Il 22-23 luglio in Brasile si terrà l’incontro dei Ministri delle finanze e dei Governatori delle Banche Centrali dei Paesi G20. Un’occasione per portare avanti riflessioni e impostare nuove linee guida su come finanziare la transizione e gestire i crescenti rischi climatici.
Oltre alle politiche monetarie, le Banche centrali hanno a disposizione una formidabile leva, se ripensata: quello delle politiche macroprudenziali.
Leggi il rapporto “Rischi climatici e requisiti di capitale delle banche”
Le politiche macroprudenziali
Oggi il credito rappresenta, in Europa e in Italia, il canale principale di finanziamento dell’economia, ed è per questo anche la fonte potenziale più importante di finanza sostenibile. Tuttavia, i crediti verdi rappresentano ancora una quota marginale del portafoglio crediti degli istituti bancari europei con circa il 4-5%. Allo stesso tempo, le evidenze empiriche mostrano che le banche europee stanno finanziando in misura eccessiva attività, settori e imprese non compatibili con gli obiettivi climatici. Ciò comporta un’elevata esposizione ai rischi rapportata alla loro capitalizzazione, tale da poterne minacciare in futuro la solvibilità.
In questo contesto, la disciplina delle politiche macroprudenziali può rappresentare una leva decisiva per riorientare significativi flussi di credito e di investimenti finanziari fuori dall’economia fossile, come da impegni di COP28 di Dubai, e a sostegno della transizione ecologica.
Gli accordi di Basilea
L’intera architettura della supervisione prudenziale sui sistemi bancari deriva dai cosiddetti accordi di Basilea, elaborati dal Comitato di Basilea (BCBS), un organismo costituito nel 1974 e composto dai rappresentati degli organismi di vigilanza bancaria di 27 Paesi che opera presso la Banca dei Regolamenti Internazionali (Bank of International Settlements o BIS). Ecco perché la posizione dei Ministri delle finanze e dei Governatori delle Banche centrali dei Paesi G20 è decisiva.
Il BCBS produce linee guida, raccomandazioni e standard che non hanno efficacia diretta sugli ordinamenti giuridici dei Paesi partecipanti. Tuttavia, attraverso le regolamentazioni indicata dal Comitato, si realizza il coordinamento e la convergenza tra le normative e le procedure di vigilanza internazionali in materia di stabilità dei sistemi bancari. La logica di Basilea si è evoluta nel tempo e, nella versione più recente, denominata “Basilea 3”, si articola in tre pilastri (pillars):
- requisiti di adeguatezza del capitale (capital requirements);
- procedure di supervisione e di governance interna dei rischi;
- norme di trasparenza e di disclosure atte a garantire la cosiddetta disciplina del mercato (market discipline), cioè la capacità di investitori e depositanti di valutare l’effettiva rischiosità di ciascuna banca.
La metrica del rischio
Mentre il processo in corso di integrazione dei rischi climatici abbraccia praticamente tutti gli aspetti del secondo e terzo pilastro, più complessa e controversa è invece l’integrazione nel primo pilastro, quello che definisce i criteri quantitativi di determinazione dei requisiti patrimoniali e delle metodologie di valutazione dei rischi su cui dimensionarli. Questa integrazione è osteggiata dalle autorità di vigilanza in ragione della difficoltà metodologica di catturare i rischi climatici con le metriche di rischio standard. La difficoltà di tradurre gli impatti (diretti e indiretti) che i soggetti finanziati hanno sull’ambiente in metriche di effettiva rischiosità per la banca che li finanzia è il vero problema per rendere i requisiti di capitale uno strumento di orientamento del credito bancario in funzione della transizione ecologica.
Singola e doppia materialità
Nella logica vigente, la metrica del rischio si coniuga in termini di danni e perdite che possono derivare dal clima verso l’istituzione finanziaria (“singola materialità”) e non anche in termini di impatti dannosi che l’attività dell’istituzione può provocare verso l’ambiente esterno (“doppia materialità”). Il principio di “doppia materialità” è però centrale nella classificazione degli impatti climatici ed è esplicitamente alla base delle politiche del Green Deal europeo e della Tassonomia. La disciplina prudenziale è attualmente concepita in un ambito esclusivo di “singola materialità”.
Adottare una logica di “doppia materialità” anche nel primo pilastro di Basilea richiederebbe quindi un cambio di prospettiva: ovvero riconoscere ai requisiti di capitale anche la valenza di strumento per orientare i flussi di credito a favore della decarbonizzazione dell’economia e non soltanto, come nell’impostazione attuale, di strumento di esclusiva tutela patrimoniale delle singole banche.
Ciò non implica però necessariamente, come talvolta ipotizzato, l’abbandono dell’approccio attuale da parte delle autorità, ma una sua riqualificazione in ottica sistemica. La difficoltà di catturare a livello micro-analitico l’esposizione ai rischi climatici e il riconoscimento della loro natura sistemica, trovano infatti una risposta più appropriata nel campo delle politiche macroprudenziali che riconoscono che i rischi sistemici sono endogeni al sistema, cioè derivano dai comportamenti collettivi degli agenti economici e si attrezza a controllare e orientare quei comportamenti in modo da prevenirne l’insorgenza. Nell’ottica macroprudenziale, i rischi rilevanti non sono solo quelli che colpiscono dall’esterno le singole istituzioni, ma sono anche quelli che le singole istituzioni contribuiscono a generare o amplificare.
Rischi climatici e credito
I rischi climatici, come tutti i fattori di rischio sistemico sono generalmente sottostimati e richiedono l’applicazione di fattori di correzione aggregati collegati a indicatori indiretti di esposizione potenziale. Questo implica che la stessa disciplina macro-prudenziale non può ignorare il ruolo che il sistema finanziario, e le banche in particolare, giocano nel contrasto ai cambiamenti climatici, ma deve invece, proprio a salvaguardia della stabilità del sistema, minacciata dal rischio clima, farne strumento di policy a tutti i livelli.
In un’ottica macro-prudenziale, avrebbe quindi senso considerare non soltanto un aumento selettivo dei requisiti di capitale da trattenere per proteggersi dai rischi (in ragione della relativa concentrazione della banca su settori/aree a rischio) ma anche un aumento strumentale dei “coefficienti di solvibilità” collegandoli cioè a indicatori aggregati dell’impronta carbonica e delle emissioni totali dei soggetti finanziati dalla banca stessa (ad esempio gli stessi indicatori richiesti dalla normativa della rendicontazione non finanziaria o disclosure) e, preferibilmente, anche a indicatori prospettici o forward looking che garantiscano la coerenza dei piani di decarbonizzazione delle singole imprese finanziate con gli obiettivi climatici.
L’evidenza empirica mostra che i requisiti di capitale influenzano in modo significativo sia il volume del credito, sia il livello dei tassi di interesse bancari, e possono giocare un ruolo decisivo per mitigare i rischi di transizione generati da politiche di decarbonizzazione aggressive. Questi esercizi mostrano cioè che le politiche macroprudenziali sono il necessario complemento delle politiche climatiche proprio in funzione della riduzione dell’esposizione al rischio degli intermediari finanziari, i quali, in assenza di requisiti di capitale adeguati, operano come canale di amplificazione dei rischi sistemici.
Simulazioni specifiche mostrano inoltre che l’implementazione combinata di “fattori di penalizzazione” ai settori/imprese più emissivi (brown penalizing factors o BPF) e di “fattori di supporto” ai settori/imprese verdi (green supporting factors o GSF) consente ai primi di ridurre l’esposizione delle banche ai rischi di transizione e ai secondi di mitigare gli effetti avversi di razionamento del credito, supportando gli investimenti sostenibili che potrebbero soffrirne.
Il ruolo del G20
I Ministri delle finanze e i Governatori delle Banche centrali dei Paesi G20 hanno un quindi un potere rilevante nel determinare l’esposizione presente e futura delle società al rischio clima. Questi dovrebbero chiedere che il Comitato di Basilea e le autorità di vigilanza prevedano l’adozione di requisiti differenziati di capitale per le banche omogenei a livello internazionale e un quadro inequivoco di riferimento per la loro applicazione. In particolare:
- che disegnino una mappa concettuale che colleghi i criteri di sostenibilità della Tassonomia ad una griglia di rischiosità potenziale sistemica delle attività finanziabili, la quale tenga conto, oltre che dell’impronta carbonica presente, anche dei piani di decarbonizzazione prospettici;
- che calibrino e prescrivano parametri di maggiorazione e/o riduzione dei requisiti di capitale allineati con tale griglia di rischiosità sistemica;
- che indichino metodiche omogenee e certificate di valutazione della coerenza dei piani di decarbonizzazione con gli obiettivi dell’Unione europea e con gli obiettivi climatici di Parigi;
- che stabiliscano procedure vincolanti di monitoraggio e obiettivi di impatto coerenti con i punti precedenti;
- che integrino le procedure di controllo e di reportistica con quelle già in essere di secondo e terzo pilastro.
Leggi il rapporto “Rischi climatici e requisiti di capitale delle banche”
Foto di Ibrahim Boran