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Taranto, la produzione di acciaio primario nella sfida alla decarbonizzazione

In questo rapporto ECCO approfondisce il tema della produzione di acciaio primario in Italia, analizzando il caso specifico dell’unico impianto italiano che attualmente ne produce, ovvero lo stabilimento siderurgico di Taranto.

Scarica il rapporto completo qui.

Il mantenimento della produzione di acciaio primario nel processo di decarbonizzazione rappresenta un impegno importante per lo sviluppo dell’economia nazionale.

L’Italia è il secondo produttore di acciaio in Europa e l’undicesimo al mondo. Nel 2019 nel nostro Paese sono state prodotte 23,2 Mt di acciaio: l’82% è acciaio da riciclo, prodotto fondendo prevalentemente rottami ferrosi nei forni elettrici ad arco; il 18% è acciaio primario, ossia prodotto con ciclo integrale a partire dai minerali ferrosi presso lo stabilimento Acciaierie d’Italia di Taranto (Ex ILVA).

Nel 2020 l’ex ILVA ha prodotto 3,4 milioni di tonnellate di acciaio, emettendo in atmosfera 8,3 Mt di CO2. Oltre ai gas serra vengono emessi anche diversi inquinanti, tra cui polveri, diossine e idrocarburi policiclici aromatici (alcuni dei quali potenzialmente cancerogeni), principalmente derivanti dalla lavorazione del carbone e dall’utilizzo dei suoi derivati.

L’imminente pubblicazione del nuovo piano industriale di Taranto, legato al modificato assetto societario, rappresenta un’occasione unica per pianificare interventi e soluzioni di riconversione che possano coniugare la sostenibilità economica e sociale degli investimenti con la sostenibilità ambientale e climatica del progetto. Nonostante oggi, a livello internazionale, la produzione del cosiddetto ‘acciaio verde’ è ancora agli inizi, le particolari circostanze storiche offrono la possibilità affinché il sito di Taranto possa rappresentare un progetto ‘faro’ dell’acciaio verde in Europa e nel mondo, anticipando e guidando il cambiamento e portando sul mercato un prodotto la cui domanda potrà solo crescere in futuro.

Sulla base dei nostri approfondimenti, emerge che la tecnologia DRI (Direct Reduced Iron) è la soluzione che meglio combina le diverse variabili in gioco e permette di raggiungere la completa decarbonizzazione del processo produttivo dell’acciaio primario nel lungo periodo.

Si stima che la riconversione dello stabilimento di Taranto da altoforni a carbone a DRI a gas naturale richieda un investimento di 2,5 miliardi di euro, favorendo un immediato beneficio in termini ambientali e mantenendo immutata la qualità del prodotto finale.

Il punto di arrivo della completa riconversione prevede l’impiego di idrogeno verde. Sebbene attualmente le tecnologie per la produzione e lo stoccaggio dell’idrogeno non sono ancora sufficientemente sviluppate e hanno costi ancora troppo elevati, nel 2030 è prevista una loro significativa diminuzione (da 8,2 – 8,9 a 5,5 – 6,2 miliardi di euro). Per questo motivo è necessario che gli investimenti pubblici siano indirizzati verso l’opzione DRI e incardinati in una strategia nazionale di lungo periodo, di fatto l’unica percorribile per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica.

Dal punto di vista occupazionale, il ridotto fabbisogno di manodopera del sistema formato da pre-riduttore e dall’acciaieria elettrica (DRI ed EAF) può essere compensato e diversificato attraverso uno sviluppo coordinato di sbocchi lavorativi alternativi, come quelli nelle filiere dell’idrogeno verde e delle energie rinnovabili, nonché con l’ampliamento degli impianti di finitura dell’acciaio interni al sito.

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IMAGE CREDIT Ant Rozetsky on Unsplash

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