Come accadde nel 2020 durante la pandemia, la drammatica crisi energetica scatenata dall’invasione russa in Ucraina, spinge l’Unione europea a soluzioni che appaiono temporanee ma in realtà prefigurano strumenti utili a gestire in via permanente la complessa fase di transizione che la crisi climatica impone alle economie europee. Caratteristica che sembra accomunare anche i decreti annunciati dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) a fine agosto 2022, per aiutare le imprese a far fronte ai danni sofferti a causa della crisi energetica.
Il Decreto contiene una serie di misure a favore delle imprese attraverso “contratti di sviluppo” gestiti da Invitalia, per erogare finanziamenti agevolati e incentivi a favore soprattutto delle PMI del Mezzogiorno. Lo stanziamento appare complessivamente modesto: utilizza 1,4 miliardi allocati dalle ultime Leggi di Bilancio per il periodo 2022-2026 e 2 miliardi del Fondo di Sviluppo e Coesione (per l’80% destinati al Sud Italia). Di questi ultimi, 1,5 miliardi vanno a finanziare “contratti di sviluppo” ordinari e 500 milioni sono destinati a progetti di tutela ambientale.
Tuttavia, per la prima volta, si renderebbe una parte degli incentivi condizionali alla realizzazione di piani di risparmio energetico e progetti di decarbonizzazione delle attività industriali. Gli incentivi possono arrivare a coprire fino al 60% dei costi per le PMI. L’obiettivo è una diminuzione del 40% dei gas climalteranti ovvero di una riduzione di almeno il 20% dei consumi di energia per unità di prodotto, obiettivi in linea con i target del Green Deal europeo.
Questo rappresenta un modello ideale per finanziare la transizione attraverso la predisposizione di adeguati piani di incentivi a favore delle imprese per supportare gli ingenti oneri connessi alla transizione energetica e climatica. Nella nostra analisi abbiamo individuato proprio Invitalia, CDP e SACE come veicoli istituzionali appropriati per canalizzare le risorse del PNRR e attivare “a leva” ulteriori finanziamenti bancari attraverso garanzie pubbliche. Questo schema è lo stesso utilizzato dall’ Unione europea attraverso la Banca Europea degli Investimenti (BEI) e adottato anche in Italia durante la pandemia attraverso SACE e Mediocredito Centrale (banca controllata da Invitalia).
La novità costituita dal Decreto annunciato a fine agosto dal MISE sembrerebbe quindi segnare un precedente importante e potrebbe trasformarsi in uno strumento strategico decisivo per supportare e orientare gli investimenti delle imprese nella difficile fase di transizione energetico-climatica nei prossimi anni. Ciò richiederebbe tuttavia che si realizzassero tre condizioni essenziali, che per ora sembrano però ancora del tutto assenti e di cui auspichiamo la politica se ne faccia carico:
- Un serio impegno del Governo italiano in Europa, affinché gli schemi di agevolazione agli investimenti delle imprese finalizzati al risparmio energetico e alla decarbonizzazione abbiano carattere permanente. Meccanismo oggi inquadrato nel Temporary Framework della UE, che sospende solo temporaneamente a fini emergenziali i vincoli europei sugli aiuti di Stato, attualmente prorogato solo fino al giugno 2023.
- Allineamento progressivo degli indirizzi strategici e delle capacità operative di Invitalia, SACE e CDP al modello di “Banca del clima” già adottato dalla BEI.
- Infine, l’entità delle erogazioni e/o garanzie finalizzate alla trasformazione “verde” del tessuto economico deve assumere nel tempo un’ampiezza quantitativa adeguata. Lo sforzo di investimento complessivamente richiesto all’economia italiana è destinato infatti a superare i 1000 miliardi nei prossimi 10 anni e a sfiorare i 4000 miliardi nei prossimi trenta. Una sfida di tale portata non è sicuramente affrontabile senza istituzioni, una riforma del Patto di Stabilità, e strumenti in grado di mobilizzare anche la finanza privata su vasta scala. Photo by Karolina Grabowska