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A Nairobi un accordo storico per clima e ambiente

Lo scorso 2 marzo si è conclusa la quinta edizione dell’Assemblea per l’ambiente delle Nazioni Unite (United Nations Environment Assembly – UNEA-5), tenutasi a Nairobi, in Kenya, dal 28 febbraio al 2 marzo 2022. Si è raggiunto un accordo su una risoluzione che è già stata definita “storica” e che ha l’obiettivo di porre fine all’inquinamento da plastica affrontando l’intero ciclo di vita della plastica, dal processo produttivo, al consumo e fino allo smaltimento finale. La risoluzione approvata è quella proposta da Rwanda e Perù, mentre non è passata quella del Giappone, che prevedeva solamente interventi per migliorare la gestione dei rifiuti plastici.

L’accordo di Nairobi è già stato definito come il più importante accordo internazionale sull’ambiente dai tempi di quello di Parigi e prevede l’istituzione di un comitato di negoziazione intergovernativo (Intergovernamental Negotiating Commitee – INC), che dovrà sviluppare uno strumento internazionale giuridicamente vincolante sull’inquinamento da plastica entro il 2024. Una tabella di marcia così ambiziosa riflette la comprensione da parte dei paesi che hanno partecipato all’Assemblea dell’urgenza di compiere progressi su una sfida così critica.

Negli ultimi anni si è fatta sempre più pressante l’urgenza di implementare a livello globale misure concrete contro l’inquinamento da plastica. Ogni anno finiscono in mare 11 milioni di tonnellate di plastica e si prevede che questa cifra raddoppierà entro il 2030 e quasi triplicherà entro il 2040 (fonte UNEP). In Italia il 13% dei rifiuti in plastica non viene raccolto, portando alla dispersione in natura di 0,5 milioni di tonnellate di plastica all’anno (fonte WWF). Circa 53 milioni di tonnellate di rifiuti plastici vengono disperse ogni anno nel Mediterraneo, causando un danno economico al nostro Paese di 67 milioni di euro all’anno.

Alcune delle misure per affrontare il problema dell’inquinamento da plastica individuate nella risoluzione, come una produzione e progettazione sostenibile dei prodotti in plastica, la riduzione dei consumi, una gestione dei rifiuti rispettosa dell’ambiente, hanno sicuramente impatti positivi anche nella riduzione delle emissioni di CO2. Questi problemi non hanno una soluzione unica né semplice e occorre adottare un approccio ‘composito’, basato sulla combinazione di più soluzioni differenti. Nello specifico, ECCO individua almeno tre pilastri:

  1. La riduzione dei consumi di plastica. L’Italia è la seconda consumatrice di plastica a livello europeo: nel 2020 sono state consumate quasi 6 milioni di tonnellate di plastica, corrispondenti a 97 kg a persona. Un primato non invidiabile dal momento che per la produzione di un kg di plastica vengono emessi 1,7 – 2 kg di CO2 in atmosfera (considerando anche le fasi di estrazione delle materie prime fossili – fonte Material Economics  e Agora Energiewende). Il principale settore d’impiego della plastica è quello degli imballaggi, prodotti caratterizzati da una brevissima vita utile. Per contrastare il monouso in plastica sono necessarie policy e strumenti fiscali per guidare le scelte dei consumatori finali verso prodotti sfusi o con poco imballaggio, evitando la semplice sostituzione di imballaggi in plastica con imballaggi monouso in altri materiali.
  2. Riciclo della plastica già presente sul mercato. In Italia il potenziale per il riciclo della plastica è ancora sotto-sfruttato, soprattutto se paragonato con altri materiali quali vetro, carta o metalli: delle 3,6 milioni di tonnellate di rifiuti plastici generati nel 2018 nel nostro Paese, solamente il 31% è stato destinato al riciclo (fonte Plastics Europe).
  3. Utilizzo di plastiche biobased per quelle applicazioni in cui non è possibile rinunciare alla plastica. Utilizzando le plastiche a base vegetale è possibile evitare l’estrazione e la raffinazione delle fonti fossili e il rilascio di importanti quantità di CO2 in atmosfera. Tuttavia, per la produzione di un kg di polimeri vegetali servono circa 2,5 kg di biomassa, come mais, barbabietola o canna da zucchero (fonte Spekreijse, J; Lammens, T; Parisi, C; Ronzon, T; Vis, M; “Insights into the European market for bio-based chemicals”, European Commission, 2019). La biomassa è una risorsa scarsa ed è quindi necessario che quella utilizzata per la produzione di plastica derivi da scarti, in modo tale da non entrare in competizione con la filiera alimentare, limitare lo sfruttamento del suolo, le emissioni di gas serra del settore agricolo, la deforestazione e la distruzione degli habitat e della biodiversità. Proprio in ragione del valore della biomassa è importante indirizzare, per quanto possibile, la plastica biobased verso applicazioni durevoli.

Quella di Nairobi è stata un’importante opportunità per compiere un primo passo verso la risoluzione del problema dell’inquinamento da plastica e, al contempo, per contribuire all’obiettivo di decarbonizzazione di questa filiera. Ora c’è ancora molta da strada da fare per mettere in campo azioni concrete per affrontare i problemi legati alla filiera della plastica.

Photo by Tim Hüfner on Unsplash

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