La transizione ecologica rappresenta un’opportunità per l’economia e per l’ammodernamento del sistema produttivo. Tuttavia, anche a fronte di un bilancio positivo della transizione in termini di crescita e occupazione in termini assoluti, una fascia di popolazione rischia di vedere il proprio lavoro cambiato, talvolta stravolto e, in più di qualche occasione, anche a rischio.
Come coniugare l’esigenza di decarbonizzare le nostre economie con l’esigenza di tutelare i lavoratori e prepararli al mondo che verrà? Qui, il concetto che ci aiuta a inquadrare il problema è quello di giusta transizione, nato nel movimento americano dei lavoratori e che in seguito si è evoluto ed espanso ai movimenti per la giustizia ambientale, ad organizzazioni sindacali internazionali, ma anche al settore privato. Giusta transizione significa proprio che nessun lavoratore deve essere lasciato indietro in questo cambio di paradigma, ma anzi la transizione ecologica deve spingere verso una maggiore equità e giustizia sociale.
La campagna elettorale che si sta chiudendo, avviene in un momento decisivo. Il prossimo governo avrà il compito di guidare il Paese negli anni dove dovranno essere adottate politiche climatiche e di transizione coraggiose, assicurando la sostenibilità sociale ed economica della transizione per evitare che gli impatti dei cambiamenti non gravino sulle componenti più vulnerabili della società o sui lavoratori dei processi dipendenti dalle fonti fossili. Di questo si è parlato molto poco durante la campagna elettorale.
Eppure in Italia i settori dell’acciaio, chimica, ceramica, carta, vetro, cemento e fonderie, dove la decarbonizzazione è particolarmente complicata (sono i settori così detti hard to abate), contano oltre 700 mila posti di lavoro, senza contare l’indotto. Il settore automotive, che in Europa dà lavoro a quasi 14 milioni di persone, in Italia vede un numero di oltre 302 mila occupati (parte produttiva e parte commerciale) (1). Sono tutti comparti dell’economia che vedranno grandi cambiamenti nei prossimi anni. Tuttavia non dobbiamo guardare solo ai posti che verranno persi per effetto della decarbonizzazione, ma anche a quelli che perderemmo se arrivassimo in ritardo nell’innovazione richiesta su scala globale a fronte della sfida climatica. La transizione climatica rappresenta infatti un’ occasione – per ripensare un mondo del lavoro in crisi da anni.
Una crisi profonda che, da qualche decennio non ha risparmiato l’Italia. I lavoratori a tempo determinato sono raddoppiati tra l’inizio degli anni Novanta e il 2019, arrivando a oltre 3 milioni, mentre nel 2021 il 46,4% dei dipendenti a termine ha un’occupazione di durata pari o inferiore ai 6 mesi. L’ultimo rapporto ISTAT ha qualificato il 33% delle donne occupate come lavoratori “non standard” (2) (rispetto al 16,8% degli uomini), il 34,3% degli stranieri (20,3% degli italiani), un quarto dei lavoratori con basso livello di istruzione (18,4% dei laureati) e quasi un terzo dei residenti nel Mezzogiorno (22,0% nel Centro e 18,3% nel Nord) (3). Nel 2019 il lavoro non regolare coinvolgeva il 12,6% degli occupati, mentre nel 2021, il 23,1% dei giovani compresi tra i 15 e i 29 anni non lavorava e non studiava, con un’incidenza doppia nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord. Nello stesso anno il tasso di disoccupazione è salito di 0,2 punti rispetto al 2020, arrivando al 9,5%, con differenze fra la componente femminile e maschile (rispettivamente 10,6% e 8,7%) (4).
Se quindi da un lato abbiamo un settore industriale che deve intraprendere un importante percorso di decarbonizzazione e che rappresenta anche un settore ad alta occupazione, dall’altro i dati dipingono un Paese con un alto tasso di disoccupazione, dove il lavoro è precario e con profonde diseguaglianze. La transizione ha il potenziale di creare nuovi e migliori posti di lavoro, con opportunità di occupazioni più qualificate, remunerative e un offerta per i più giovani.
Lezioni da imparare
Senza adottare una strategia per la giusta transizione, il rischio è che i cambiamenti indotti dalla politiche per il clima possano produrre nuove diseguaglianze e che queste siano da freno al successo della decarbonizzazione.
La storica transizione della Valle della Ruhr, la regione tedesca del carbone e dell’acciaio, la transizione economica su cui sta lavorando la Commissione per la Giusta Transizione Scozzese (5), il processo partecipativo di dialogo messo in atto dal Sud Africa nella transizione energetica del paese, come anche gli esempi di transizione dagli Stati Uniti guidati dalle popolazioni indigene Navajo e Appalachia (6), sono alcuni degli esempi di come la transizione ecologica, se adeguatamente governata e programmata, possa portare ai principi della giustizia e dell’equità.
Proprio da queste esperienze è possibile identificare alcuni elementi imprescindibili dell’agire della politica per una giusta transizione:
- investimenti sicuri e sul lungo periodo: ci sono voluti 60 anni per una conversione strutturale e permanente verso lavori di qualità e ben pagati nella storica regione della Ruhr;
- una governance che includa organi preposti alla giusta transizione: la Commissione per la Giusta Transizione Scozzese ha riportato come al suo interno è stato possibile dare uno spazio politico a quelle interazioni e intersezionalità che altrimenti non sarebbero emerse nelle transizione. Un esempio è lo spazio dato al contempo alle istanze dei lavoratori nell’industria di gas e petrolio e alle associazioni ambientaliste.
- un approccio attivo e partecipativo da parte di stato, enti locali, amministrazione pubblica, società civile e altri portatori di interessi: nella Germania degli anni ’80, le industrie del carbone e dell’acciaio come RAG, Thyssen and Krupp, presero l’iniziativa per diversificare la loro produzione in impiantistica e tecnologie ambientali, accompagnando i loro lavoratori nella transizione anche attraverso programmi di apprendimento.
- istituzionalizzare la rappresentanza delle “minoranze” nel processo decisionale: il ruolo delle donne Appalachia nel movimento per i danni ambientali causati dall’industria del carbone in America oppure negli scioperi dei minatori nel Regno Unito degli anni ’20, ’40 e ’80, hanno assicurato, per esempio, che i nuovi impieghi includano ottime strutture di supporto per il loro lavoro di cura familiare (7).
Perché è importante e su cosa bisogna puntare
Il cambiamento climatico è ormai una questione di sicurezza nazionale, e può diventare anche una “minaccia” per il lavoro se non si sfrutteranno le opportunità per creare lavori nuovi e sostenibili sia da un punto di vista ambientale che sociale. In questa campagna elettorale si è parlato spesso di clima, con differenze importanti che sono emerse tra i vari schieramenti, e il tema della giusta transizione sarà certamente uno dei parametri fondamentali su cui giudicare l’azione del prossimo governo.
Uno dei punti da cui partire per un’azione politica efficace su questo tema riguarda la formazione: occorre investire in processi formativi che rispecchino e preparino i giovani al nuovo mondo del lavoro, ma anche formazione e riqualificazione dei lavoratori al momento impiegati in settori destinati a grossi cambiamenti, come ad esempio quello dei trasporti.
Ugualmente importanti saranno le politiche legate al territorio: è fondamentale accompagnare lavoratori, famiglie e comunità nella transizione con ammortizzatori sociali e riqualificazione del territorio, così che le aree che fino ad ora sono state “sacrificate” a questo modello produttivo, non vengano ulteriormente danneggiate attraverso l’abbandono e lo spopolamento.
Assicurare una giusta transizione per tutti sarà uno dei compiti chiave per il prossimo governo. E dovrebbe anche essere il tema su cui cercare maggiore coesione da parte di tutte le forze politiche, spingendo verso un modello partecipato che riunisca attorno allo stesso tavolo imprese, rappresentanze dei lavoratori e istituzioni, promuovendo anche la partecipazione diretta dei cittadini. Solo così la politica potrà cominciare a mettere insieme i tasselli per risanare il tessuto sociale e la fiducia nelle istituzioni e costruire un modello di benessere che sia più equo, diffuso e duraturo nel tempo.
NOTE
(1) Greta Ardito (2021). Perché la transizione energetica aiuti l’occupazione bisogna inserire la spina degli investimenti. Linkiesta. Disponibile su: https://www.linkiesta.it/2021/08/cambiamento-climatico-lavoro-energia-automobili-elettriche-automotive/
(2) Tipologia di lavoro non standard: dipendente a termine, collaboratore (tempo pieno o altro part-time); dipendente a tempo indeterminato, autonomo con o senza dipendenti (part-time involontario); dipendente a termine, collaboratore (part time involontario).
(3) Rapporto annuale ISTAT 2022. Disponibile su: https://www.istat.it/storage/rapporto-annuale/2022/Rapporto_Annuale_2022.pdf
(4) Istat, Noi Italia 2022. Disponibile su: https://noi-italia.istat.it/pagina.php?L=0&categoria=3&dove=ITALIA
(5) Mercier S. (2020). Four Case Studies on Just Transition: Lessons for Ireland. National Economic and Social Council, Research series, Paper No. 15;
(6) Yeo S. (2017). Clean energy: the challenge of achieving a “just transition” for workers. Carbon Brief. Disponibile su: https://www.carbonbrief.org/clean-energy-the-challenge-of-achieving-a-just-transition-for-workers/
(7) Carbon Brief. Why gender justice matters in the transition away from coal. Disponibile su: https://www.carbonbrief.org/guest-post-why-gender-justice-matters-in-the-transition-away-from-coal/
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