Negli anni recenti l’Italia ha dimostrato un crescente interesse verso il continente africano, culminato con il Summit Italia-Africa del gennaio 2024 e con il lancio del Piano Mattei, che si propone di guardare al continente in modo paritario e non predatorio. Fino ad ora però, le logiche che hanno governato le relazioni dell’Italia con l’Africa sono state largamente caratterizzate dall’interesse ad assicurarsi accesso a forniture di gas. Nel solo triennio 2021-2023, l’Italia ha firmato 14 nuovi accordi per la fornitura di gas con paesi mediorientali e africani, nonostante lo scenario di sicurezza energetica per l’Italia in questo contesto non preveda la necessità di nuovi investimenti. Nonostante ciò, Il sistema di finanza pubblica italiana (CDP-SACE) è fortemente orientato al supporto di questi investimenti, incluso in Africa.
Perché l’Italia sia effettivamente in grado di sviluppare un partenariato con l’Africa di mutuo beneficio, attraverso il Piano Mattei e il ruolo di leadership attribuitole dalla Presidenza del G7 per il 2024, è necessario che dia ascolto e risponda alle esigenze espresse dai partner africani. Queste includono una serie di proposte di riforma dell’architettura finanziaria internazionale che aiutino a risolvere la sofferenza debitoria e accedere a finanza a basso costo per diversificare la propria economia e intraprendere la transizione energetica. Per l’Italia questo implica anche superare approcci tradizionali legati a concetti sulla sicurezza energetica e al ruolo degli idrocarburi che al momento caratterizzano la presenza italiana in Africa.
Leggi il rapporto “L’Italia e la crisi del debito: quali implicazioni per il partenariato con l’Africa”
La crisi del debito in Africa
Il crescente peso del debito estero pone un ostacolo formidabile per il continente ad intraprendere gli investimenti necessari per combattere povertà, disuguaglianza e intraprendere la transizione energetica. Nel corso dell’ultima decade, il debito estero è cresciuto più velocemente del PIL e a causa dell’aumento dei tassi d’interesse, i paesi dell’Africa Sub-Sahariana nel 2023 in media hanno dedicato il 12% delle loro entrate fiscali al pagamento del servizio del debito, più di quanto spendano per salute e istruzione. Allo stesso tempo, l’aiuto effettivamente ricevuto dai paesi africani è diminuito del 3,5% nel 2022, e molti paesi stanno trasferendo ai propri creditori più di quanto non ricevano in investimenti, prestiti o aiuto allo sviluppo.
La soluzione della crisi del debito è complicata dalla composizione del sistema dei creditori coinvolti, che nel corso degli ultimi quindici anni è diventato più complesso e variegato. In Africa, il 44% del debito è dovuto a creditori privati, il 34% a creditori multilaterali e solo il 23% ad altri governi. Il governo italiano ha un credito con il continente di circa 1,3 miliardi di dollari, mentre creditori privati italiani detengono circa 2 miliardi di debito africano. Il Common Framework istituito dal G20 nel 2020 nel tentativo di agevolare il processo di ristrutturazione del debito dei paesi più poveri nel contesto della pandemia è stato fino ad ora utilizzato da soli quattro paesi, con dubbi risultati.
Il rapporto tra debito, crisi climatica e investimenti fossili
Un aspetto importante della crisi del debito africana è il circolo vizioso che ha questa instaurato con la crisi climatica e con la dipendenza dalla produzione di combustibili fossili. Da un lato, gli alti livelli di debito costituiscono un ostacolo significativo nell’affrontare i cambiamenti climatici e promuovere la transizione energetica, poiché riducono la spesa pubblica per ridurre le emissioni e adattarsi agli impatti crescenti; dall’altro i costi dei danni e delle perdite associati con il cambiamento climatico compromettono la sostenibilità del debito dei paesi colpiti.
Inoltre, i paesi le cui economie sono fortemente dipendenti dall’esportazione di combustibili fossili hanno pochi incentivi per abbandonarne la produzione perché necessitano di valuta estera per ripagare il debito contratto in dollari o euro. Allo stesso tempo, in molti paesi sono gli stessi investimenti nell’estrazione di idrocarburi ad avere un impatto negativo sulle finanze pubbliche ed ad aggravare l’indebitamento, in buona misura a causa dei contratti che le compagnie energetiche concordano con i governi, con clausole che danno priorità ai profitti privati piuttosto che all’equilibrio della finanza pubblica, come i Resource Backed Loans (RBL) (un contratto che prevede che il rimborso venga effettuato direttamente in risorse naturali) e le clausole ‘take-or-pay’, che impegnano il compratore ad acquistare un volume predeterminato di una certa risorsa ad un prezzo fissato ex-ante.
Questo circolo vizioso è di grande rilevanza per la presenza italiana in Africa, la cui principale manifestazione concreta sono gli investimenti di Eni. Dopo TotalEnergies, Eni è la seconda più grande azienda produttrice di oil&gas presente in Africa, e la terza azienda nello sviluppo di nuovi giacimenti. Tutti i paesi in cui Eni è presente sono in una situazione di sofferenza debitoria se non in crisi. In Ghana, una clausola ‘take-or-pay’ stipulata da Eni col governo ha contribuito ad accentuare la crisi debitoria del paese. In Mozambico, Eni, CDP e SACE insieme ad altre compagnie petrolifere hanno investito in progetti di estrazione di gas che hanno contribuito a deteriorare la finanza pubblica del paese e aumentarne la sofferenza debitoria, oltre che povertà e conflitti. Ad oggi, i piani di espansione di Eni nel continente africano appaiono in contraddizione con gli impegni presi a livello internazionale dall’Italia sul clima, con le priorità espresse dal continente africano e con la logica dello stesso Piano Mattei.
Le vie d’uscita dalla crisi del debito: quali opzioni per l’Africa e implicazioni per l’Italia
L’Italia, insieme ai paesi del G7 e del G20, dovrebbe farsi portatrice delle richieste di riforma dell’architettura internazionale del debito, e in particolare supportare le seguenti misure col fine di attenuare la sofferenza debitoria dei paesi africani e in via di sviluppo, assicurare un flusso di risorse adeguato ai bisogni del continente e adeguare il sistema globale di gestione e ristrutturazione del debito estero ai rischi e alle esigenze poste dalla crisi climatica:
- impegnarsi per un ambizioso rifinanziamento di IDA21 (il fondo della Banca Mondiale che offre prestiti sovvenzionati o doni ai paesi più poveri), corrispondente a un aumento collettivo del G7 del 25% in termini reali e fortemente richiesto dai paesi africani;
- accogliere le richieste di miglioramento del Common Framework; sostenere la necessità di una revisione urgente dell’uso di sovrattasse su debiti scaduti da parte del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e supportare il processo avviato dal FMI per la revisione della formula per il calcolo delle quote attribuite a ciascun membro, in vista di una redistribuzione a favore dei paesi in via di sviluppo;
- spingere il FMI a includere il clima nella revisione in corso delle analisi di sostenibilità del debito, rendendo queste analisi più trasparenti e accessibili, e a introdurre condizioni più flessibili per l’accesso ai fondi del Resilience and Sustainability Trust;
- considerare un uso più sistematico di misure quali i debt swaps, le clausole di debito resilienti per il clima (CRDC) e le assicurazioni parametriche, come strumenti che possono creare liquidità addizionale e limitare la vulnerabilità del debito ai rischi climatici;
- impegnarsi a sfruttare il potenziale dei Diritti Speciali di Prelievo come strumento per aumentare la crescita costante della liquidità globale, in particolare supportando il meccanismo creato a tal fine dalla Banca Africana di Sviluppo;
- inoltre l’Italia, recuperando l’esperienza del ruolo chiave giocato dall’Italia nella creazione ed implementazione dell’iniziativa HIPC, può farsi portatore in sede G7, G20 e altri forum multilaterali di una nuova concertata ed ambiziosa iniziativa per l’alleviamento del debito dei paesi più poveri con sospensioni del pagamento del servizio del debito, nuovi finanziamenti ponte a titolo concessionale ed eventuali ristrutturazioni;
Per assicurarsi che la presenza italiana in Africa, incluso tramite il Piano Mattei, supporti una crescita giusta, sostenibile e inclusiva, il Governo italiano dovrebbe inoltre:
- impegnarsi a non supportare nuove esplorazioni e nuova produzione di gas, nonché nuove infrastrutture di trasporto del gas, sia a livello politico sia tramite gli istituti di finanza pubblica per lo sviluppo e il sostegno alle imprese, quali CDP e SACE, in linea con la mozione COP28 del Parlamento di novembre 2023;
- garantire una maggiore trasparenza da entrambe le istituzioni per consentire uno scrutinio pubblico e reindirizzarle a supporto esclusivo di settori economici alternativi ai combustibili fossili;
- e supportare i partner africani a integrare la decarbonizzazione e la costruzione di resilienza climatica all’interno dei loro piani di sviluppo economico e industriale e dei piani finanziari, compatibilmente con la necessità di ristabilire la sostenibilità debitoria.
Leggi il rapporto “L’Italia e la crisi del debito: quali implicazioni per il partenariato con l’Africa”
Scritto da Chiara Mariotti, International development finance consultant
Foto di Pok Rie