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Al 2035 stop auto a motore a combustione interna: una sfida ricca di opportunità per Italia e UE

I TRASPORTI EUROPEI VERSO L’ELETTRICO 

È notizia di ieri, 27 ottobre, che il primo atto approvato dai triloghi del pacchetto Fitfor55 è la conferma dello stop alle vendite di auto a combustione nel 2035 a livello comunitario. Un obiettivo che aveva già passato il “vaglio” di tutte le istituzioni UE e che oggi, dopo il passaggio obbligato nuovamente al Parlamento europeo (prima in commissione e poi in plenaria) e poi in Consiglio, previsti entro la fine dell’anno, diventa ufficiale. 

Una notizia che era dunque nell’aria, ma che porta con urgenza sul tavolo del governo un tema di politica industriale e climatica di importanza primaria. I primi segnali del Governo Meloni, con la scelta di Salvini al ministero delle infrastrutture e Pichetto al ministero dell’Ambiente e sicurezza energetica, e i primi riferimenti al pacchetto clima nei discorsi ufficiali, fanno trasparire un orientamento tiepido se non contrario rispetto alla transizione elettrica del settore dei trasporti, ricercando più la neutralità tecnologica che una chiara svolta in favore del motore elettrico.  

Consiglio, Parlamento e Commissione UE oggi hanno confermato, di fatto, che nel caso della decarbonizzazione del trasporto su strada il principio di neutralità tecnologica non rappresenta un elemento chiave della strategia di decarbonizzazione e sviluppo del continente, promuovendo le tecnologie elettriche come unica soluzione.  

L’ufficialità dell’obiettivo europeo al 2035 supera l’attuale posizione del Governo italiano, mettendolo di fronte al fatto che l’elettrificazione dei traporti impone una precisa strategia industriale per l’automotive, senza la quale è difficile pensare che l’Italia riesca a mantenere le sue posizioni nei mercati mondiali delle auto e delle sue componenti.  

I motivi di questa scelta, ratificata dall’aggiornamento del Regolamento UE 2019/631 sugli standard di CO2 per auto e furgoni, sono rintracciabili nel fatto che l’Unione, e l’Italia, sono impegnate con il resto del mondo in un delicato equilibrio cooperativo per mitigare i rischi del cambiamento climatico con politiche e azioni il cui fallimento è considerato il principale rischio da tutti gli attori economici globali 

La scelta dell’UE di una transizione “senza distrazioni” della mobilità su strada verso l’elettrico è basata sull’evidenza scientifica, con un approccio pragmatico che poggia su tre ordini di ragioni tra di loro correlate:  

  1. L’auto elettrica, per la sua efficienza e versatilità, è l’unica tecnologia efficace a ridurre le emissioni nel settore trasporti nell’ordine di grandezza richiesto. Non a caso tutte le più grandi economie del mondo, con la Cina in testa, sono nel pieno di una fase di ristrutturazione delle loro filiere automotive in una transizione industriale senza precedenti 
  2. Le tecnologie con motore a scoppio alimentate da carburanti alternativi decarbonizzati sono un’opzione tecnologica non altrettanto valida a causa della loro inefficienza nei consumi di energia: meno del 20% dell’energia termica di un carburante bruciato in un motore a scoppio riesce ad essere trasformato in energia cinetica, il resto viene disperso come calore. Ponendo la questione in numeri, basti pensare che produrre un litro di syndiesel decarbonizzato con tecnologia Fischer-Tropsch, la più diffusa e consolidata, richiede fino a 0,5 kg di idrogeno verde e 3,6 kg di CO2 climaticamente neutra (dunque biogenica, se non prelevata dall’atmosfera), per un bilancio totale di consumi stimati in 25-28 kWh elettrici, pari a quattro volte il consumo medio giornaliero di una famiglia italiana. Un litro di syndiesel prodotto a partire da idrogeno verse, messo in un’auto a combustione interna tradizionale, consente di percorrere meno di 20 km, mentre con la stessa quantità di elettricità finale necessaria per la sua produzione una Fiat 500 elettrica percorrerebbe circa 200 km 
  3. C’è grande incertezza sulla disponibilità di idrogeno verde in quantità tali da giocare un ruolo determinante per la decarbonizzazione del trasporto su strada, con la concreta possibilità che utilizzare questo combustibile per i veicoli su gomma metta a rischio la transizione di altri settori industriali. 
LE GRANDI ECONOMIE MONDIALI GIÀ STANNO CORRENDO 

L’auto elettrica si è già imposta come innovazione trasformativa del settore automotive globale e richiede un radicale ripensamento organizzativo e tecnologico delle filiere produttive. In questo passaggio la Cina ha un vantaggio competitivo per aver anticipato la transizione fin dalla prima decade degli anni 2000, adottando politiche industriali e protezionistiche mirate e incentivando fortemente i consumi interni per uno sviluppo di massa.  

Anche gli Stati Uniti si sono mossi per ripristinare un equilibrio competitivo, introducendo misure di sostegno al mercato interno dell’auto elettrica e vincolando gli incentivi all’acquisto alle sole vetture assemblate nel Paese e con una certa quota di componenti critiche prodotte in Nord America; una misura che sta suscitando serie preoccupazioni per i rischi di una deriva protezionistica degli scambi commerciali che danneggiano i partner commerciali europei. 

L’Europa, non avendo in essere strumenti di protezione dei propri mercati, rischia di compromettere l’efficacia della transizione all’elettrico di massa made in UE, fatto di una domanda di vetture compatte, aprendo spazi di mercato aggredibili da prodotti e produttori esteri, nella fattispecie cinesi, con il rischio di una ricaduta negativa sulla produzione continentale.  

UE E ITALIA: UNA SPINTA ELETTRICA PER ESSERE COMPETITIVI 

In questo quadro, la direzione indicata con la decisione di oggi alle filiere automotive europee è chiara e spinge per accelerare una transizione all’elettrico, che è già partita anche negli altri grandi mercati, per recuperare terreno in tempi rapidi ed essere competitivi a livello globale. L’Italia, che ha storicamente un importante presidio nel settore automotive, deve correre più velocemente possibile sui binari della transizione all’elettrico, sostenendo la conversione delle filiere industriali core e sulle competenze professionali necessarie al settore, attuali e future. 

Per far sì che tutto ciò accada, la sola indicazione dei nuovi obiettivi mediante il Regolamento in questione non è certamente sufficiente. Il dibattito in Europa è infatti aperto e non esclude l’opportunità di introdurre meccanismi di salvaguardia della produzione interna, un tema su cui è recentemente intervenuto nettamente il Presidente Francese Macron dichiarando la necessità per l’Europa di intervenire rapidamente per “difendere la preferenza europea nel settore” e offrire ulteriori sostegni all’industria automobilistica continentale 

Intervenire su questo terreno senza distorcere gli attuali equilibri commerciali dell’Europa con il resto del mondo, è certamente un percorso complicato. Tuttavia si deve lavorare per arrivare a un punto di caduta e in questo l’Italia potrebbe giocare un ruolo di primo piano facendo valere il suo peso politico e giocando di sponda con i produttori con importanti interessi nel mercato nazionale, come Stellantis. Lo stesso Tavares, ad di Stellantis, ha recentemente sottolineato la necessità di intervenire per rendere la transizione accessibile a tutti, riducendo i costi e chiedendo condizioni di reciprocità commerciale con i Paesi esteri, in particolare la Cina. A testimonianza del fatto che le imprese si stanno già muovendo, e che questo percorso non va fermato se non si vuole rischiare uno shock occupazionale, Stellantis ha già in programma di produrre e vendere solo modelli elettrici in Europa già dal 2030. 

Il dibattito in Italia si è fino ad oggi concentrato sull’impatto occupazionale negativo della trasformazione del comparto auto in termini di posti di lavoro a rischio, senza valutare che il vero impatto negativo si avrebbe se il comparto auto italiano e la relativa filiera non riuscissero a rimanere un player del mercato europeo dell’auto elettrica. In poche parole: quanto costerebbe, in termini occupazionali, non fare la transizione mentre gli altri mercati europei e mondiali vanno avanti spediti e l’elettrico si impone come nuovo paradigma di prodotto per la mobilità su strada? 

Proprio partendo da questa domanda, è fondamentale capire ciò che l’Italia può fare per cogliere le opportunità e minimizzare i rischi. L’azione del nuovo esecutivo dovrebbe insistere sia sul lato della domanda che sul lato della produzione. Per la domanda va confermato l’approccio degli schemi di incentivo all’acquisto di veicoli elettrici e infrastrutture per la ricarica inserito nei decreti adottati dal Mise il 4 agosto 2022, verificando se non sia necessario potenziare la dotazione finanziaria. Sempre a sostegno della domanda, è opportuno incentivare auto elettriche di piccola taglia, per dare un segnale, anche alle case produttrici, che l’auto elettrica deve diventare un prodotto di massa. Serve inoltre, rivedere gli schemi di incentivi fiscali per le flotte aziendali, spostando il focus sull’elettrico. 

Per la produzione, l’azione si deve concentrare sulla riduzione dei rischi occupazionali della transizione dando ulteriore supporto alla conversione all’elettrico delle filiere produttive della componentistica a rischio. In questo senso vanno ulteriormente potenziati gli strumenti di politica industriale già attuati dai decreti Mise del 4 agosto 2022 per i Contratti di sviluppo degli investimenti produttivi strategici e degli Accordi per l’Innovazione a sostegno della ricerca e sviluppo. A questi strumenti vanno inoltre affiancate misure efficaci per favorire la formazione e l’aggiornamento delle competenze professionali adeguando l’impianto normativo del Fondo Nuove Competenze previsto dal PNRR all’obiettivo di un’effettiva riqualificazione dei lavoratori per l’auto elettrica E-made in Italy. 

La coesione dimostrata dall’Unione Europea in questo percorso di transizione dei trasporti –settore chiave per l’economia e per le politiche climatiche – è un segnale importante ai mercati e anche ai governi nazionali. La rotta è tracciata e la transizione all’elettrico non è una scelta da rimettere in questione. Occorre agire tempestivamente per recuperare il terreno perduto salvaguardando concretamente un settore storicamente strategico dell’economia nazionale.

Photo by Riccardo

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