Sembra ieri che le piazze di mezzo mondo erano colme di giovani che chiedevano azioni concrete per il clima. Le evidenze sempre maggiori dei danni dei cambiamenti climatici e queste mobilitazioni hanno favorito a portare la narrazione della crisi climatica sui media, nei programmi politici e nei piani delle aziende.
Nel 2020, con l’arrivo della pandemia l’attenzione si è spostata su una crisi percepita come più “urgente”, o semplicemente inattesa e con impatti immediati e direttamente osservabili. Ma oggi, anche la pandemia è stata messa da parte, a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e della conseguente crisi geopolitica.
Crisi scaccia crisi, chiodo scaccia chiodo. In questo paradossale periodo storico, in cui si passa da un’emergenza all’altra, la comunità scientifica, con la pubblicazione di una nuova parte del sesto rapporto IPCC sui cambiamenti climatici suona l’ennesimo campanello d’allarme sul clima.
Il rapporto è consultabile qui.
Il Comunicato Stampa dell’IPCC, qui.
L’IPCC è l’organo delle Nazioni Unite che vigila la scienza del clima e con questa nuova pubblicazione porta un messaggio di allarme ma anche di speranza. Allarme per una finestra di azione che come già sappiamo si sta chiudendo velocemente: non stiamo facendo abbastanza per contrastare la crisi climatica, i danni stanno diventando sempre più imponenti e irreversibili, e il tempo per agire è quasi finito. Le politiche attuali porterebbero ad un riscaldamento di 2,7°C o più entro la fine del secolo mentre gli attuali impegni di zero emissioni nette produrrebbero comunque un riscaldamento di circa 2,2°C.
Ma anche speranza, perché le soluzioni per contrastare la crisi climatica e limitarne gli impatti presenti e futuri oggi esistono. Solo per citarne alcune: un’applicazione mirata di misure di efficientamento energetico, investimenti nelle rinnovabili e revisione della mobilità porterebbero impatti positivi anche sull’economia, sull’occupazione e sulla salute. Tuttavia, ad oggi manca la volontà politica e soprattutto una guida politico-istituzionale per la trasformazione giusta e rapida dell’economia che sia indipendente dagli interessi economici costituiti.
Il problema
Il messaggio del nuovo rapporto IPCC è chiaro: occorre chiudere centrali, impianti di trasporto, centri di stoccaggio di carbone, petrolio e gas. Serve programmare da subito queste politiche energetiche e industriali: agire e pianificare oggi per evitare di creare crisi sociali e occupazionali domani.
Tuttavia, raramente sentiamo dire in maniera chiara, ad esempio, che il gas è un problema per il clima. Eppure la comunità scientifica internazionale su questo non lascia spazio a interpretazioni:
- Le infrastrutture fossili esistenti, da sole, renderanno impossibile raggiungere l’obiettivo di 1,5°C.
- Anche senza una nuova espansione dei combustibili fossili, al 2025 le emissioni globali sarebbero troppo alte del 22% per rimanere entro 1,5°C, e del 66% troppo alte al 2030.
- L’infrastruttura energetica da combustibili fossili pianificata e attualmente utilizzata “costringe” già il mondo a circa 846 GtCO2 di ulteriori emissioni, più del doppio di quello che rimane nel budget di carbonio per rispettare l’obiettivo 1,5°C.
Questi risultati confermano quelli dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, ovvero che per raggiungere gli obiettivi climatici serve porre una fine immediata ai nuovi investimenti nei combustibili fossili per costruire un settore energetico globale a zero emissioni entro il 2040. I paesi G7, inclusa l’Italia, devono puntare ad avere un settore elettrico a zero emissioni di carbonio al 2035 per essere in linea con questa traiettoria e l’obiettivo globale di 1,5°C.
Parlare oggi di nuovi gasdotti o rigassificatori risulta quindi non solo anacronistico, ma altamente rischioso. Chi investirebbe in infrastrutture con piani di ammortamento decennali che rischiano di perdere valore in pochi anni? È proprio così che si creano i cosiddetti “stranded assets”, ossia investimenti che non possono essere ripagati e generano crisi economiche in chi li sostiene, siano essi nazioni o aziende (pubbliche e private). Anche di fronte a uno scenario di cessato utilizzo delle infrastrutture per il trasporto dei combustibili fossili russi, la combinazione di alternative pulite – se attivate tempestivamente e con determinazione da politica e istituzioni – e infrastrutture esistenti permetterebbe di evitare di ricorrere a nuove infrastrutture.
Le soluzioni
La comunità scientifica è estremamente chiara e conferma che la ricetta per mitigare i cambiamenti climatici contiene tra i suoi ingredienti: energie rinnovabili, efficienza energetica e elettrificazione dei trasporti. Il consumo di carbone, petrolio e gas deve intraprendere da subito una traiettoria di rapida discesa a favore di un sistema energetico (non solo elettrico) che faccia perno proprio su energie rinnovabili, sistemi di accumulo e l’efficienza energetica.
Le rinnovabili in alcuni paesi, Italia compresa, sono ancora percepite come “soluzioni di lungo periodo”. I dai dimostrano il contrario: il 2020 ha visto 280 gigawatts di nuova capacità aggiunta, un aumento del 45% rispetto all’anno precedente e il più grande aumento annuo dal 1999. Inoltre, i costi di queste tecnologie continuano a scendere rapidamente, e la recente crisi dei prezzi del gas ha dimostrato quanto il nostro sistema abbia bisogno di sganciarsi da importazioni e fonti fossili, anche da un punto di vista di sostenibilità economica.
In Italia il potenziale è grande e ampiamento sottoutilizzato. Lo testimoniano richieste come quella di Elettricità Futura, la principale associazione delle imprese che operano nel settore elettrico italiano con 518 imprese associate e 40mila addetti, che si è detta pronta a realizzare 60GW di rinnovabili in tre anni. Una accelerazione non solo possibile, ma assolutamente necessaria.
Il governo riconosce la situazione di stallo del settore, dovuta in buona parte a processi autorizzativi lenti e incerti, che allontanano i capitali di investimento e generano un senso di sfiducia sia da parte dei cittadini che delle aziende. Una situazione che va avanti da anni, e che ha bisogno di un forte indirizzo politico per essere sbloccata.
L’IPCC non tralascia il ruolo fondamentale dell’efficienza energetica, strumento fondamentale sia nel breve che nel lungo periodo. Il percorso a zero emissioni nette dell’Agenzia Internazionale per l’Energia mostra che l’intensità energetica globale deve diminuire del 4% all’anno tra il 2020 e il 2030 – più del doppio del tasso medio dell’ultimo decennio.
Anche la rimozione dell’anidride carbonica dall’atmosfera rimane un’opzione sul tavolo. Ma ci sono dei limiti a quanto questo sia possibile e di conseguenza gli scenari dell’IPCC enfatizzano fortemente tagli rapidi e profondi delle emissioni. Infatti, la maggior parte delle tecnologie di rimozione del carbonio sono ancora altamente speculative, mentre altre, come la BECCS (ovvero la biomassa unita alla cattura e sequestro del carbonio), rischiano di compromettere gravemente la biodiversità, la sicurezza alimentare, i diritti umani e gli ecosistemi, a meno che non siano fatte con attenzione su scala limitata. Anche puntare troppo sulla piantumazione di alberi è molto rischioso. Infatti, raggiungere emissioni zero nette entro il 2050 solo attraverso di essa richiederebbe almeno 1,6 miliardi di ettari, equivalenti a tutta la terra ora coltivata sul pianeta. Il messaggio di fondo è che nessuna singola opzione o combinazione di rimozione dell’anidride carbonica sostituisce la necessità di tagli profondi delle emissioni, a causa della fase immatura di queste tecnologie e dei loro significativi limiti.
Ancor di più in questo periodo di crisi energetica e geopolitica emerge la necessità di emanciparsi dai combustibili fossili e dalla dipendenza da altri paesi, non solo dalla Russia. Anche su questo l’Italia ha un grande potenziale nel settore pubblico e privato. Dalla nostra analisi, attraverso una serie di interventi su efficienza, risparmio e rinnovabili, è possibile diminuire nel breve periodo (un anno) le importazioni di gas russo fino al 50%. Mentre il restante 50% è possibile sostituirlo con maggiori importazioni attraverso le infrastrutture di trasporto esistenti senza far ricorso a nuove infrastrutture, nuova produzione di gas nazionale e riaccensione di centrali a carbone.
Il ruolo dei capitali
Questa transizione energetica ha ovviamente bisogno di politiche di supporto e indirizzo, ma anche di capitali pubblici e privati. Di questo non ne è all’oscuro la politica, né tantomeno le imprese e gli investitori ma le azioni sono ancora lontane dall’essere sufficienti.
La quantità di denaro promessa ed effettivamente messa sul tavolo dai paesi più ricchi per la mitigazione del clima e l’adattamento rimane ben al di sotto dei 100 miliardi di dollari all’anno promessi a Parigi.
L’aumento di capitali di investimento sul tema climatico è stato assolutamente insufficiente nell’ultimo decennio, raggiungendo circa 579 miliardi di dollari nel 2017/2018. Questa cifra è circa dieci volte inferiore ai 6,3 trilioni di dollari stimati necessari ogni anno entro il 2030 per rimanere allineati a Parigi.
I finanziamenti privati hanno superato quelli pubblici nel settore dell’energia e sempre di più in quello dei trasporti, riflettendo un mercato delle energie rinnovabili più maturo e dimostrando che oggi la fiducia degli investitori è alta. Manca però d’altra parte una corretta valutazione rispetto ai rischi finanziari legati al clima, che continuano ad essere sottovalutati dalle istituzioni finanziarie e dai decisori politici. In Italia un primo passo può essere fatto da tre grandi istituzioni finanziarie pubbliche, come abbiamo proposto attraverso la trasformazione di CDP in Banca per il clima, SACE come Agenzia di credito all’estero per il clima e Invitalia come Banca del Sud per il clima.
Crisi interconnesse, soluzioni interconnesse
Le crisi che stiamo vivendo hanno, in buona parte, un filo rosso che le unisce. La buona notizia è che lo stesso vale per le soluzioni.
Emanciparsi dal gas russo – e dal gas fossile in generale – permetterà all’Italia di sottrarsi al ricatto energetico che altri paesi possono far pesare, e contemporaneamente consentirà al Paese di perseguire i propri obiettivi climatici e rilanciare l’economia.
Allo stesso modo, contrastare la crisi climatica anche attraverso un cambio di dieta, di produzioni agricole e di allevamenti significa renderebbe più difficili mutazioni di specie e creazione di nuovi virus.
Questa è, in poche parole, la giusta transizione di cui tanto si parla.
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