l’istruzione, per aggiornare i percorsi formativi di secondo livello e universitari, compatibilmente con le nuove competenze necessarie ad affrontare la transizione.
12. Con la transizione all’auto elettrica l’Italia dipenderà dai mercati asiatici per le tecnologie e le materie prime?
No, ma il rischio c’è e va affrontato con adeguate strategie di mercato, industriali e diplomatiche.
Una delle più grandi sfide nell’affrontare la transizione alla mobilità elettrica riguarda la disponibilità e capacità di trasformazione di materie prime critiche necessarie allo sviluppo delle tecnologie elettriche, per l’auto e più in generale per le rinnovabili. Litio, cobalto, nichel, fosforo, ecc., servono infatti per la produzione di ogni genere di batterie, per i veicoli elettrici come per i sistemi di accumulo di energia rinnovabile; i metalli delle terre rare, come neodimio, disprosio, ittrio, lantanio, terbio, ecc., servono per i motori elettrici, per le turbine degli impianti eolici, o per i sistemi elettronici di controllo [EU Commission, 2020].
A differenza di ciò che si pensa comunemente, tuttavia, la dipendenza dalle importazioni non riguarda le materie prime – che sono disponibili in quantità sufficienti e anche la loro distribuzione sulla crosta terrestre non rappresenta un problema [Geoscience, 2019] -, ma la loro trasformazione in prodotti semilavorati necessari alla fabbricazione di prodotti finiti, come le celle per le batterie o i magneti permanenti per i motori elettrici.
L’Europa, così come anche gli Stati Uniti, paga oggi le scelte di politica industriale del passato, quando a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso ha deciso di non investire nelle tecnologie di trasformazione, confidando nei paesi asiatici per le forniture. Una strategia evidentemente molto miope, che oggi si può senza dubbio definire errata, alla quale però l’UE sta già riparando con un piano di investimenti in tecnologie e competenze da parte dei principali attori della transizione alle tecnologie elettriche per la mobilità [IEA, 2022].
Le criticità per il sistema industriale europeo legate ai materiali critici sono oggetto di continuo monitoraggio da parte della UE [JRC, 2020]. Il Piano d’Azione per i Materiali Critici [EU Commission, 2020] definisce il quadro di azioni per un approccio sistemico finalizzato a sviluppare catene del valore resilienti per l’industria europea, diversificando gli approvvigionamenti anche sfruttando le potenzialità minerarie nel continente [FT, 2022] e sostenendo investimenti industriali e in ricerca e sviluppo, specialmente in ottica di economia circolare. Il Piano prevede un ampio supporto per investimenti interni nello sviluppo di tecnologie, competenze e capacità produttiva, nonché azioni sul piano internazionale con collaborazioni e partenariati anche con Paesi produttori di materie prime, nella consapevolezza del peso dei rischi geopolitici per il futuro [IPS, 2021].
Un ruolo centrale del Piano è quello dell’Alleanza Europea per i Materiali Critici, che vede la partecipazione di centinaia di imprese del settore tech europeo, della Commissione UE, della Banca europea per gli investimenti, di Stati membri e di università, centri di studio e ricerca. Per l’Italia, oltre alle principali Università e imprese attive in questi settori, è presente il Ministero dello sviluppo economico [Mise, 2021], che nel 2021 ha attivato un tavolo tecnico [Enea, 2021], dal cui lavoro dipenderà il ruolo che il Paese vorrà ancora giocare nella partita del futuro dell’automotive.
13. L’auto elettrica mette a rischio la stabilità della rete elettrica nazionale?
No, al contrario le auto in carica possono funzionare come stoccaggi e contribuire a rendere la rete elettrica più flessibile. In uno scenario 2030 di elevata quota di produzione di elettricità da fonti rinnovabili, con una penetrazione di 8-10 milioni di veicoli elettrici, prevalentemente auto, compatibile con le ambizioni europee di decarbonizzazione del settore, si stima una domanda aggiuntiva di elettricità compresa tra 14 e 18 TWh (circa il 5% del totale previsto dal PNIEC), che Terna considera gestibile [Terna, 2018] anche grazie al contributo dei veicoli elettrici come sistemi di accumulo in un sistema integrato di reti intelligenti. Questo richiede però adeguamenti delle reti locali per garantire sufficienti punti di ricarica smart, sia in termini di numero che di potenza, nonché l’apertura del mercato dei servizi di dispacciamento agli operatori (i cosiddetti aggregatori), in grado di aggregare i servizi dei singoli veicoli/punti di ricarica e fornirli alla rete elettrica
In questo modo, oltre all’importante contributo alla riduzione delle emissioni [5], l’auto elettrica potrà essere utilizzata come Unità Virtuale Abilitata (UVA) per la gestione dei picchi di domanda di elettricità partecipando al mercato dei servizi di dispacciamento (MSD), lo strumento con cui Terna si approvvigiona delle risorse necessarie alla gestione e al controllo del sistema elettrico nazionale [GME, 2022].
In altre parole, ogni auto elettrica o altro veicolo elettrico dotato di idonea batteria collegata alla rete tramite infrastrutture di ricarica smart integrata con il mercato dei servizi di bilanciamento, potrà ridurre o incrementare la propria domanda di elettricità in seguito a una richiesta del gestore della rete per necessità di bilanciamento (demand-response). In cambio il possessore del veicolo riceverebbe una remunerazione o altre forme di incentivi finanziari definiti contrattualmente attraverso meccanismi di mercato [Enel X, 2022].
La funzione demand-response di un veicolo elettrico collegato alla rete (Vehicle to Grid) può essere di tipo monodirezionale V1G o bidirezionale V2G. Nei sistemi monodirezionali il gestore della rete può modulare l’erogazione di elettricità ai veicoli collegati per la ricarica a seconda della necessità di bilanciamento dei carichi di domanda, senza prelevare elettricità dalla batteria. Diversamente i sistemi bidirezionali V2G possono utilizzare le batterie dei veicoli come veri e propri sistemi di back-up, ossia prelevando all’occorrenza parte dell’elettricità già immagazzinata [Qualenergia, 2020]. Il tutto, naturalmente, mantenendo garantito il livello di ricarica desiderato dall’utente, oltre a remunerarlo per il servizio reso mettendo a disposizione un bene di sua proprietà.
Lo sviluppo e la diffusione di programmi di demand-response integrati con il mercato dei servizi di dispacciamento per l’auto elettrica sono di fondamentale importanza per un sistema di generazione elettrica completamente da fonti rinnovabili, data anche la loro natura intermittente. Questi sistemi sono in fase avanzata di sperimentazione in Olanda [RVO, 2019, RSM, 2020] e la Germania, in previsione di un forte incremento delle auto elettriche circolanti già nel medio periodo, ha lanciato un piano nazionale di ricerca e sviluppo per introdurre il V2G per il bilanciamento della domanda di elettricità della rete [Euractiv, 2022].
In Italia sono attive diverse sperimentazioni, soprattutto su iniziativa dei produttori dei veicoli e delle tecnologie per le stazioni di ricarica bidirezionali, come Enel X [Enel X, 2020]. Terna e Stellantis nel 2020 hanno lanciato a Mirafiori un progetto sperimentale molto ambizioso [Terna, 2020], di cui tuttavia non sono ancora noti lo stato di avanzamento e i risultati.
14. L’auto elettrica è la soluzione unica e definitiva per decarbonizzare il trasporto su strada?
No, l’elettrificazione dei veicoli è un passaggio determinante e imprescindibile, ma per vincere la sfida della decarbonizzazione dei trasporti è necessario adottare politiche di mobilità sostenibile che, pur mantenendo soddisfatta la domanda di mobilità dei cittadini, consentano di ridurre il traffico veicolare privato e abbassare l’attuale tasso di motorizzazione dell’Italia (676 auto ogni 1000 abitanti, il più alto in Europa dopo il Lussemburgo).
Secondo la fotografia scattata da Isfort per il triennio 2017-2019 [Rapporto Mobilitaria, 2022], il 74% degli spostamenti degli italiani riguarda distanze su scala urbana entro i 10 km e viene soddisfatto per oltre il 62% ricorrendo all’auto privata, contro un 11% di trasporto pubblico locale (TPL) e un 27% di mobilità attiva, o ciclopedonale. Il potenziale di mobilità alternativa all’auto non è pienamente sfruttato a causa di carenze organizzative – soprattutto nella pianificazione dei servizi pubblici di trasporto – di infrastrutture inadeguate e scarsa dotazione di mezzi.
In questa situazione, e con l’obiettivo di incrementare l’offerta di soluzioni di mobilità collettive, condivise e attive, va verificata l’effettiva adeguatezza dei fondi in dotazione del Mims (PNRR, PNC, FST, ecc.) a sostegno di soluzioni alternative all’auto privata e del trasporto pubblico locale. Va verificata e monitorata l’effettiva efficacia e messa a terra dei progetti finanziati, a partire da quelli mirati a potenziare le infrastrutture e le dotazioni di mezzi per il trasporto pubblico e rapido di massa su scala locale, per la ciclopedonalità, nonché l’offerta di servizi di prossimità ai cittadini. Un ulteriore contributo in direzione della mobilità sostenibile riguarda la diffusione su larga scala di servizi di mobilità innovativa – la cosiddetta Mobility as a service (Maas) – per la pianificazione intermodale degli spostamenti, ossia per consentire ai cittadini di poter scegliere, ad esempio attraverso App integrate con l’offerta di servizi sul territorio, un mix di modi diversi per le loro necessità di mobilità.
Ulteriori azioni utili allo scopo riguardano politiche di incentivo all’utilizzo del trasporto pubblico – ad esempio con sconti su abbonamenti e tariffe, fino ad azzerarli per le fasce di reddito più basse, i pendolari, gli studenti – nonché di soluzioni di mobilità condivisa e attiva per gli spostamenti abituali casa-lavoro, coinvolgendo e supportando le imprese ad adottare strumenti di incentivo ai dipendenti per l’utilizzo di TPL, bicicletta, auto in condivisione.
NOTE
[1] Se non diversamente specificato, per emissioni di CO2 si intendono le emissioni di CO2 equivalente da consumi energetici, ossia le emissioni di CO2 generate dal consumo di combustibili fossili, utilizzati in qualunque forma per la produzione di energia, come da contabilità adottata dalla International Energy Agency secondo le linee guida IPCC 2006. Le analisi sono riferite all’anno 2019 ritenuto l’ultimo rappresentativo di una situazione di normalità per il settore, essendo nell’anno 2020 intervenuta la pandemia da Covid-19, le cui conseguenze in termini di trasporti hanno avuto ripercussioni anche nel 2021.
[2] A partire dal 2021, per i nuovi obiettivi, le emissioni dei veicoli non saranno più misurate secondo il ciclo di guida standardizzato NECD, ormai obsoleto, ma con la nuova procedura RDE, o Real Emission Drive (Regolamento UE 2017/1151). Il test RDE si riferisce alla Worldwide harmonized Light-Duty vehicles Test Procedure (WLTP), messa a punto dalla Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Europa (UNECE) e adottata come regolamento tecnico mondiale dal Forum mondiale per l’armonizzazione dei regolamenti sui veicoli.
[3] Per effettuare analisi comparative sulle emissioni di CO2 di veicoli endotermici, ibridi ed elettrici ci si deve necessariamente riferire ad analisi cosiddette Well-to-Wheel (dal pozzo alla ruota), ossia valutazioni che sommano alle emissioni allo scarico (Tank-to-Wheel) anche quelle associate al ciclo di produzione dei combustibili/elettricità consumati (Well-to-Tank) [JRC, 2020]]. Un approccio più completo è quello di effettuare analisi comparative di ciclo di vita (Life Cycle Assessment, LCA) che in aggiunta agli impatti associati alla produzione e consumo dei carburanti/elettricità, considerano quelli relativi alla produzione dei veicoli e delle loro componenti, il loro utilizzo e la gestione del fine vita [European Commission Service Site (europa.eu)].
[4] Data la rapida evoluzione del mercato e del contesto normativo/fiscale, le analisi TCO rendono necessario un frequente aggiornamento.
[5] A mix energetico attuale nella UE-27 le emissioni di un veicolo elettrico puro a batteria di media potenza e dimensione risultano fino al 75% inferiori rispetto a quelle generate da un veicolo analogo a combustione interna (JRC Publications Repository – JEC Well-To-Wheels report v5 (europa.eu)).