I Piani Nazionali Energia e Clima (PNIEC), rappresentano un’opportunità per coniugare gli impegni sul clima agli obiettivi della sostenibilità sociale. Piani economicamente efficienti – e efficaci nell’attuazione – favoriscono una transizione compatibile con la visione di uno sviluppo socialmente accettabile, equo e resiliente, nel rispetto dei limiti naturali del pianeta. La valutazione generale, sulla bozza inviata dal Governo italiano a luglio 2023, della Commissione europea dice chiaramente che sarà necessario aggiustare il tiro su obiettivi, misure e politiche all’interno del Piano se vogliamo che sia all’altezza delle sfide che dobbiamo affrontare.
Nella nostra analisi, pubblicata a dicembre 2023, si sottolineavano gli elementi che minano l’efficacia e l’ambizione del PNIEC italiano, anche in riferimento alla valutazione dei suoi impatti sulle variabili socioeconomiche. Ciò è stato confermato subito dopo dalla suddetta valutazione della Commissione, che sottolinea come tutti gli Stati membri abbiano fornito una valutazione solo parziale degli impatti socioeconomici della transizione climatica e energetica su individui, famiglie e imprese, elemento chiave per la loro attuazione. La maggior parte dei Piani è, inoltre, carente rispetto alle politiche mirate ad affrontare gli impatti sociali e occupazionali della transizione, mancando anche di coordinamento e coerenza con la pianificazione già esistente in materia, come i Piani di Giusta Transizione.
Aspetti territoriali e distributivi della giusta transizione: l’analisi Reform Insitute-ECCO
Insieme al think tank indipendente polacco Reform Institute abbiamo condotto una valutazione di due dimensioni essenziali di giusta transizione all’interno del PNIEC, oltre a una lista di criteri che dovrebbero essere soddisfatti per affrontare la sfida di un’equa transizione.
Con gli “Aspetti territoriali”, abbiamo esplorato la presenza di strumenti all’interno del PNIEC in grado di supportare le comunità locali nel processo di transizione. Ci siamo chiesti se esistono incentivi per la decarbonizzazione a livello locale, capaci di assicurare una transizione regionale inclusiva e fornire una struttura di governance per una transizione giusta. Gli “Aspetti distributivi”, invece, hanno permesso di valutare la presenza di elementi di verifica dell’impatto differenziato delle politiche climatiche relativamente al reddito e alle diverse sfide e opportunità che diversi gruppi sociali incontreranno (incluso accesso ai servizi pubblici essenziali e al mercato del lavoro, accesso a un paniere di beni e diritti)[1].
Complessivamente, l’analisi mostra che sotto alcuni (pochi) aspetti, l’Italia è sulla strada giusta per sviluppare un PNIEC migliore di quello del 2019. Tuttavia, è ancora per la maggior parte insufficiente per raggiungere una transizione territorialmente giusta e nel riconoscere la distribuzione dei costi e benefici delle misure settoriali pianificate.
Qui alcuni dei punti più rilevanti che emergono dall’analisi.
Aspetti territoriali:
- L’abbandono dei combustibili fossili menzionato nel PNIEC sembra sinonimo solo di allontanamento dal carbone, mentre ci sono piani per aumentare l’uso del gas naturale in alcuni settori, mettendo in gioco la capacità del Paese di raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica.
- La mancanza di una governance chiara ostacola lo scambio di informazioni e la sinergia con altri Piani nazionali europei.
- Seppur i Piani Territoriali di Giusta Transizione contengono iniziative cruciali per sostenere l’economia locale in contesti vulnerabili, non tutte sono riflesse nel PNIEC 2023.
- Emergono contraddizioni tra gli obiettivi PNIEC e quelli previsti nei Piani Territoriali di Giusta Transizione, ad esempio per Taranto e Sulcis, relativamente alla data di abbandono del carbone.
- Manca una mappatura delle aree di intervento e una valutazione delle esigenze specifiche per azioni volte ad aumentare l’accesso e la capacità di energie pulite locali e per la transizione dei processi industriali locali.
Aspetti distributivi:
- C’è la necessità di una pianificazione degli investimenti per l’efficientamento energetico, per il potenziamento del trasporto pubblico locale e di politiche sociali per garantire un accesso equo alla mobilità per tutti.
- Manca una valutazione dello stato attuale della povertà nei trasporti e dell’impatto che la transizione da veicoli a combustione avrà sulle classi sociali più vulnerabili e sui lavoratori del settore.
- Emerge come sia completamente assente dal PNIEC una descrizione sui requisiti finanziari e sulle fonti di finanziamento disponibili e necessarie per ogni politica e misura, oltre all’identificazione dei presupposti socioeconomici di ciascuna misura.
- Manca una descrizione di come politiche fiscali, assicurative e di previdenza sociale verranno usate per sostenere i gruppi più vulnerabili.
Politiche industriali e diseguaglianze: la parola agli esperti
Abbiamo ascoltato l’opinione del Prof. Andrea Roventini, Professore ordinario di economia politica alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e della Prof.ssa Maria Enrica Virgillito, Professoressa Associata di Economia all’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna, per capire più in generale quali elementi del Piano possono incidere sulle diseguaglianze sociali e territoriali.
“La decarbonizzazione dell’economia e quindi la transizione verde è un’opportunità di sviluppo, di crescita e di creazione di posti di lavoro”, afferma Roventini. “È necessario però – continua Roventini – che un governo introduca delle politiche industriali per orientare le imprese e l’economia verso questo processo di trasformazione e di decarbonizzazione. In questo senso, il Piano presentato dal Governo in Italia è totalmente insufficiente per attuare questa trasformazione”.
Secondo la Professoressa Maria Enrica Virgillito, “è chiara l’assenza di una prospettiva di politica industriale, che piuttosto che essere informata dal Piano, dovrebbe informare il Piano”. Virgillito sottolinea che “data l’assenza di un organo ministeriale di indirizzo e pianificazione della politica industriale nazionale, appare ovvia l’assenza di una prospettiva di politica industriale nel PNIEC, che potrebbe rappresentare un naturale strumento di pianificazione pubblica dello sviluppo produttivo del Paese con obiettivi strategici volti alla decarbonizzazione.”
Per ciò che riguarda gli impatti distributivi delle politiche di decarbonizzazione, il Professor Roventini conferma come “in assenza di politiche adeguate, il cambiamento climatico e le transizioni andranno a colpire i cittadini meno abbienti”. Roventini sottolinea che “con la trasformazione economica si creeranno più posti di lavoro di quelli che si perderanno, ma certi settori saranno colpiti più di altri, con conseguente necessità di spostamento e riqualificazione di alcuni lavoratori (si pensi al settore automobilistico). Questo significa che servono politiche industriali per gestire la transizione, che si finanziano andando a tassare di più chi è più responsabile delle emissioni”. Questa transizione può essere quindi anche “l’occasione per ridurre le diseguaglianze, ma deve essere guidata dalle politiche”. Roventini conclude dicendo che “il PNIEC dovrebbe prevedere degli investimenti pubblici collegati alle politiche industriali e alla trasformazione della nostra economia. Se è necessario si devono indicare nel PNIEC le coperture e si deve iniziare a pensare ad una riforma fiscale che fornisca le risorse per questa trasformazione”.
Riflettendo sugli impatti su territori, individui, famiglie e industrie, la Professoressa Virgillito sottolinea come “la transizione giusta, seppur menzionata, non rientra in modo specifico tra gli obiettivi del Piano. La transizione, per essere perseguita e per essere giusta, deve investire tre dimensioni: i livelli occupazionali, la diseguaglianza economica e ambientale”. Virgillito continua dicendo che occorre identificare i “territori dell’abbandono e sviluppare delle strategie di politica industriale “place-based“, ossia volte a ottenere degli obiettivi di indirizzo quadro, attraverso delle specifiche territoriali. Ciò si sostanzia nella implementazione della riconversione di siti produttivi obsoleti, in termini sia di tecnologie impiegate, di gestione della forza lavoro, di incidenti sul lavoro e di inquinamento ambientale prodotto. “Considerato che la distribuzione dei danni ambientali prodotti dalle imprese non è proporzionale, e che molto spesso i grandi inquinatori sono anche propulsori di diseguaglianze socio-economiche, partire dal monitoraggio/riconversione di questi impianti dovrebbe essere la priorità per garantire ai territori dell’abbandono delle nuove traiettorie di sviluppo”, ha concluso la Professoressa Virgillito.
Raccomandazioni: un giusto Piano per una giusta transizione
Aspetti distributivi e impatti socioeconomici sono considerati nel PNIEC solo attraverso l’analisi input-output e in termini di fabbisogni occupazionali, occorre ora un’integrazione con ulteriori analisi e metodologie, alcune delle quali già estensivamente sperimentate e testate.
La Banca d’Italia, ad esempio, nei suoi studi fornisce un ventaglio di tali strumenti, come l’impiego di stime del costo sociale del carbonio (SCC, Social Cost of Carbon) con le quali hanno valutato costi e benefici delle misure contenute nel PNRR. In altri lavori, sempre relativi al PNRR, hanno proposto una quantificazione dell’occupazione generata nei settori interessati dalle misure e una ripartizione per competenze richieste e, a livello regionale, l’occupazione generata nel settore delle costruzioni. Questo tipo di analisi è al momento completamente assente nel PNIEC.
Occorre inoltre mappare i benefici addizionali che provengono da investimenti pubblici in politiche climatiche (come quelli che deriverebbero da investimenti nell’efficienza energetica di edifici residenziali) o integrare l’analisi costi-benefici sopra citata con indicatori che colgano in maniera più ampia impatti sociali indiretti. Istituti come la London School of Economics (LSE) e la Banca Europea per gli Investimenti hanno condotto studi all’avanguardia sulle implicazioni di indicatori che misurano il ritorno sociale e ambientale di un investimento (Measuring impact beyond financial return (lse.ac.uk)). Uno di questi è lo SROI (social return on investment), già citato in un precedente lavoro di ECCO (pag.28).
Impostare questa analisi ora in vista della consegna del PNIEC definitivo a giugno 2024, è un lavoro oneroso, ma essenziale per evitare uno spreco di risorse, per raggiungere gli obiettivi climatici e sociali che ci siamo posti e per assicurare l’accettabilità del processo di transizione.
Foto di Jahoo Clouseau
NOTE
[1] Per maggiori informazioni sulla metodologia, consultare i documenti pubblicati insieme al Reform Institute.