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Verso la mobilità elettrica: opportunità di rilancio per l’industria italiana

La decisione della Unione europea di proibire l’immatricolazione di nuovi veicoli con motore endotermico a partire dal 2035, puntando sulla tecnologia elettrica, fa i conti con due evidenze di fondo, tra loro strettamente collegate. La prima riguarda la crisi climatica, che anche i più scettici riconoscono essere un problema alla luce dell’emergenza siccità o per i ghiacciai che si sciolgono con le drammatiche conseguenze viste sulla Marmolada. La seconda è di natura economica e riguarda la competizione globale che si è attivata sulla tecnologia utile a far fronte al problema climatico uscendo dall’era dei motori a combustione interna alimentati da fonti fossili: il motore elettrico, alimentato da energia rinnovabile.

Perché ci troviamo di fronte a questa sfida? La risposta sta nei numeri, che chiariscono perché per raggiungere l’obiettivo 1.5°C indicato dalla comunità scientifica in risposta alla crisi climatica, si debba intervenire per decarbonizzare il settore dei trasporti, partendo da quello su strada. Secondo i dati della International Energy Agency, muovere ogni anno passeggeri e merci nel mondo incide per un quarto del totale delle emissioni di CO2 energetiche (8,2 Gt di CO2 eq su oltre 36 Gt). Se fosse uno stato, il settore dei trasporti sarebbe il secondo emettitore mondiale, dopo la Cina e ben prima di Stati Uniti ed Europa.

Il trasporto su strada

All’interno del settore dei trasporti, un ruolo chiave lo rivestono gli spostamenti su strada. Nel contesto globale, ogni anno il solo trasporto su strada è responsabile del 75% delle emissioni complessive del settore e del 50% del consumo di risorse petrolifere. Guardando all’Italia , queste proporzioni risultano ancora più marcate, con i trasporti che nel loro complesso sono responsabili del 33% delle emissioni di CO2 energetiche . Di queste, oltre il 90% è dovuto ai consumi dei veicoli stradali, di cui per il 68% da autovetture per il solo trasporto passeggeri, contro una media europea del 61%. Dal lato dei consumi, il trasporto su strada in Italia assorbe, sottoforma di prodotti derivati quali diesel benzina, gpl, il 55% delle importazioni di petrolio.

Superare il motore a scoppio e il consumo di fonti energetiche fossili scegliendo la tecnologia più efficiente disponibile è dunque una delle sfide prioritarie per mitigare la crisi climatica. A fronte di questa sfida, tutte le economie del mondo si sono già attivate per elettrificare il parco veicoli circolante. Questo sta avvenendo a una velocità impressionante. Nel 2021, la flotta di auto elettriche circolanti nel mondo ammontava a 16,4 milioni di unità – più del doppio del 2019-, e le vendite raggiungevano i 6,5 milioni di nuove unità, sfiorando il 10% della quota di mercato complessiva, 3,5 volte quella registrata nel 2019. I principali mercati si sono confermati essere quello cinese (3,4 milioni di nuove immatricolazioni) e quello europeo (2,3 milioni). Secondo Bloomberg, il picco di vendite di auto con motori a combustione interna è già stato superato e si prevede una quota di mercato globale per le auto elettrificate superiore al 50% già entro il 2030, con il predominio delle tecnologie puramente elettriche.

Il ruolo di Bruxelles

Appare evidente che la decisione di Bruxelles vada nella direzione giusta, nonostante le prese di posizione di alcuni Paesi membri, tra cui l’Italia, che in sede di Consiglio Ambiente hanno insistito per ritardare e ridurre le ambizioni della proposta di modifica del Regolamento 2019/631 sugli Standard di emissione di CO2 per auto e veicoli commerciali leggeri, il provvedimento chiave per la transizione europea alla mobilità elettrica, già confermato dal voto del Parlamento europeo con una larga maggioranza.

Nel quadro del pacchetto di riforme Fit for 55, la riforma del Regolamento definisce i nuovi termini e gli obiettivi vincolanti per la decarbonizzazione del trasporto su strada. Tale riforma ribadisce, come già ha fatto l’IPCC, il ruolo chiave della tecnologia elettrica pura per un contributo effettivo del settore alla mitigazione climatica in linea con la traiettoria di 1,5 °C. Ma non solo. Con questo cambio di paradigma tecnologico, il regolamento vuole imprimere un cambio di passo nelle politiche industriali dell’Unione per mantenerle competitive in un mercato globale in veloce transizione.

Il ruolo di Roma

In questo contesto, tuttavia, il Governo italiano, o meglio una sua parte riconducibile ai Ministri Roberto Cingolani e Giancarlo Giorgetti, ha insistito nel chiedere che venisse lasciata aperta una finestra per veicoli nuovi equipaggiati con motori a combustione interna alimentati da combustibili alternativi decarbonizzati, appellandosi da un lato alla neutralità tecnologica quale caposaldo delle politiche dell’Unione e dall’altro alla salvaguardia e tutela della competitività e dell’occupazione delle filiere industriali della componentistica automotive nella transizione globale.

Si tratta di posizioni di retroguardia che giustamente sono state respinte, sia per l’inefficienza delle soluzioni tecnologiche alternative proposte, sia per l’evidente volontà dell’Unione europea di muoversi rapidamente e di allocare tutte le risorse disponibili a sostegno della transizione dell’industria automotive europea, incluse le filiere della componentistica, rispetto a un processo che le stesse case automobilistiche definiscono irreversibile.

Per l’Italia, serve una strategia di politica industriale e del lavoro mirate a supportare e accelerare la transizione della sua manifattura verso l’elettro-mobilità, senza sprecare le risorse degli incentivi indirizzandoli verso l’acquisto di nuove auto non elettriche e riallocando invece tali risorse finanziarie per la ristrutturazione e riqualificazione delle filiere. Anche le rappresentanze del lavoro, come la Fiom CGIL e la Fim Cisl, si sono subito attivate per chiedere al governo un tavolo di confronto per pianificare le politiche necessarie ad affrontare la transizione, non per rallentarla, avendo compreso che il momento per investire è adesso. Al contrario, mandare in scena una transizione con obiettivi confusi significa gettare le basi per una futura crisi occupazionale.

La posizione espressa dall’Italia rispetto alla  proposta riforma del Regolamento Ue, nasconde un doppio risvolto che nulla o poco ha a che fare con la salvaguardia dell’industria della componentistica automotive nazionale. Riguarda, piuttosto, la spinta degli interessi dei produttori di combustibili e dei gestori dell’industria petrolchimica nazionale, che mirano a sacrificare parte della transizione all’elettrico in favore  dei carburanti sintetici. Una soluzione non compatibile con i tempi e i costi necessari per la transizione.

Il ruolo di combustibili alternativi e dell’idrogeno

L’inefficienza di queste tecnologie a confronto con l’elettrificazione diretta e la loro stretta dipendenza dalla disponibilità di idrogeno verde, rischia infatti di diventare un ostacolo alla decarbonizzazione del settore elettrico, cannibalizzando gli investimenti in fonti elettriche rinnovabili da dedicare ai consumi diretti finali, e compromettendo gli obiettivi di transizione energetica nel loro complesso.

L’idea stessa di una produzione massiva di idrogeno in Africa da utilizzare come materia prima nella produzione di combustibili sintetici per reazione con CO2 catturata dall’atmosfera – le due condizioni fondamentali che rendono l’idrogeno verde – è di per sé altamente inefficiente, sia per i rischi di vincolare l’Italia a enormi investimenti in nuove infrastrutture di rete idonee al trasporto di questo gas, sia per le molteplici trasformazioni di ciclo necessarie. Rispetto a produrre idrogeno verde per elettrolisi dell’acqua in un  processo estremamente energivoro e a bassa efficienza (servono circa 60 kWh di energia per ogni kg di idrogeno, che ne contiene 35), trasportarlo per migliaia di chilometri, trasformarlo per sintesi con CO2 in un carburante da bruciare in un motore a scoppio, non è più logico e conveniente trasportare direttamente elettricità rinnovabile e utilizzarla in un motore elettrico? La risposta è ovvia.

Soluzioni hydrogen based possono giocare un ruolo importante nella decarbonizzazione di altri settori e devono essere gestite come risorse scarse da dedicare primariamente ai settori industriali cosiddetti hard to abate, ovvero difficili da decarbonizzare, come il siderurgico o il cemento. Nei trasporti potrebbero trovare impiego laddove oggi non esistono efficaci soluzioni alternative all’elettrificazione, come per l’aviazione o il navale, oltre a utilizzi di nicchia nel ferroviario e nel trasporto merci su strada per lunghissime percorrenze.

La chiara indicazione che l’elettrificazione di massa del trasporto su strada sia la migliore opzione per una efficace ed efficiente decarbonizzazione del settore è emersa anche da uno studio curato dalla Struttura organizzativa per la transizione ecologica della mobilità e delle infrastrutture (STEMI) presso il Ministero dei Trasporti, che ha visto coinvolti decine di esperti, espressione del mondo accademico e delle professioni riconosciuti a livello internazionale.

Legare i combustibili alternativi come quelli sintetici, i biocombustibili o l’idrogeno, al tema delle emissioni dei veicoli di nuova immatricolazione è una scelta miope a vantaggio non tanto delle case automobilistiche, che hanno obiettivi anche più ambiziosi dei governi – compresa Stellantis, che ha già dichiarato l’obiettivo di vendita di autovetture esclusivamente elettriche già a partire dal 2030  – quanto di chi produce questi carburanti e spinge per un loro utilizzo, sebbene inefficiente e inefficace nel settore del trasporto su strada.

Rischi e opportunità della mobilità elettrica

Certamente la decisione della Ue di proibire l’immatricolazione di nuovi veicoli con motore endotermico a partire dal 2035, puntando sulla tecnologia elettrica, non è un’operazione banale e senza rischi e sarebbe erroneo credere il contrario. Questo, non tanto, e non solo, per la complessità di un cambio di paradigma tecnologico nelle catene produttive del settore automobilistico, per cui sono disponibili competenze e risorse finanziarie tali da poter affrontare questo passaggio senza particolari difficoltà. Piuttosto per il ritardo accumulato dall’Ue nell’assicurare e garantire la necessaria disponibilità e capacità di trasformazione di materie prime critiche quali Litio, Cobalto, Nickel, Fosforo, ecc., utili alla produzione di batterie, nonché i metalli delle terre rare, per la produzione dei magneti permanenti per i motori elettrici.

Anche in questo caso, sappiamo quale e dove sia il problema. Non si tratta della tanto temuta dipendenza da Pechino per le importazioni di materie prime, come è stato sostenuto da più parti. Le risorse ci sono e sono ovunque nel mondo in quantità sufficienti, come rendicontato da tutte le principali agenzie e organizzazioni mondiali, inclusa l’OCSE. Gli stessi metalli delle terre rare, non si chiamano così in quanto ce ne siano pochi, ma in quanto dispersi in basse concentrazioni nei minerali che li contengono, che sono dappertutto ma necessitano di tecnologie idonee all’estrazione e trasformazione. La vera debolezza dell’Europa nei confronti dell’Asia, in questo caso, sta proprio nel non avere investito nelle tecnologie di estrazione e trasformazione di questi materiali, mentre la Cina non ha mai smesso di farlo, e di essersi legata ad essa per forniture di prodotti semilavorati a basso costo, senza preoccuparsi di diversificare. Ma si sta velocemente correndo ai ripari con importanti sostegni all’industria e alla ricerca, con una strategia di economia circolare per i materiali critici e le batterie, con nuove alleanze industriali internazionali.

Fatta salva la necessità di elettrificare il trasporto su strada, è sempre importante ricordare che la soluzione finale per decarbonizzare i trasporti non potrà limitarsi a uno shift tecnologico sui veicoli, ma dovrà anche passare da un radicale cambiamento delle modalità di fruizione della mobilità da parte dei cittadini, rendendo disponibili soluzioni alternative di qualità per il trasporto pubblico locale, la micro-mobilità, i servizi di sharing, la ciclo-pedonalità, con l’obiettivo primario di ridurre il ricorso all’auto privata.

 

Articolo pubblicato nell’edizione giugno/luglio di Quale Energia

Photo by Michael Marais on Unsplash

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