Novembre sarà un mese di verdetti. Il 5 novembre, gli occhi del mondo saranno puntati su Washington per le elezioni americane. Dall’11 al 22 novembre, a Baku, si terrà la COP29 e, in contemporanea, il Vertice dei Capi di Stato e di Governo del G20: il 18 e 19 novembre a Rio de Janeiro. Questi, saranno i primi momenti internazionali dopo il voto americano. Sempre se uscirà un risultato chiaro dalle urne statunitensi, cosa non scontata, visto il testa a testa dei sondaggi che potrebbe richiedere uno scrutinio più lungo del previsto.
Nonostante il rischio incertezza, a Baku si ridefinirà il “patto politico” tra le Parti su come finanziare l’azione per il clima: chi paga, quanto, e come i Paesi si impegneranno a mobilitare i capitali necessari, calcolati in mille miliardi di dollari all’anno, come fabbisogno di finanziamenti internazionali per il clima entro il 2030 per i Paesi emergenti, ad esclusione della Cina.
La COP29 avrà, dunque, due valori di riferimento per valutarne la portata. Il primo è di carattere geopolitico. Ovvero, quanto i Paesi investiranno nel trovare una soluzione multilaterale efficace, equa e inclusiva per affrontare la sfida globale più complessa che le società contemporanee devono affrontare? Senza di essa, tutto l’impianto e la credibilità dell’Accordo di Parigi è a rischio.
Il secondo, è la capacità di disegnare e adottare un quadro globale di finanza per il clima che indirizzi le risorse pubbliche e private verso infrastrutture e progetti in grado di trasformare l’economia globale, costruendo società più sicure rispetto agli impatti climatici e capaci di assorbire, per quanto possibile, i danni e le perdite causati dal cambiamento climatico.
Il negoziato ruoterà intorno all’identificazione di un nuovo obiettivo di finanza per il clima (New Collective Quantified Goal for Climate Finance o NCQG) che sarà negoziato dalle delegazioni dei Ministeri del clima e degli esteri, anche se chi avrà la maggiore influenza per smuovere gli equilibri politici saranno i Ministri delle finanze e i leader.
Al di là del negoziato tecnico, Paesi come l’Italia (membro G7 e G20) hanno importanti responsabilità storiche e disponibilità finanziarie relativamente più alte di altri. Sarà loro il compito di assicurarsi che la finanza, soprattutto pubblica, ci sarà. E ci sarà soprattutto per i Paesi più vulnerabili e per le richieste immediate di sviluppo.
Cosa significa nel concreto per l’Italia?
Innanzitutto, l’Italia dovrà riaffermare quanto già di positivo ha annunciato l’anno scorso alla COP28 di Dubai, ovvero il contributo di 100 milioni di euro per il Fondo per le perdite e i danni. Il passo avanti a Baku sarebbe indicare una tempistica di consegna di tale contributo e le relative coperture. Inserire questo contributo nella Legge di bilancio sarebbe la via più immediata per garantire la consegna già nel 2025.
Ci sono, poi, due Fondi concessionali e a prestiti agevolati di grande impatto per i Paesi più vulnerabili, soprattutto nel continente africano, sui quali l’Italia può impegnarsi con un aumento dei propri contributi: il primo riguarda il rifinanziamento dell’Agenzia Internazionale per lo Sviluppo (IDA) della Banca Mondiale. Nel 2022 IDA è stato il più grande fornitore di finanza per il clima verso i Paesi africani con 4,45 miliardi di dollari e, più in generale, rappresenta la principale fonte di finanziamento per i Paesi più vulnerabili, di cui il 70% è destinato ai Paesi dell’Africa Sub-Sahariana. Per ogni dollaro versato, IDA riesce a raccogliere fino a quattro dollari sul mercato dei capitali. La COP29 e il G20 sono le occasioni più importanti dell’anno, prima della Conferenza di rifinanziamento di IDA, prevista il 5-6 dicembre nella Repubblica di Corea. Un incremento del rifinanziamento avrebbe anche un effetto traino su altri Paesi G7 e risponderebbe in pieno all’appello di mobilitazione del Presidente di Banca Mondiale e dei maggiori Paesi africani.
La seconda azione è aumentare i contributi per il Fondo per l’Adattamento e impegnarsi per un rinnovo annuale. Investire in adattamento è centrale per prevenire le perdite e i danni degli impatti del clima e con esse anche potenziali spinte migratorie e nuovi conflitti. Il Governo italiano ha già messo l’adattamento al centro della propria azione internazionale come testimoniato dalle conclusioni della Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni (Processo di Roma) del luglio 2023, dalla partecipazione della Presidente Meloni all’evento di alto livello di COP28 dedicato all’adattamento e dall’iniziativa G7 dedicata all’adattamento (G7 Adaptation Accelerator Hub) lanciata ad aprile dall’Italia nel corso della Ministeriale clima G7 di Venaria. Questo Fondo è anche l’unico che non ha raggiunto il suo obiettivo di raccolta di 300 milioni di dollari nel 2023 nonostante gli impegni dei Paesi sviluppati, come l’Italia, di raddoppiare la finanza per l’adattamento entro il 2025. Anche in questo caso il contributo dell’Italia sarebbe decisivo per fare da traino per altri donatori.
Altro importante segnale dall’Italia sarebbe un impegno su come alleviare il peso del debito dai paesi colpiti da eventi climatici estremi. Un meccanismo già adottato da tutti i Paesi G7, ad eccezione dell’Italia, è l’inclusione in tutti i nuovi prestiti di “clausole di debito resilienti agli impatti climatici” (Climate Resilient Debt Clauses o CRDCs). Si tratta di uno strumento per posticipare il pagamento del debito in caso di disastri ambientali o climatici e concedere ai Paesi più vulnerabili accesso immediato a liquidità per rispondere alle crisi. L’Italia rimane l’unico Paese G7 a non aver ancora preso un impegno concreto in tal senso.
Infine, l’Italia potrebbe “giocare in casa” supportando l’iniziativa TeraMed che punta al raggiungimento di 1 Terawatt di potenza rinnovabile installata entro il 2030 nella Regione del Mediterraneo. Questa iniziativa si instaura a tutti gli effetti nel quadro degli obiettivi e progetti del Piano Mattei. L’impatto sugli obiettivi di COP29 si avrebbe nel momento in cui l’Italia si impegnasse a supportare la costruzione di piattaforme nazionali (country platforms) e regionali di investimento nei paesi del Nord Africa, ovvero meccanismi di coordinamento per catalizzare e mettere a terra finanziamenti pubblici e privati, anche attraverso il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti e il Fondo Clima.
Questi segnali rappresenterebbero un contributo concreto dell’Italia, non solo per aumentare le risorse finanziarie, ma anche per costruire quella fiducia necessaria affinché tutti i Paesi firmino un accordo che dovrà tenere conto dei diversi interessi in gioco, inclusi quelli dei Paesi G7 di allargare la base dei donatori tradizionali a economie e attori geopolitici che già oggi contribuiscono in maniera significativa agli investimenti internazionali, come Cina e Paesi del Golfo.
Infine, il risultato di COP29 influenzerà la volontà dei Paesi di presentare nuovi piani di riduzione delle emissioni al 2035, previsti in scadenza per febbraio 2025 e al centro dei risultati della COP30 di Belém, in Brasile, l’anno prossimo. In questo quadro, tutti i Paesi sono chiamati a delineare obiettivi e piani per concretizzare l’impegno di Dubai di abbandonare progressivamente le fonti fossili, triplicare la capacità installata di energia rinnovabile e raddoppiare gli sforzi di efficienza energetica entro il 2030.