Mercoledì 9 novembre la Commissione europea ha presentato una comunicazione sugli orientamenti di riforma dell’impostazione di governance economica, cioè una proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita. Il Patto di stabilità è l’insieme di norme per garantire la disciplina di bilancio dei paesi dell’Unione europea dopo l’introduzione della moneta unica e verte su tre elementi principali: un limite annuale al deficit rispetto al PIL (cioè la differenza tra entrate e uscite espresso come percentuale delle entrate) del 3%, un limite di rapporto tra debito pubblico e PIL del 60% e una regola che impone un percorso di riduzione del debito pubblico attuale fino al livello del 60% in 20 anni, a tappe di 1/20 del debito rimanente all’anno.
L’applicazione del Patto è attualmente sospesa fino alla fine del 2023 in riconoscimento dell’eccezionalità della crisi legata alla pandemia da Covid-19 e dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. È ormai accettata da tempo l’idea che il patto nella sua attuale forma sia difficilmente applicabile una volta rientrata l’emergenza, e che vada in qualche modo riformato.
Nello studio pubblicato il maggio scorso, ECCO aveva identificato la necessità di cogliere l’occasione di riforma del Patto di stabilità per creare una nuova infrastruttura in grado di finanziare la transizione verde. Senza l’effetto crescita della transizione e la mitigazione degli impatti più violenti del cambiamento climatico infatti, il debito pregresso degli stati diventerebbe insostenibile, laddove l’apertura a nuovo debito ‘buono’ per la transizione consentirebbe di finanziare la crescita e contribuirebbe a mettere in sicurezza le economie nel lungo periodo. La proposta di ECCO consisteva nell’introduzione una ‘green golden rule’ che riconoscesse uno status speciale di esenzione dal computo del debito alla spesa legata a investimenti, spesa sociale e incentivi in grado di generare una ‘giusta transizione’ verde.
La proposta della Commissione europea
La Commissione europea, nella sua comunicazione, propone il mantenimento del limite del deficit di budget del 3%, nel medio periodo e inoltre la sostituzione della regola di riduzione del debito di 1/20 con un percorso dedicato per paese. Il percorso deve essere di riduzione del debito verso l’obiettivo del 60% di rapporto debito/PIL, ma non c’è alcun orizzonte temporale specifico per il raggiungimento di questo obiettivo.
Centrale nella proposta è la creazione di un periodo di assestamento di 4 anni – estendibile fino a 7 a determinate condizioni – al termine del quale lo stato membro dovrebbe dimostrare che il proprio debito pubblico è su una traiettoria di riduzione o rimane a ‘livelli prudenti’. Ogni paese dovrebbe presentare un piano fiscale-strutturale nazionale di medio termine che indichi le misure che si impegna a mettere in atto per raggiungere questo obiettivo durante il periodo di assestamento. Il piano deve indicare una traiettoria fiscale e gli investimento pubblici prioritari e gli impegni di riforma che presi insieme garantirebbero la riduzione del debito e una crescita economica sostenibile ed inclusiva. Questi piani dovrebbero essere allineati coi piani nazionali energia e clima (per l’Italia, il PNIEC) e riferirsi anche ai piani nazionali di ripresa e resilienza (per l’Italia, il PNRR).
La traiettoria di aggiustamento fiscale dovrebbe essere basata su un solo indicatore operativo legato alla sostenibilità del debito: la spesa primaria netta, cioè la spesa nazionale al netto di misure di introito discrezionali e al netto delle spese sugli interessi del debito e spesa di disoccupazione ciclica. Questa traiettoria verrebbe poi tradotta in tetti massimi di spesa annuali che tengano inoltre conto della necessità di mantenere il deficit di budget al di sotto della soglia del 3% nel medio periodo.
Il rischio di sostenibilità del debito verrebbe valutato dalla Commissione europea tramite un’analisi di sostenibilità del debito (Debt Sustainability Analysis, o DSA).
Il periodo di assestamento sarebbe normalmente di 4 anni, ma potrebbe essere esteso di altri 3 anni, garantendo dunque una traiettoria di riduzione del debito più graduale, su richiesta dello stato membro qualora presenti un piano fiscale-strutturale nazionale di medio termine che includa un piano di riforme e investimenti in grado di supportare crescita sostenibile e sostenibilità del debito. Perché l’estensione sia concessa, il piano dovrebbe inoltre affrontare le priorità dell’Unione europea, tra le quali i piani nazionali energia e clima, la roadmap nazionale per la decade digitale e l’implementazione del pilastro europeo dei diritti sociali.
Per i paesi con un debito pubblico moderatamente o (come l’Italia) sostanzialmente al di sopra del target del 60% contenuto nel Patto di stabilità, il piano fiscale-strutturale nazionale di medio termine dovrà partire da un percorso pluriennale di assestamento della spesa primaria prodotto dalla Commissione europea, poi tradotto in un obiettivo di bilancio strutturale primario da raggiungere alla fine dei 4 anni.
Verrebbe inoltre rafforzato il meccanismo di controllo in caso di non implementazione degli impegni, con la creazione di un nuovo strumento di enforcement e la rimodulazione delle penalità per non rispetto delle regole. In particolare i paesi con alto livello di debito avrebbero meno spazio di manovra e la procedura di deficit eccessivo (EDP) verrebbe attivata automaticamente in caso di scostamento dalla traiettoria fiscale concordata nel piano. Questo però presenta un rischio per programmi legati alla transizione verde, che si sviluppano su archi pluriennali e che potrebbero dover essere interrotti in caso di avviamento della procedura. Questo rischio rappresenterebbe inoltre un disincentivo all’investimento privato nella transizione, che l’investimento pubblico mira invece ad incentivare.
Finanziare la transizione verde
Ci sono diversi elementi positivi nella proposta della Commissione europea che rendono il Patto di stabilità applicabile nelle mutate circostanze economiche introducendo delle flessibilità importanti: l’abbandono di un orizzonte temporale fisso per il raggiungimento dell’obiettivo di rapporto deficit/PIL del 60% e la sostituzione della regola di 1/20 con una traiettoria più graduale. La comunicazione indica che il vincolo del 3% di deficit annuale debba essere considerato sul medio periodo, e questo lo renderebbe meno restrittivo rispetto alla necessità sul breve periodo di una maggiore spesa per affrontare la crisi energetica. Quello che però la proposta non riesce a fare è creare gli spazi fiscali necessari per affrontare i costi della transizione verde.
Infatti, nonostante il riconoscimento del fatto che il cambiamento climatico è tra le sfide che minacciano la crescita e alla sostenibilità delle finanze pubbliche, la comunicazione delinea un framework in cui i paesi a limitato spazio fiscale difficilmente possono trovare le risorse necessarie a finanziare la transizione. Manca infatti una green golden rule che assegni un ruolo speciale alla spesa verde, mettendola al di fuori delle limitazioni imposte del patto di stabilità – questo in probabile riconoscimento della forte opposizione dei paesi frugali, tra cui la Germania, al trattamento speciale per un tipo particolare di spesa, qualunque esso sia. Mancano però anche misure alternative alla green golden rule esplicitamente dedicate a facilitare la spesa per la transizione, e questo indica che non è avvenuto il cambio di prospettiva che avevamo auspicato, necessario a trasformare il patto di stabilità in patto di sostenibilità.
Il periodo di assestamento in sostituzione di una green golden rule
Per ottenere l’estensione a 7 anni del periodo di assestamento, il paese membro dovrebbe presentare un analisi quantitativa dei costi a breve termine e degli impatti di budget e crescita potenziale delle riforme e impegni di investimento di medio termine legati all’estensione. Queste riforme ed impegni dovrebbero riferirsi a priorità europee comuni, tra cui i PNIEC (allineati con gli obiettivi della Legge Clima UE), la roadmap per la decade digitale e l’implementazione del pilastro dei diritti sociali. In teoria dunque questa richiesta di estensione potrebbe essere un modo per rendere più graduale la traiettoria di aggiustamento fiscale per fondi spesi per la transizione. Durante la conferenza stampa a seguito della comunicazione, i Commissari Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni hanno sottolineato questa possibilità come un’alternativa alla green golden rule. Ci sono però alcuni interrogativi sul fatto che questa misura possa essere adeguata allo scopo.
Il primo interrogativo è legato alla quantità di spesa consentita dalle nuove regole rispetto alla situazione attuale. La proposta indica che la traiettoria del debito deve essere discendente alla fine del periodo di assestamento, mentre durante il periodo stesso è comunque limitata da dei tetti di spesa legati alla traiettoria generale e al limite massimo di 3% di deficit nel medio periodo. Nei 5 anni precedenti la crisi da Covid-19 il deficit italiano è rimasto tra il l’1,6 e 2,6%, ma il recente documento programmatico di bilancio lo pone al 4,5% per il 2023, quindi lo spazio per ulteriore spesa, che sarebbe stato verosimilmente piuttosto ridotto prima della crisi, risulta ulteriormente schiacciato a fronte di una necessità da noi stimata provvisoriamente in 33 miliardi l’anno (cioè circa l’1,5% del PIL) ma che appare ora più vicina agli 80-100 miliardi1 l’anno (circa 3,8%-4,8% del PIL) per la sola transizione verde in Italia. La transizione è inoltre solo una delle priorità che la Commissione europea prevede possano essere incluse nei piani fiscali-strutturali. I margini di incremento della spesa per la transizione verde sembrano dunque molto ridotti per l’Italia, con il rischio che la transizione possa venir finanziata solo a prezzo di un certo livello di austerità in altre voci di spesa, e che quindi venga percepita come in conflitto con le politiche sociali. Bisognerebbe invece trovare un modo per coniugare la spesa verde, quella sociale e le altre spese prioritarie con una gestione prudente del debito, senza che nessuna di queste debba essere sacrificata.
Il secondo interrogativo è legato alla durata del periodo di assestamento al termine del quale le finanze statali dovranno essere avviate su una traiettoria discendente o rimanga a ‘livelli prudenti’, con una conseguente ulteriore riduzione dello spazio fiscale disponibile per la transizione. La durata massima di 7 anni porterebbe al 2030, ma sembra difficile ipotizzare che la necessità di finanziare la transizione diminuisca in maniera significativa oltre questa data. Obiettivi fissati dal pacchetto Fit for 55 come la cessazione della vendita di auto elettriche nel 2035 continueranno a richiedere forti investimenti pubblici in infrastrutture di ricarica e incentivi all’acquisto di beni verdi per i meno abbienti – questi ultimi in particolare saranno particolarmente necessari a ridosso del 2035. Sembra controintuitivo aspettarsi che dal 2030 in avanti i paesi membri possano fare fronte a questa spesa mantenendo una costante traiettoria di riduzione del debito. Stando così le cose però, l’impostazione iniziale del piano di medio termine diventerebbe fondamentale – gli spazi di correzione in corso d’opera sono ridotti. Questo proporrebbe un forte incentivo a non ritardare la transizione, ma a integrarla fin da subito nel piano di medio periodo.
Il terzo interrogativo è legato al tipo di interventi verdi che possono consentire l’estensione del periodo di assestamento. La comunicazione indica che questi devono essere riforme ed investimenti in grado di supportare crescita sostenibile e sostenibilità del debito nel contesto dei piani nazionali energia e clima, oltre al pilastro europeo dei diritti sociali. La nostra interpretazione è che questo consentirebbe di includere la spesa per incentivi all’acquisto dei beni verdi, ed il sostegno ai cittadini meno abbienti e più colpiti dalla transizione. Questo sarebbe un elemento positivo, ma sarà necessario verificare come questa intenzione verrà poi tradotta sul piano legislativo.
Analisi
La proposta contenuta nella comunicazione della Commissione europea contiene aspetti positivi in quanto supera alcuni dei problemi cruciali legati al patto di stabilità e crescita, come la regola di riduzione del debito di 1/20 all’anno, e introduce traiettorie di rientro del debito più lunghe e differenziate per paese.
Quello che manca invece è l’inquadramento della necessità di finanziare una riforma di lungo periodo che miri a mitigare l’entità e gli effetti del cambiamento climatico come obiettivo cruciale della riforma del Patto di stabilità. La comunicazione mette sul tavolo delle proposte che possono sì essere efficaci nel ridurre il debito nel medio periodo, ma difficilmente potranno aprire lo spazio necessario al finanziamento della transizione senza creare il rischio di un ritorno all’austerità. In particolare, la proposta non sembra tenere conto del fatto che senza una transizione verde, nel medio-lungo periodo, il debito di molti paesi diventerà insostenibile a causa dei crescenti danni del clima.
La proposta della Commissione europea è dunque da considerarsi un punto di partenza che però deve essere migliorato. Per fare questo è però necessario che il dibattito sulla riforma prenda piena coscienza della assoluta necessità della spesa per il clima, e si allarghi rispetto al semplice obiettivo di creare un sistema funzionale di riduzione del debito. Se i paesi frugali vedono primariamente il Patto di stabilità e crescita come uno strumento di controllo del debito pubblico europeo, starà ai paesi a spazio fiscale ridotto come l’Italia, che rischiano un ritardo a livello economico, industriale e sociale per il non essere in grado di finanziare la transizione, a doversi fare portavoce di questa istanza.
Una proposta potrebbe essere quella di far sì che i piani fiscali-strutturali nazionale di medio termine presentati dai paesi membri siano costruiti intorno alla necessità di trasformare le economie europee in linea con la transizione verde. Questo non dovrebbe essere gestito semplicemente imponendo una percentuale bassa o alta di spesa verde, come ad esempio è successo per i piani nazionali di ripresa e resilienza, ma dovrebbe usare la transizione come lente attraverso la quale l’intero piano viene letto. Collegato a questo, l’analisi di sostenibilità del debito dovrebbe considerare appieno l’impatto dei danni all’economia dovuti al cambiamento climatico.
Dal punto di vista politico sarà fondamentale che i paesi in favore di una riforma ambiziosa del patto di stabilità e crescita si facciano portavoce della necessità di mettere al centro della discussione il finanziamento della transizione verde.
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