di Elisa Giannelli e Francesca Bellisai
Perché parlare di governance?
Parlare di clima senza parlare di governance è ormai una strategia ad alto rischio. Così come dimostrato per la gestione della crisi sanitaria, anche sul tema della transizione energetica e dei crescenti impatti climatici, i politici dovranno, sempre di più, affrontare scelte difficili e tempestive nei prossimi anni. Queste decisioni, se prese in maniera non adeguata, rischiano di rallentare o bloccare l’intero processo.
Senza un dibattitto sulle riforme istituzionali necessarie per un’implementazione tempestiva, gli obiettivi climatici non saranno raggiunti. Nell’ultimo decennio molti governi si sono interrogati su quale sia la struttura di governance adatta per la transizione energetica. Alcuni, inclusa l’Unione Europea, si sono dotati di leggi nazionali sul clima [1], con l’obiettivo di fornire una struttura giuridica che permetta di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e resilienza climatica nel modo più appropriato e coerente possibile.
Cosa intendiamo per governance?
Il concetto di governance si estende al di là degli strumenti normativi, facendo emergere il bisogno di un cambio di paradigma attraverso l’implementazione di principi guida per la definizione e attuazione di nuove politiche.
Definire cosa si intende per “governance del clima” parte dalle modalità in cui dovranno essere prese le decisioni politiche in un futuro sempre più complicato e con obiettivi climatici necessariamente sempre più ambiziosi. Modalità che, data l’ampiezza della sfida, non possono prescindere dalla partecipazione della cittadinanza, e non solo delle imprese, all’elaborazione delle decisioni.
Per una governance sul clima servono:
- Strumenti normativi per definire un quadro di politiche nazionali coerenti con gli obiettivi climatici internazionali, europei e nazionali – come le leggi sul clima.
- Istituzionalizzazione di principi guida, quale parte integrante della governance, per la definizione di nuove politiche, tra cui trasparenza, responsabilità, partecipazione pubblicae accountability. Questo rientra anche in un quadro più ampio collegato allo stato di diritto, dove il rispetto di principi fondamentali è protetto da autorità di vigilanza nazionali.
- Riforme strutturali per integrare gli obiettivi climatici ed assicurare l’allineamento delle politiche all’interno dei diversi livelli dell’Amministrazione Pubblica. Tali riforme devono garantire una chiara e coerente definizione delle competenze tra Stato-regioni-autorità locali (“multi-level governance”), tra agenzie pubbliche nazionali di regolazione, controllo e ricerca[2] e Stato, e una maggior chiarezza e trasparenza dei rapporti pubblico-privato.
Come viene affrontata in altri Paesi?
Molti Paesi europei hanno deciso di centralizzare le scelte relative alla governance climatica nelle rispettive leggi sul clima nazionali. Uno studio di Ecologic Institut evidenzia gli elementi comuni per definire un quadro normativo coerente con gli obiettivi climatici e basato sulla scienza:
- Calcolare e adottare un carbon budget (o bilancio di emissioni), che quantificano la quantità totale di tutte le emissioni consentite nel prossimo secolo per rispettare i limiti posti dall’Accordo di Parigi e usati di solito per definire obiettivi climatici realistici e in linea con il lungo termine;
- Istituire un Comitato scientifico indipendente, per guidare la definizione e monitorare l’implementazione delle politiche nazionali con dati scientifici indipendenti;
- Fissare obiettivi climatici ed energetici di breve e lungo periodo, basati sugli impegni dei Governi, gli assunti scientifici e sulle informazioni più recenti del potenziale di sviluppo delle diverse tecnologie di decarbonizzazione;
- Programmazione settoriale di breve e lungo periodo, per consentire ai settori produttivi di adeguarsi e innovare nei tempi giusti per sfruttare la transizione come opportunità di crescita;
- Iniziative per la partecipazione pubblica, spesso tramite gli enti locali per migliorare la trasparenza e coinvolgere i cittadini e le parti sociali.
Come funziona la governance sul clima in Italia?
Sino ad oggi l’Unione europea ha giocato un ruolo chiave nella definizione delle ambizioni e strumenti nazionali per la lotta al cambiamento climatico. Una chiara governance del clima potrebbe aiutare a creare una leadership italiana in Europa, garantendo supporto sufficiente per assumere un ruolo più proattivo nella definizione di politiche sempre più ambiziose.
Per quanto riguarda l’implementazione delle normative europee e nazionali, Governo, Parlamento e i relativi organismi ne sono responsabili. Al momento, seppure le politiche legate alla sostenibilità trovino spazio in diversi Ministeri, quelli maggiormente incaricati di portare avanti la transizione ecologica sono il Ministero per la Transizione Ecologica (MITE) e il Ministero per le Infrastrutture e la Mobilità Sostenibile (MIMS), entrambi istituiti con il decreto legge di Febbraio 2021. Il MITE è la fusione dell’ex. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) e delle direzioni che si occupavano di energia al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) e ha competenze in materia di politiche per l’energia, il clima e l’ambiente.
Questa fusione appare in linea con simili dinamiche in altri governi europei (vedi in Francia) dove viene promosso un approccio integrato, ma resta incompleta. Al momento, il MITE lascia ad altri Ministeri (incluso il MIMS e il MISE) competenze chiave per la transizione energetica. In Francia, la fusione ha integrato non solo politiche ambientali ed energetiche, ma anche politiche nell’ambito sociale, come quelle abitative o agricole, tra i principali responsabili di emissioni. La visione integrata rimane tuttora ostacolata da strutture tradizionali che affrontano la transizione energetica in modo isolato e spesso ancora troppo legate agli interessi costituiti delle partecipate di Stato.
Per quanto riguarda altri organismi governativi, due Comitati Interministeriali sono istituiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri: il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile (CIPESS) e il Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica (CITE). Essi svolgono un compito di coordinamento interministeriale e approvano piani, strategie e programmi nazionali in merito alla transizione ecologica e lo sviluppo sostenibile. In particolare, il CITE approva il Piano per la transizione ecologica al fine di coordinare le politiche, tra cui quelle di riduzione delle emissioni di gas climalteranti. Il CITE monitora l’attuazione del Piano e lo aggiorna in funzione agli obiettivi conseguiti e delle priorità indicate anche in sede europea. I lavori del CITE sono inoltre affiancati da un Comitato Tecnico di supporto, con il compito di istruire le questioni all’ordine del giorno. CIPESS e CITE sono presieduti dal Presidente del Consiglio e sono composti da Ministri competenti nelle materie rilevanti. È importante sottolineare come i Comitati abbiano un compito di coordinamento e le responsabilità attuative rimangano competenza di ciascun dicastero.
In ambito di politica climatica, se necessario, il MITE si può anche avvalere del supporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) attraverso il Sistema nazionale per la raccolta, l’elaborazione e la diffusione dei dati Climatologici di Interesse Ambientale (SCIA) e in collaborazione con i principali organismi titolari delle reti osservative. L’ISPRA elabora, aggiorna con cadenza annuale e rende disponibili le statistiche e gli indicatori del clima in Italia e delle sue variazioni. Svolge studi e analisi su impatti, vulnerabilità e adattamento ai cambiamenti climatici. Elabora gli scenari emissivi sulle tendenze future delle emissioni di gas serra in funzione delle politiche messe in atto o previste. L’ISPRA, inoltre, è responsabile della redazione dell’inventario nazionale delle emissioni di gas serra, attraverso la raccolta, l’elaborazione e la diffusione dei dati. L’inventario viene correntemente utilizzato per verificare il rispetto degli impegni che l’Italia ha assunto a livello internazionale nell’ambito della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
Ricorrere al supporto di comitati ad hoc per migliorare la qualità del policy making è diventata una pratica sempre più comune negli ultimi anni. L’Unione Europea conta tra i casi più recenti ad aver instaurato il proprio ente consultativo indipendente. L’Agenzia Europea dell’Ambiente ha recentemente pubblicato uno studio per mappare gli esempi esistenti, solitamente instaurati tramite le leggi per il clima, e dimostra come essi possano differire notevolmente da un caso all’altro, ad esempio in termini di composizione e obiettivi.
L’esempio del Climate Change Committee (CCC) nel Regno Unito ci aiuta a capire come il CIPESS e il CITE, divergano completamente dagli elementi caratterizzanti dei Comitati scientifici indipendenti esistenti, per:
- Statuto giuridico: il CCC è un organo indipendente [3] instaurato dal Parlamento inglese tramite il Climate Change Act 2008 per consigliare il governo centrale e locale sugli obiettivi in materia di emissioni e riferire al Parlamento sui progressi compiuti tramite vari report. Essendo un ente pubblico, il CCC assicura piena trasparenza e accesso a ogni informazione, dai verbali di ogni riunione alla divulgazione delle spese e il piano di lavoro. Dunque, il CCC non coordina i lavori ministeriali, nè approva piani pubblici, ma offre consigli indipendenti in materia di clima ed energia sulla base di dati scientifici per informare le politiche pubbliche.
- Composizione: il CCC è un organo consultivo di esperti tecnici indipendenti assunti dal Comitato stesso. La segreteria è composta da 35 persone, guidate da un direttore generale. Nessuno occupa cariche politiche, ma tutti provengono da diverse formazioni, tra cui il mondo accademico e scientifico.
Mettendo a confronto l’Italia con gli altri paesi europei, emerge chiaramente la mancanza di un coinvolgimento attivo degli organi scientifici per informare il governo riguardo le politiche del clima e dell’energia e delineare scenari di breve, medio e lungo periodo, sia a livello settoriale che di Paese, in linea con l’obiettivi di lungo periodo dell’Accordo di Parigi, europei e nazionali.
È chiaro che il CIPESS e il CITE abbiamo elementi caratterizzanti significativamente diversi dai Comitati scientifici indipendenti per il clima esistenti in Europa e nel mondo. Per affrontare al meglio le sfide future, c’è bisogno di un apparato di supporto capace di svolgere varie funzioni (monitoraggio, fornitore di informazioni affidabili, suggerimenti di policy, etc.) e migliorare l’accountability e la trasparenza del sistema politico nazionale.
La governance del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
L’effetto più recente della mancanza di una struttura di governance efficace in Italia è visibile nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dove il clima non è posto come premessa al Piano, ma come una giustificazione della spesa ad infrastrutture già programmate. Analizzando il documento, che rappresenta uno dei più vasti piani di investimento nella storia del Paese, emerge una struttura di governance multilivello. Mentre i compiti attuativi rimangono in capo alle amministrazioni (ministeri, regioni e enti locali) si affiancano ad essi organismi di controllo, monitoraggio e coordinamento a livello di Ministero dell’Economia e delle Finanze e presso la Presidenza del Consiglio. Nel Decreto Semplificazioni di fine maggio 2021 viene dettagliata la struttura di governance del Piano di Ripresa e Resilienza delineando le responsabilità di indirizzo, di monitoraggio, rendicontazione, e di realizzazione degli interventi.
Nonostante l’orizzonte del Piano al 2026, manca ancora una strategia di lungo periodo in materia di clima, energia e ambiente, un piano coerente di investimenti all’interno delle varie missioni e quindi nei diversi dicasteri competenti. Inoltre, nonostante vi siano riferimenti alle consultazioni delle parti interessate nel monitoraggio del piano, non vi è un chiaro riferimento alla possibilità per i cittadini di avere accesso a tutte le informazioni riguardanti il PNRR in maniera trasparente.
Il sistema di governance del Piano, combinato con la governance esistente in materia climatica pone la questione della complessità del sistema italiano, e la necessità di una sua semplificazione. E’ evidente il rischio di una proliferazione di vari organismi di governance che incidono sulla politica ambientale italiana in modi diversi. Semplificazione però non implica tagliare i tempi di un procedimento, come suggerito dal recente Decreto Semplificazioni [4], ma piuttosto agire sulla sostanza delle procedure, standardizzandole per facilitare la proposta e la valutazione dei progetti.
Il caso delle aziende energetiche italiane
Parlare di governance climatica in Italia risulta ancora più importante se si considera il caso delle aziende energetiche con partecipazione statale. L’elevata partecipazione pubblica nelle maggiori aziende energetiche del Paese espone la governance del clima ad una forte influenza dell’impresa sul legislatore. È importante che la governance rafforzi gli strumenti per evitare che la policy del clima non finisca per corrispondere a strategie di decarbonizzazione delle imprese energetiche esposte al rischio alto di greenwashing, non allineate agli obiettivi climatici e finalizzate al mantenimento degli interessi costituiti.
Così come per gestire il conflitto d’interesse della partecipazione pubblica alle imprese l’indipendenza delle autorità di regolazione è a garanzia di mercati concorrenziali e tariffe trasparenti, altrettanto è importante la costituzione di organi indipendenti che assicurino che le policy siano coerenti con gli scenari scientifici e nel rispetto dell’interesse pubblico e non specifico dell’impresa.
Conclusioni
Con il programma di Governance, ECCO si propone di indagare e suggerire riforme al sistema nazionale italiano al fine di garantire il raggiungimento efficace ed efficiente degli obiettivi climatici. ECCO analizzerà quali sono gli strumenti finora adottati e ne valuterà la loro adeguatezza alle sfide future.
Il 2021 è un momento cruciale per l’Italia: gli impatti sociali ed economici della pandemia devono ancora manifestarsi completamente, mentre il pacchetto di ripresa post Covid e il pacchetto 55% dell’Unione Europea offrono un enorme potenziale per compiere grandi passi avanti verso il raggiungimento degli obiettivi climatici. In questo contesto, e in un ambiente politico tradizionalmente instabile, una riforma della governance nazionale acquista ancora più importanza non solo per definire politiche coerenti con gli obiettivi climatici a lungo termine, ma anche per assicurare la miglior implementazione delle politiche esistenti. Una legge sul clima e un Comitato scientifico indipendente per il clima potrebbero offrire gli strumenti necessari per gestire al meglio questa transizione, e far si che l’Italia non perda la rotta verso gli obiettivi da raggiungere, trasformando la decarbonizzazione e la resilienza in opportunità di sviluppo, di sicurezza e di costruzione di un modello sociale più equo.
[1] E3G, Infografica EU Climate Law: https://www.e3g.org/news/eu-climate-law/
[2] Come Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA), Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR); Ricerca sul Sistema Energetico (RSE)
[3] UK CCC: About the Climate Change Committee https://www.theccc.org.uk/about/
[4] Decreto Legge 31 maggio 2021, 77