Elezioni 2022

Per un nuovo patto intergenerazionale

con il contributo della Fondazione Heinrich-Böll-Stiftung

Il Presidente Mario Draghi dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha affermato di contare sull’aiuto dei giovani per implementare l’Accordo di Parigi e di essere consapevole della fame di cambiamento delle nuove generazioni. Un aiuto che si trasforma in grido, quello delle piazze che domani venerdì 23 settembre saranno occupate dai giovani di Fridays for Future per lo sciopero globale per il clima in più di 400 città in tutto il mondo e circa 70 in Italia. 

Uno sciopero che in Italia arriva a due giorni dalle elezioni politiche e acquista un significato particolare.  Il grido dei giovani scaturisce dal fatto che proprio la politica non si è presa in carico l’ingiustizia intragenerazionale nell’affrontare la questione climatica. Laddove è risaputo che i costi dell’inazione nel limitare i cambiamenti climatici entro i 1,5° sono immensamente superiori a quelli di affrontare oggi la transizione energetica, la realtà mostra come a prevalere nell’agire della politica siano sempre gli interessi del breve periodo, più che la consapevolezza dei costi e degli impatti nel futuro.  

Questo ricade sui giovani, in termini di conto da pagare per le conseguenze irreparabili dei cambiamenti climatici e relativi impatti, e di accumulo crescente di debito in meccanismi di sostegno alle fonti fossili e sviluppo di infrastrutture, il gas in particolare, in cui si continua a investire nonostante l’incompatibilità con la salvaguardia del clima.  

Il debito da pagare è ancor più enfatizzato dall’assordante eco della crisi energetica. Dopotutto, il popolo dei giovani del clima è parte di quelle famiglie e di quelle imprese che il prossimo inverno si troveranno a fare i conti con un costo dell’energia senza precedenti. E la politica?  

In questo contesto, le misure messe in atto dal Governo per affrontare la crisi energetica sono  di breve periodo, caratterizzate da interventi di supporto a pioggia (e non mirati alle categorie più in difficoltà) che sono già costati circa 50 miliardi di euro prima ancora dell’inizio dell’inverno.  

Sono risorse destinate a coprire il costo esorbitante del gas e non a uscire dalla dipendenza dalle fossili che è la priorità delle nuove generazioni.  

Nonostante il piano RepowerEU abbia identificato come priorità lo sviluppo delle fonti rinnovabili e l’efficienza energetica per diversificare dal gas russo, l’Italia si è mossa prevalentemente nella direzione di vincolarsi con acquisti di gas e nuove infrastrutture senza mostrare come queste siano compatibili con il futuro.  

Per un giovane questo è un problema, così come un problema è l’ingente debito che viene accumulato per sostenere un benessere basato sul consumo di energia fossile senza preoccuparsi di chi lo ripaga. 

Gli investimenti in infrastruttura a gas e combustibili fossili sono ancora presenti, soprattutto nei programmi elettorali della destra e del centro, come soluzioni al problema di oggi, senza il bisogno di preoccuparsi del domani. Eppure i più accreditati scenari di riferimento per le politiche energetiche vedono una costante diminuzione del bisogno europeo di gas, evidenziando la mancanza di convenienza di investimenti in infrastrutture destinate a divenire presto obsolete ma che graveranno sulle bollette future per lungo tempo.  

Anziché intervenire sulle soluzioni disponibili: le rinnovabili, l’efficienza e una diversa cultura del consumo, e quindi farsi carico adesso degli obiettivi di decarbonizzazione,  la politica è tornata a parlare di nucleare senza considerare che per rispettare l’obiettivo di mantenere i cambiamenti climatici sotto i 1,5° le rinnovabili devono contribuire all’80% del sistema elettrico entro il 2030 e praticamente il 100% al 2035, cioè anni prima che qualsiasi programma nucleare possa offrire qualsivoglia contributo.  

Il cortocircuito è fastidioso nel momento in cui i Governi si impegnano con piani e obiettivi in Europa e al G7 e poi nella pratica imboccano direzioni opposte. 

Il tema chiave è la giustizia climatica e intergenerazionale. Le generazioni che hanno beneficiato dello sviluppo economico per anni senza pagarne le esternalità climatiche subiranno in maniera molto minore le conseguenze dei cambiamenti climatici rispetto ai giovani di oggi, che invece le pagheranno a lungo e dovranno fare i conti con sistemi naturali fortemente danneggiati non più in grado di sorreggere lo stesso livello di sviluppo umano.  

In un mondo che parla continuamente di sostenibilità, manca ancora una governance del clima che assicuri ai giovani il rispetto quantomeno della definizione di sviluppo sostenibile data 35 anni fa: “Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri» (1)  

I prossimi cinque anni saranno fondamentali per scongiurare un aumento della temperatura globale superiore a 1.5 gradi, soglia stabilita come obiettivo dagli Accordi di Parigi su indicazione della comunità scientifica. Al momento la temperatura media del Pianeta è già aumentata di 1.1 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, e la prospettiva è quella di un aumento pari a 2.7 gradi. 

L’UE stima che dal 1990 l’Europa abbia subito circa 500 miliardi di danni legati al clima, e l’Italia è il secondo paese più colpito. La politica è chiamata ad agire ora in maniera efficace per minimizzare i danni climatici e massimizzare invece le opportunità, anche economiche e sociali, della transizione energetica, proponendo politiche veramente trasformative e non a difesa dello status quo.  

La transizione climatica, offre una strada per uscire dalla crisi attuale senza ipotecare il futuro, anzi mettendo le basi per un solido sviluppo in grado di dare opportunità alle nuove generazioni. Al contrario un’opposizione passiva al cambiamento, volta a mantenere immobile l’attuale situazione, rischia di bloccare gli investimenti in innovazione e innescare una enorme crisi economica, occupazione e sociale. In questo senso rallentare la decarbonizzazione per proteggere adesso poche migliaia di posti di lavoro nell’industria dei combustibili fossili impedirebbe di creare molte più opportunità di lavoro per i giovani in settori all’avanguardia nella sostenibilità. L’esempio del mancato sviluppo delle rinnovabili in questi anni, che hanno un potenziale occupazionale di 500.000 posti di lavoro, parla da solo.  

Se la politica vuole chiedere un aiuto ai giovani deve mettere sul tavolo un piano di sviluppo per il Paese, che faccia dell’azione climatica l’opportunità per garantire la sicurezza e lo sviluppo umano ed economico delle prossime generazioni. Questo va deciso adesso. 

Per questo le elezioni di domenica saranno particolarmente importanti per i giovani. Fridays for Future ha sottoscritto la petizione ‘un voto per il clima’ e preparato un’Agenda Climatica per cercare di influenzare il dibattito politico indirizzandolo verso i temi climatici.  Di sicuro il clima è un argomento capace di aggregare i giovani e di chiamarli a partecipare alle responsabilità della democrazia, contrastando il fenomeno sempre in crescita dell’astensionismo. Contare sull’aiuto dei giovani però presuppone la capacità di accogliere quello che chiedono. 

 

NOTE
(1)  Rapporto Brundtland, our common future, 1987

Photo by Mika Baumeister on Unsplash

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