Leggi il policy briefing: “Il nesso clima e sicurezza nella politica estera italiana”
L’avvio dei lavori della COP29 a Baku, la prossima COP30 di Belem in Brasile e l’avvicinarsi della presentazione, a febbraio 2025, dell’aggiornamento dei Contributi Nazionali Determinati (NDC) da parte dei Paesi della Convenzione rendono il 2025 un vero e proprio spartiacque della diplomazia climatica. Al nesso tra clima e costruzione di pace, la COP29 dedica l’intera giornata tematica di lavori del 15 novembre. Inoltre, la presidenza azera ha lanciato la COP29 Peace and Climate Initiative, che ha ricevuto l’approvazione di diversi Paesi, tra cui l’Italia, e che conferma la necessità di promuovere ulteriori azioni per l’operatività di iniziative concrete sul nesso tra clima, pace e sicurezza.
Gli attori internazionali stanno diventando sempre più consapevoli dell’interconnessione tra clima, sicurezza, sviluppo e pace riconoscendo l’importanza di integrare queste dimensioni nelle loro proiezioni globali. Il clima sta assumendo un ruolo crescente nelle strategie di politica estera di vari Paesi, specialmente in ambito di sicurezza e difesa, così come nelle strategie delle organizzazioni internazionali e sovra-nazionali. Nel 2021, la NATO ha adottato un ambizioso Climate Change and Security Action Plan per integrare le considerazioni relative al cambiamento climatico nell’agenda politica e militare dell’Alleanza. All’interno della Strategic Concept del 2022 la NATO ha ribadito come l’organizzazione intenda “diventare leader di riferimento per comprendere a adattarsi all’impatto del cambiamento climatico sulla sicurezza”. Inoltre, il G7 ha già incorporato l’impegno a raggiungere zero emissioni nette di carbonio dal 2015 e ha riconosciuto il cambiamento climatico come un rischio esistenziale per la sicurezza nel 2022, con la dichiarazione congiunta dei Ministri degli Esteri di Canada, Francia, Italia, Giappone, Stati Uniti e Regno Unito sotto la guida tedesca. Al livello europeo, nel 2023 la Commissione Europea e l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza ha pubblicato la Comunicazione Congiunta sul nesso Clima-Sicurezza, mentre singoli Paesi, tra cui la Francia e la Germania, hanno poi gradualmente integrato la sicurezza climatica nelle proprie strategie di sicurezza nazionale e difesa, integrando a vari livelli priorità di politica estera e difesa.
Come dimostra questo crescente interesse internazionale, una strategia di politica estera organica, a lungo termine, sostenibile e innovativa non può trascurare il ruolo centrale svolto dal clima, con particolare attenzione a questioni cruciali come i sistemi alimentari, la prevenzione dei disastri, la risposta alle crisi, lo sviluppo economico, i flussi migratori. Anche per l’Italia, questo comporta comprendere le ripercussioni a livello regionale e transnazionale dei rischi climatici all’interno del proprio concetto di sicurezza nazionale, adottando al contempo una prospettiva di sicurezza climatica nel monitoraggio degli sviluppi, nella definizione delle priorità, nell’elaborazione di politiche per prevenire i rischi e rispondere agli impatti e nell’istituzione di partnership.
Tali riflessioni sono ancora più urgenti in una regione altamente vulnerabile all’impatto del cambiamento climatico come il Mediterraneo, dove proprio l’alto livello di vulnerabilità rischia di mettere a repentaglio la buona riuscita degli sforzi di cooperazione e, più in generale, di ostacolare il raggiungimento degli obiettivi di politica estera italiana ed europei. Più nello specifico, nel suo sforzo di costruzione di uno sviluppo sostenibile nel continente africano, il Piano Mattei dovrebbe tenere conto che il cambiamento climatico sta già contribuendo a ristrutturare i flussi migratori. Già focolaio di migrazioni tra Nord Africa, Levante e Europa, il bacino del Mediterraneo continuerà a essere un punto nodale della migrazione dal Sud del mondo verso il Nord globale.
Il Bacino del Mediterraneo infatti è, secondo il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) nel suo focus Mediterraneo, un hotspot climatico, cioè un’area geografica dove il clima sta cambiando più velocemente rispetto alle tendenze globali: le temperature medie annuali hanno già superato 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali, 0,4°C in più rispetto alla variazione media globale, nonostante la regione contribuisca solo al 6% delle emissioni globali. Gli impatti del cambiamento climatico, a partire dalle temperature medie, la variazione delle precipitazioni e l’aumento di eventi climatici estremi stanno già esacerbando le vulnerabilità presenti nella regione. Questo scenario climatico in evoluzione ha implicazioni dirette e indirette per la sicurezza e la stabilità di tutta la regione, espandendosi alle dimensioni politiche, sociali ed economiche.
Il nesso clima e sicurezza nella politica estera italiana
È fondamentale che l’integrazione di un framework di sicurezza climatica nella politica estera italiana muova da un approccio reattivo e a breve termine, di risposta ai disastri ambientali e agli eventi estremi, verso un approccio proattivo che miri ad anticipare e prevenire gli impatti del cambiamento climatico sulla sicurezza, la difesa, l’economia e la finanza. Questo approccio preventivo è necessario nel pianificare politiche di resilienza per la regione a orizzonte 2030, 2050 e oltre, definire il ruolo dell’Italia come attore della diplomazia climatica e assicurare coerenza a lungo termine degli strumenti di politica estera nella gestione degli impatti climatici a insorgenza lenta, tra cui la sicurezza idrica e alimentare.
La promozione di un framework di sicurezza climatica deve andare di pari passo con la promozione di politiche di adattamento agli impatti del cambiamento climatico e di una visione a lungo termine per la decarbonizzazione a livello regionale. Investire in ambito di adattamento significa infatti anche intervenire sulla correlazione tra gli impatti del cambiamento climatico e la mobilità umana.
L’Italia ha un grande potenziale per diventare un attore chiave della politica climatica internazionale: a livello globale grazie al suo ruolo nel G7 e nel G20, come Stato Membro dell’Unione Europea e, a livello regionale, come attore centrale nel Mediterraneo, grazie anche al nuovo corso della politica estera italiana inaugurato dal Piano Mattei. In questo quadro, la finestra di opportunità per l’Italia di rendere le proprie istituzioni fit-for-purpose, cioè capaci di rispondere a un futuro di incertezza regionale e globale dove il clima e i suoi impatti costituiranno sempre più la variabile fondamentale e definente dei processi geopolitici. A tal fine, è necessario ripensare la diplomazia climatica e le istituzioni superando un approccio frammentato ed estendendo il dossier clima in maniera trasversale:
- Integrare un quadro di gestione del rischio climatico sulla base degli scenari climatici e a partire dai dati scientifici più aggiornati, con particolare riferimento ai rischi climatici a cascata con effetti diretti sul sistema-Italia. Idealmente, una mappatura dei rischi climatici dovrebbe prevedere misure adeguate alla costruzione di resilienza e della sicurezza sulla base degli impatti climatici previsti per il superamento delle soglie dell’1.5°C, 3°C e 5°C di riscaldamento globale.
- Avviare la creazione di tavoli di lavoro e di confronto periodici con gli esperti, la cooperazione internazionale e il settore privato all’interno dei ministeri competenti (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Ministero della Difesa, Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica), le Direzioni Generali rilevanti e corpo diplomatico e al fine di creare maggiore capacity e consapevolezza nell’identificazione dei rischi climatici negli specifici ambiti di competenza, e revisionare gli attuali strumenti di policy testando la loro efficacia contro il rischio clima. Data la natura sistemica e orizzontale del clima e la sua rilevanza su vari ambiti di policy, i tavoli di lavoro dovrebbero avere funzioni di identificazione delle aree di criticità, elaborazione delle soluzioni, monitoraggio dei processi istituzionali e condivisione delle best practices.
- Una proposta di taskforce inter-ministeriale: è necessario un livello di coordinamento intra-governativo e inter-ministeriale che possa offrire uno spazio di raccordo tra i Ministeri competenti e Palazzo Chigi, in modo da assicurare coerenza e integrazione delle iniziative di politica estera in linea con gli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi, la salvaguardia dell’1.5°C. Ciò significa assicurarsi che i rischi, ma anche le opportunità, della dimensione climatica nelle sue diramazioni sulla sicurezza siano comprese e rappresentate.
- Integrare l’analisi dei rischi a livello regionale e i rischi per il sistema Italia all’interno delle strategie di politica estera, prevedendo soluzioni concrete e identificando i gaps a livello di governance e di progetti concreti che mirino alla costruzione di resilienza. A tal proposito, la ricerca strategica e policy-oriented può avvalersi di una maggiore collaborazione con i centri di ricerca di eccellenza in collaborazione con gli atenei, i think tank, le organizzazioni non governative e le organizzazioni internazionali, per elaborare ulteriori conoscenze nell’ambito del controllo, anticipazione e prevenzione dei rischi climatici. Fondamentale è indirizzare la ricerca verso l’elaborazione di politiche efficaci per la gestione dei rischi climatici.
- Supportare come priorità di politica estera nuovi partneriati energetici puliti con i paesi della sponda sud mettendo al centro la decarbonizzazione e diversificazione dei sistemi economici, particolarmente rilevante per i Paesi esportatori di fonti fossili, Algeria, Libia ed Egitto. In particolare, l’Italia potrebbe sostenere strategie industriali e di finanziamento per l’elaborazione dei piani di transizione, per costruire resilienza economica agli shock, inclusi quelli climatici.
- Supportare i Paesi del Mediterraneo nella ridefinizione di obiettivi climatici e incoraggiare target di decarbonizzazione ambiziosi: i Contributi Nazionali Determinati (NDC), così come i Piani Nazionali di Adattamento (NAP) sono strumenti strategici per i Paesi più esposti al fine di ricevere supporto nei contesti multilaterali adeguati, e tuttavia ancora poco sfruttati nei Paesi Mediterranei non membri dell’Unione Europea. Un NDC, accompagnato da una NAP, fornisce una bussola per comprendere a pieno i bisogni e le traiettorie di sviluppo del singolo paese, riorientando efficacemente gli strumenti di cooperazione.
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Questo studio è stato realizzato da ECCO in partnership con l’ufficio di Parigi della Fondazione Heinrich-Böll.
Foto di Ahmed Achaka