Gli Stati Uniti e il resto del mondo
L’Occidente appare profondamente diviso. La rielezione di Donald Trump potrebbe segnare una frattura storica, di lungo periodo, tra Stati Uniti e il resto dei paesi occidentali. Cosa possiamo aspettarci dal G7, ovvero dal gruppo di paesi che dalla seconda metà del Novecento ha rappresentato gli interessi di un Occidente unito?
L’agenda promossa dal neoeletto Primo Ministro del Canada Mark Carney, alla presidenza G7 per il 2025, appare come un tentativo di dimostrare continuità nella cooperazione con gli Stati Uniti su sfide comuni in materia di sicurezza ed economia, nella risoluzione dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, nonché nella collaborazione sulle materie prime critiche.
Non stupisce che qualsiasi riferimento al cambiamento climatico sia stato escluso dai documenti ufficiali. Molti membri del G7 hanno cercato di mantenere il clima tra i temi affrontati dai Capi di Stato e di Governo, ma non è stato trovato alcuno spazio di accordo con gli Stati Uniti, ideologicamente contrari. D’altro canto, segnali di un sostegno politico a nuove infrastrutture per il gas – in particolare GNL – potrebbero risultare particolarmente dannosi per il raggiungimento degli obiettivi climatici.
In questo senso, proprio questa settimana, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), ha lanciato un allarme, affermando che stiamo registrando “la più grande ondata di espansione della capacità nella storia dei mercati del GNL”. Questo avrebbe conseguenze profonde sui mercati globali del gas, in un momento in cui i principali consumatori – Europa e Cina – mostrano una domanda molto inferiore alle previsioni, poiché entrambe le economie si stanno elettrificando e diventano più efficienti. Il gas è ormai un investimento altamente rischioso, e tra i leader del G7 è proprio Mark Carney, in quanto esperto di finanza, a esserne tra i più consapevoli.
Il clima resta una priorità per molti paesi
Dei 15 leader attesi al Vertice G7 in Canada, molti hanno partecipato recentemente all’incontro virtuale sul clima tenutosi ad aprile, ospitato dal Segretario Generale dell’ONU António Guterres e dal Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva. Nuovi leader, come il Primo Ministro australiano Anthony Albanese e il Presidente della Repubblica di Corea Lee Jae-myung, hanno espresso impegni chiari per accelerare la diffusione delle energie rinnovabili, espandere massicciamente le reti elettriche e ospitare i prossimi vertici COP nel 2026 e 2028 rispettivamente.
Fino allo scorso anno, il G7 aveva già preso numerosi impegni in materia di azione climatica e sostegno ai Paesi in via di sviluppo per adattarsi e ridurre le emissioni. La vera domanda è se le potenze occidentali continueranno nel perseguire gli impegni presi alla COP28 di Dubai e se sapranno mantenere tali promesse al di fuori dei processi formali del G7 e G20. In particolare, in assenza dell’amministrazione statunitense (pur rafforzando le relazioni con quegli Stati e attori subnazionali degli USA che restano impegnati nell’azione climatica).
Vertice G7: Il Canada dovrà tenere la barra dritta sul clima
Il Vertice G7 rappresenta solo una delle opportunità di avanzamento dell’azione climatica nel 2025. Infatti, il Canada, in qualità di paese ospitante, potrebbe convocare i ministri del clima e dell’energia del G7 nella seconda metà dell’anno, in vista della COP30, per fare il punto sui progressi del G7 e delineare il percorso per il raggiungimento degli obiettivi, incluso quello dell’uscita graduale dai combustibili fossili, principale causa del cambiamento climatico.
Mark Carney, che ha appena confermato la sua partecipazione alla COP30, potrebbe presentare a Belém ciò che il G7 – più realisticamente, il G6 – sta facendo per mantenere a tiro l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi.
Come realizzare gli impegni: scacco in due mosse
La prima è un piano di riforma economica interna in grado di trasformare i paesi in “elettro-Stati”. Su questo, è possibile trarre insegnamenti dalla Cina, principale “elettro-Stato” al mondo, reindirizzando i finanziamenti ai combustibili fossili verso l’elettrificazione. Solo nel 2023, infatti, i Paesi del G7 hanno destinato 282 miliardi di dollari in sussidi ai combustibili fossili, di cui quasi la metà (134 miliardi) per mitigare i prezzi record del gas. In questo senso, sarà importante la presentazione, quest’anno, di piani climatici nazionali aggiornati, in grado di mettere l’economia su un percorso di crescita e ridurre le perdite economiche e sociali legate agli impatti climatici futuri, come indicato nell’ultimo rapporto OCSE-UNDP.
La seconda, è il rilancio della cooperazione internazionale, fondata su solidi accordi bilaterali. Al fine di sviluppare nuove forme di cooperazione, sarà necessario che le potenze occidentali lavorino a stretto contatto con il Sudafrica, in qualità di ospite del G20, il Brasile, a capo della COP30, i potenziali futuri paesi ospitanti delle COP, come Australia e Corea del Sud, e – ultimo ma non meno importante – la Cina. Infine, il Canada dovrebbe inoltre considerare la possibilità di ospitare la 9ª Ministeriale sull’Azione Climatica insieme a Cina e Unione Europea, come logico proseguimento degli incontri precedenti.
Alleanze attorno a obiettivi e bisogni comuni
Dalla governance climatica internazionale alle riforme del sistema finanziario globale, la stragrande maggioranza dei paesi condivide interessi comuni, sintetizzabili in termini di sicurezza ed economia. In questo senso, proseguire uniti nella lotta al cambiamento climatico, la minaccia più grande e complessa alla pacifica convivenza di questo secolo, resta una priorità condivisa. Ma per farlo, servirà trovare nuove forme di cooperazione e alleanze attorno a obiettivi e visioni comuni di trasformazione economica, coerenti con quanto firmato alla COP28 di Dubai.
Foto di Tyler Rutherford