La COP29 si è svolta in un contesto geopolitico a dir poco complesso. Donald Trump ha appena vinto le elezioni americane e c’è una prospettiva, molto reale, che gli Stati Uniti escano dall’Accordo di Parigi. L’Argentina ha ritirato la propria delegazione nel bel mezzo della Conferenza. Un pasticcio diplomatico ha portato la Francia a non inviare la propria Ministra per la seconda settimana di negoziato.
Tuttavia, nonostante questo contesto difficile, quasi 200 Paesi sono riusciti a raggiungere un accordo a Baku. Il malcontento per il processo di adozione della decisione è stato tanto, ma i ministri hanno dimostrato di vedere ancora nel multilateralismo l’unica via per risolvere le crisi globali. Chi decide di abbandonare il tavolo, di fatto, rinuncia alla possibilità di partecipare e di decidere il futuro del proprio Paese.
Il minimo sindacale
Alla COP29, i Paesi hanno trovato l’accordo sul minimo sindacale per il Nuovo obiettivo di finanza climatica (NCQG), il tema al centro dei negoziati di quest’anno. Un aumento, da 100 ad almeno 300 miliardi di dollari all’anno nei prossimi 10 anni, raggiunto mettendo a dura prova la pazienza dei gruppi negoziali. Nell’accordo è stata inserita anche una Road Map Baku-Belem che dovrebbe aiutare ad arrivare a mobilitare, entro il 2035, 1.300 miliardi di euro, la cifra considerata necessaria per attuare la transizione nelle economie dei paesi in via di sviluppo.
Lo scontro su chi debba o meno contribuire al Nuovo obiettivo finanziario ha messo in secondo piano la scienza, che ci esorta ad agire subito se vogliamo evitare i peggiori disastri climatici. I Paesi sviluppati hanno mantenuto le loro posizioni, limitando qualsiasi possibilità di accordo tra i Paesi che vogliono un obiettivo più ambizioso per garantire la sopravvivenza delle piccole isole. Chi vuole, e ha interesse a bloccare l’uscita dai combustibili fossili non è riuscito però ad avere la meglio. Sebbene incoraggianti, il nuovo impegno Net zero del Messico e l’obiettivo di riduzione dell’81% delle emissioni del Regno Unito per il 2030 (rispetto ai livelli del 1990) da soli non sono sufficienti per compensare la mancanza di passi avanti rispetto alle decisioni prese alla COP28 sull’abbandono dei combustibili fossili e per porre fine alla deforestazione.
Una cattiva gestione
La presidenza azera non è sembrata all’altezza del suo ruolo. Ha escluso alcuni Paesi dalle consultazioni e ha permesso all’Arabia Saudita di modificare i testi per eliminare qualsiasi avanzamento rispetto all’uscita dai combustibili fossili.
La sicurezza globale e le opportunità economiche dipendono dalla capacità di tutti i Paesi di partecipare alla transizione. I finanziamenti internazionali per il clima sono un investimento nella sicurezza nazionale. I Ministri delle Finanze e i Leader dovranno dare più priorità all’azione per il clima e ampliare il mandato che danno dei Ministri dell’Ambiente. Troppo limitato per avanzare in modo sostanziale quello che hanno avuto qui a Baku.
Cosa succede dopo la COP29
I prossimi 12 mesi che ci condurranno alla COP30, in Brasile – in cui celebreremo i 10 anni dell’Accordo di Parigi – saranno il banco di prova per verificare se il mondo è seriamente intenzionato a evitare gli scenari climatici più catastrofici. I nuovi Piani nazionali di riduzione delle emissioni (NDC), che dovranno essere presentati dai Paesi prima della COP30, dovranno essere sufficientemente ambiziosi se vogliamo evitare di raggiungere i 2,5°C di riscaldamento globale a cui siamo attualmente destinati. Ciò significa definire chiare politiche di uscita dai combustibili fossili e dare attuazione alla trasformazione del sistema finanziario per sbloccare le migliaia di miliardi necessari per la transizione.
Queste questioni travalicano i confini della Convenzione ONU sul clima. Le riforme del sistema finanziario sono in corso, anche se non ancora nella misura e al ritmo necessari. I Paesi in via di sviluppo hanno messo sul tavolo una serie di proposte ambiziose a partire dall’Iniziativa di Bridgetown, seguite da proposte per affrontare la crisi del debito e indentificare dei prelievi di solidarietà. Gli investimenti del settore privato rappresentano la maggior parte dell’obiettivo di mobilitazione dei 1.300 miliardi di dollari. È quindi giunto il momento che i Ministri rivolgano il loro sguardo anche agli ostacoli normativi che al momento impediscono ai privati di investire nei Paesi del Sud globale.
Cosa serve ora?
Innanzitutto, una rinnovata collaborazione tra Europa e Cina. Questa, potrebbe diventare la nuova forza trainante dell’azione globale per il clima, ma solo se entrambi saranno in grado di superare le tensioni legate al commercio e alla sicurezza. Questi due blocchi geopolitici condividono l’interesse comune di ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, di costruire mercati verdi globali e di creare partenariati per lo sviluppo nelle economie meno avanzate. Un’alleanza che può andare a vantaggio di tutti se saranno in grado di costruire un fronte comune con le altre economie emergenti del G20, tra cui Brasile, Sudafrica, Turchia, India e Indonesia, senza escludere i Paesi più vulnerabili che hanno fatto sentire la loro voce nelle ultime ore della COP29. Questa nuova alleanza potrebbe fare da freno a gruppi di potere che hanno evidenti interessi nel mantenere lo status quo dell’economia fossile e guidare il mondo verso una transizione, sicura, equa e funzionale al raggiungimento degli obiettivi climatici.
Foto di COP29 Azerbaijan