Per anni gli africani, che vivono in prima linea la crisi climatica, hanno esortato i Paesi più ricchi del nord del mondo a disintossicarsi dai combustibili fossili e a ridurre drasticamente le emissioni di gas serra. Per anni, queste richieste sono cadute nel vuoto, con i Paesi europei – in particolare Germania e Italia – che al contrario hanno aumentato le loro dipendenze, orientandosi verso il gas russo. La guerra di Mosca contro l’Ucraina è stata un campanello d’allarme per entrambi i Paesi e nella disperata ricerca di gas si stanno ora rivolgendo – ironia della sorte – all’Africa.
Negli ultimi mesi, il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi si è impegnato in uno sforzo senza precedenti per ottenere nuovi accordi sul gas con Algeria, Egitto, Angola, Repubblica Democratica del Congo e Mozambico. L’Italia, attraverso l’Eni, è oggi la più attiva nel mercato africano dei combustibili fossili.
Durante la sua visita in Senegal, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato che i governi dei due Paesi hanno avviato colloqui ‘intensivi’ sulla cooperazione per l’estrazione del gas e la produzione di Gnl (gas naturale liquefatto). Scholz ha detto che questo includerà gli investimenti tecnici nelle infrastrutture necessarie per le centrali elettriche.
Invece di utilizzare queste visite per sollecitare la Germania e l’Italia ad accelerare la transizione verso le energie rinnovabili, molti leader africani hanno fatto il contrario. Il presidente algerino Tebboune e il presidente egiziano al-Sisi hanno accolto con favore la promessa di nuova produzione ed esportazione in Europa. Il presidente senegalese Macky Sall sembra entusiasta di diventare un esportatore di combustibili fossili, fornendo alla Germania fonti le cui emissioni faranno aumentare ulteriormente le temperature africane e causeranno ulteriori sofferenze al nostro continente. Da questo essenziale punto di vista gli accordi sul gas che Germania e Italia stanno cercando di concludere con i Paesi africani sono pura follia. È grave, ingiusto e inaccettabile che Germania e Italia spingano i Paesi africani a riversare le loro limitate riserve finanziarie nello sviluppo di un’industria di estrazione ed esportazione di combustibili fossili per clienti europei. Un utilizzo di breve periodo, fino a quando non saranno attivati i loro investimenti nelle energie rinnovabili.
Dopo la guerra in Ucraina, l’Europa ha aumentato la spinta verso le energie rinnovabili e l’efficienza energetica. Si prevede che entro il 2030 la Ue ridurrà la domanda di gas del 40% rispetto al 2021, mentre la Germania e l’Italia prevedono entrambe di raggiungere l’azzeramento delle emissioni entro i prossimi 30 anni. Inoltre, il nuovo meccanismo di aggiustamento delle frontiere per il carbonio della Ue accelererà ulteriormente la transizione, tassando le importazioni ad alto contenuto di carbonio in Europa, penalizzando i Paesi che dipendono dai combustibili fossili.
Anche le compagnie petrolifere e del gas del Nord del mondo stanno puntando sull’Africa, poiché i combustibili fossili hanno perso il loro appeal politico in seguito alle politiche di riduzione delle emissioni avviate dai Paesi più ricchi. Le industrie del settore stanno spostando l’attenzione verso i combustibili fossili africani, nel tentativo di sopravvivere alla perdita di sostegno all’interno dei confini nazionali. L’Africa dovrebbe riconoscere questi sforzi per quello che sono: il tentativo di spremere ancora profitti da un’industria inquinante e in declino; lasciare all’Africa i beni e le tecnologie resi inutili dalla transizione e, ignorare le sofferenze climatiche del continente africano.
I combustibili fossili non si sono dimostrati una fonte di successo per le economie africane. In un recente articolo per al-Jazeera, l’attivista ugandese per il clima Vanessa Nakate sottolinea che i Paesi africani, le cui economie si basano sulla produzione e sull’esportazione di combustibili fossili, subiscono tassi di crescita economica più lenti – anche fino a tre volte – rispetto a quelli con economie più diversificate. In Mozambico, che ha subito le conseguenze del ciclone Idai, le compagnie straniere, guidate dalle europee, hanno costruito un giacimento di gas naturale offshore da 20 miliardi di dollari e un impianto di gas naturale liquefatto onshore. Tuttavia, il 70% del Paese vive ancora senza accesso all’elettricità: il gas non è per la popolazione locale e nemmeno i profitti.
Invece di arrancare sulle vie dei combustibili fossili, anche in Africa bisogna investire intelligentemente nell’energia pulita del futuro e superare con decisione i combustibili inquinanti. Paesi come la Germania e l’Italia devono sostenere l’Africa nello sviluppo delle energie rinnovabili, che non sono solo la risposta alla crisi climatica, ma anche la chiave per combattere la povertà energetica.
Per anni, sotto il dominio coloniale, quando i leader europei dicevano all’Africa di ‘saltare’, la nostra risposta era ‘quanto in alto’? Ora la Germania e l’Italia lavorano per riempirci di infrastrutture per i combustibili fossili, nonostante le sofferenze che causeranno. Non può e non deve essere così. L’Africa acceleri, invece, la transizione verso un sistema energetico pulito che porti vera prosperità e sicurezza al nostro continente.
Mohamed Adow direttore di Power Shift Africa (think tank con sede a Nairobi)
Articolo uscito il 10 giugno 2022 su Avvenire
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