Leggi l’analisi “Le relazioni energetiche tra Italia e Azerbaigian”
La Presidenza azera della COP29 avrà un ruolo essenziale nel rilancio dell’ambizione degli impegni siglati alla COP28 di Dubai, tra cui triplicare la capacità di energia rinnovabile e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030, ma soprattutto dovrà essere decisiva nel dare un seguito concreto alla decisione di abbandonare gradualmente i combustibili fossili nei sistemi energetici in modo giusto, ordinato ed equo. Tuttavia, le priorità in agenda delineate da Baku non includono elementi che permettano di avanzare degli strumenti che rendano operativo l’abbandono delle fonti fossili.
L’Azerbaigian può essere definito un “petrostato”, il cui sviluppo economico è fortemente legato alle esportazioni di petrolio e gas. Ad oggi, infatti, i combustibili fossili rappresentano oltre il 90% dei proventi da esportazioni, il 60% delle entrate pubbliche e il 35% del Prodotto interno lordo (PIL). Il 95% delle esportazioni dell’Azerbaigian è composto da petrolio e gas naturale, e i Paesi dell’Unione Europea – in primis l’Italia – rappresentano oltre la metà delle esportazioni totali del Paese. Per sostenere la sua economia, l’Azerbaigian sta puntando sempre di più sulla vendita del proprio gas a Paesi europei, tra cui l’Italia, allacciando relazioni politiche ed economiche che fanno perno sulla cooperazione energetica. Ma se da una parte le relazioni bilaterali tra l’UE e l’Azerbaigian si sono perlopiù attenute a un quadro consolidato incentrato sull’energia e il commercio, tralasciando ogni prospettiva di associazione politica, nel corso degli ultimi quattro anni le relazioni italo-azere hanno subito un rafforzamento che va al di là della dimensione prettamente energetica, favorendo la creazione di un partenariato strategico multidimensionale.
Il centro dell’asse Roma–Baku rimane incentrato sull’energia fossile. L’Azerbaigian esporta verso l’Italia il 57% del proprio petrolio, rappresentando quest’ultima il primo mercato di destinazione del petrolio azero. Per l’Italia, l’Azerbaijan è tra i primi fornitori di petrolio, con una media all’incirca del 15% dell’import totale. Allo stesso modo, il Paese si è rivelato un partner essenziale all’interno della strategia italiana di diversificazione dal gas russo. Ad oggi, infatti, Baku esporta circa il 20% della sua produzione di gas in Italia. L’Azerbaigian è il secondo fornitore di gas dell’Italia dopo l’Algeria, rappresentando ad oggi circa il 16% dell’import totale di gas. La volontà di ampliare la cooperazione energetica tra i due Paesi passa attraverso l’intenzione di raddoppiare il gasdotto Trans Adriatic Pipeline (TAP) che dovrebbe passare da una capacità di 10 a 20 miliardi di metri cubi l’anno (Mld mc/a). Questo progetto, al centro del protocollo d’intesa siglato nel 2022 tra la Commissione Europea e Baku, riveste una particolare importanza sia dal punto di vista energetico che politico.
Il rafforzamento della partnership ha rappresentato, infatti, un elemento politico fondamentale alla luce della questione azero-armena. La posizione che l’Italia ha mantenuto sul conflitto tra Azerbaigian e Armenia per il Nagorno-Karabakh è l’esito diplomatico di un rafforzamento delle relazioni tra Roma e Baku sulla base di interessi economici, soprattutto di natura energetica.
Questo studio evidenzia i rischi economici e politici di Italia e Azerbaigian connessi a un ulteriore intensificarsi della dipendenza dal gas. Infatti, da un lato non emergono dall’analisi dei fondamentali del mercato del gas europeo condizioni di domanda stabili tali da giustificare nuovi investimenti infrastrutturali e dall’altro una limitata disponibilità di volume di offerta di gas azero.
Per quanto riguarda la domanda di gas, nonostante la rilevanza che Baku ha assunto nel processo di diversificazione delle forniture di gas dalla Russia, è stato dimostrato che l’incremento della capacità di trasporto del TAP non è giustificato all’interno di scenari che vedono l’Italia e l’Europa perseguire un percorso coerente con gli obiettivi climatici nazionali ed europei al 2030, nonché con gli impegni internazionali dell’Accordo di Parigi. Gli scenari del lavoro ‘Lo stato del gas’, e nello specifico quello di decarbonizzazione del Fit-for-55 costruito su una domanda gas come data dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), dimostra come l’infrastruttura esistente[1] sia già in grado di coprire i volumi di consumo richiesti e addirittura assicurare un volume di export dell’Italia di oltre 7 miliardi di metri cubi l’anno.
Per quanto riguarda l’offerta, invece, secondo uno studio dell’Oxford Institute for Energy Studies (OIES), entro il 2030, ipotizzando il più basso livello plausibile di produzione di gas azero[2] e fronte a una domanda interna che rimane stabile, non ci sarebbero volumi residuali di gas disponibili per l’esportazione verso la Turchia e i partner europei. Se si ipotizza il massimo livello plausibile di produzione, entro il 2030 potrebbero essere disponibili al massimo 15 Mld mc/a di gas incrementale in aggiunta ai volumi già contrattualizzati. Tale stima potrebbe ridursi nuovamente entro il 2035 a causa del declino naturale del giacimento.
La garanzia di una domanda di gas sufficiente e stabile da parte dell’Europa è una condizione necessaria per il sostegno finanziario allo sviluppo di nuovi giacimenti che sarebbero necessari per alimentare il potenziamento delle infrastrutture di esportazione. Tali garanzie, tuttavia, non sono compatibili con gli scenari di decarbonizzazione delle politiche già in atto. Una prova di ciò è il fatto che il mercato già evidenzia uno scarso interesse a incrementare le forniture. Il mancato rinnovo del contratto per le forniture di gas alla Turchia dal giacimento Shah Deniz e le richieste vincolanti raggiunte di soli 1,2 Mld mc/a rispetto ai 10 previsti dagli accordi tra Italia e Azerbaigian sono infatti una riconferma che le attuali condizioni di mercato non sono adeguate a sostenere gli investimenti necessari allo sviluppo di nuovi giacimenti e potenziamento di infrastrutture.
Continuare a scommettere sul gas puntando su un mercato europeo che presenta una domanda di gas in calo nei prossimi cinque anni rischia perciò di esporre Italia e Azerbaigian a incrementare, in una relazione di dipendenza già marcata, ulteriori rischi di stranded assets in infrastrutture che difficilmente potranno essere ripagate. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), se si vuole rimanere all’interno di una traiettoria che raggiunge la neutralità climatica (net-zero) entro il 2050 e limita l’innalzamento della temperatura media globale a 1,5°C, non vi è più spazio per nuove esplorazioni e produzione di idrocarburi. Con una riduzione della domanda a livello globale di petrolio e gas derivante da una transizione energetica a ritmo moderato, che rispecchia lo scenario di domanda impegni annunciati (Announced Pledges Scenario – APS), il 50% dei provenienti di Baku dalla vendita del petrolio e dal gas sarebbe a rischio. Di conseguenza, data la grande dipendenza dell’economia azera dalle entrate petrolifere, all’interno di una traiettoria indicata dallo scenario APS, il 70% delle entrate pubbliche dell’Azerbaigian sarebbe a rischio se non si dovesse attuare alcuna strategia di mitigazione del rischio e riforma che sostenga un processo di una diversificazione economica.
La priorità per l’Azerbaigian all’interno di un contesto come quello della COP non dovrebbe essere quella di incrementare i propri contratti di esportazione di combustibili fossili, che rappresentano quindi un rischio finanziario, ma, all’interno degli accordi di partenariato, costruire una strada che metta al riparo la stabilità finanziaria del paese in un contesto di progressiva decarbonizzazione dei mercati energetici globali.
La COP rappresenta dunque un’occasione per l’Azerbaigian per riconoscere apertamente le sfide connesse alla sua economia fossile e, insieme agli altri membri della Troika – Emirati Arabi Uniti e Brasile – delineare una strada praticabile verso la decarbonizzazione dei Paesi produttori, favorendo un’ambizione climatica più condivisa. La natura di un Paese produttore di combustibili fossili e il suo non allinearsi in definiti blocchi geopolitici potrebbe portare a coinvolgere altre nazioni ricche di idrocarburi in un dibattito costruttivo ed esplicito sui dilemmi della transizione dai combustibili fossili in un modo mai raggiunto prima alla COP.
Data la grande rilevanza dell’Italia per il mercato azero – e viceversa – è essenziale che l’Italia tenga in considerazione i seguenti punti nell’approfondire le relazioni politiche ed economiche con l’Azerbaigian:
- i piani di aumento di esportazione di gas dall’Azerbaigian verso l’Italia si inseriscono in un quadro dove scommettere sul gas espone a numerosi rischi. Se l’Italia vuole perseguire un percorso coerente con gli obiettivi climatici nazionali ed europei al 2030 nonché gli impegni internazionali dell’Accordo di Parigi non è necessario investire in nuova capacità a gas. Scommettere sul gas, perciò, significa rischiare di generare stranded assets, ossia investimenti che andranno persi in quanto non più remunerativi. In merito, gli investimenti delle principali società partecipate coinvolgerebbero e metterebbero a rischio anche capitali pubblici;
- impostare una relazione incentrata sul gas senza prevedere misure di supporto alla diversificazione economica significa condannare il Paese ad un futuro di entrate incerte e a rischio, con ripercussioni sulla sostenibilità di bilancio e salute economica dell’esportatore;
- l’Italia, in quanto primo partner commerciale, dovrebbe farsi promotore di misure che possano accompagnare il processo di diversificazione economica dell’Azerbaigian, per esempio tramite l’attivazione di nuove forme di diplomazia economica e industriale per l’identificazione di progetti a zero emissioni che possano favorire lo sviluppo di settori alternativi a quello petrolifero e di una pianificazione a lungo termine.
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Foto di Orkhan Farmanli
NOTE
[1] L’infrastruttura esistente considera il terminale di rigassificazione di Ravenna ma non quello di Piombino (autorizzato solo fino al 2026)
[2] Dove le stime “basse” indicano una visione più prudente della velocità di entrata in funzione dei nuovi giacimenti e quelle “elevate” sono fornite basandosi sull’ipotesi che le previsioni più ottimistiche siano realizzate, come l’entrata in funzione e il raggiungimento del plateau di produzione di un giacimento negli anni presi in considerazione