Elezioni 2022

Quale transizione ecologica per la plastica?

La plastica è un materiale versatile che viene utilizzato in numerosissime applicazioni. La filiera italiana della plastica è formata da 50 aziende produttrici di polimeri e da moltissime imprese che si occupano della loro miscelazione e trasformazione in prodotti finiti. In questo settore sono attive circa 5 mila aziende, che danno lavoro a 110 mila persone e hanno un fatturato di 15 milioni di euro all’anno. Un altro ambito del mondo delle materie plastiche importante nel nostro Paese è quello dei costruttori di macchine e stampi per la trasformazione. In questo settore operano circa 900 aziende, con 14 mila addetti diretti e un fatturato di quasi 4 miliardi di euro. L’industria italiana è una forte esportatrice di macchine e stampi e anche nel 2020 ha mostrato un saldo positivo di 2 miliardi di euro. 

L’Italia è un’eccellenza europea nella filiera della plastica, ma abbiamo anche un altro primato, purtroppo non invidiabile: siamo secondi in Europa per consumo di plastica. Nel 2020 sono state consumate quasi 6 milioni di tonnellate di polimeri fossili, corrispondenti a 100 kg per ogni cittadino italiano. Il 42% della plastica consumata viene impiegata nel settore degli imballaggi, prodotti caratterizzati da un impiego di breve durata e il cui destino è diventare ben presto un rifiuto.  

 

La plastica, tra inquinamento e cambiamento climatico 

Petrolio e gas naturale sono le materie prime principalmente utilizzate per produrre la plastica. Ciò comporta l’immissione in atmosfera di 2 kg di CO2 per ogni kg di plastica. La plastica, dunque, contribuisce in maniera importante all’emissione di gas serra e al conseguente aggravarsi della crisi climatica. Per questa ragione urge un piano di decarbonizzazione, che permetta all’Italia di mantenere un ruolo chiave nel settore e di rispettare al tempo stesso gli obiettivi climatici. Il primo passo, senza dubbio, deve essere volto a diminuire il consumo, e conseguentemente la produzione, di plastica. I tassi di produzione e consumo attuali non sono sostenibili e hanno generato anche una crescita esponenziale dell’inquinamento. Per questa ragione, parallelamente alla decarbonizzazione, negli ultimi anni si è fatto sempre più urgente il bisogno di adottare misure efficaci contro l’inquinamento da plastica. Secondo il rapporto “The Mediterranean: Mare Plasticum”, Italia, Egitto e Turchia sono i maggiori responsabili della dispersione di rifiuti di plastica nel Mediterraneo, nel quale ogni anno finiscono circa 300 mila tonnellate di plastica.  

All’interno delle Nazioni Unite si è raggiunto un accordo per porre fine all’inquinamento da plastica affrontando l’intero ciclo di vita di questo materiale, dal processo produttivo, al consumo e fino allo smaltimento. Questa deve essere la strada, che dovrà necessariamente essere percorsa anche dall’Italia. Finora la politica è rimasta immobile, ma questa inazione non potrà protrarsi ancora a lungo. Nel corso di questa campagna elettorale le forze in campo saranno chiamate a esporre la propria strategia e a dare una risposta sul percorso di decarbonizzazione e di abbattimento dell’inquinamento del settore della plastica. Ma com’è possibile trasformare la filiera per raggiungere gli obiettivi climatici, diminuire l’inquinamento e, allo stesso tempo, tutelare – e magari perfino migliorare la competitività delle imprese italiane?

 

Tre sono i fronti sui quali sarà imprescindibile agire per il prossimo governo, già dai primi mesi della legislatura: 


1. Riduzione dei consumi
 

In questo contesto appare urgente agire in via prioritaria sulla domanda di materie prime, adottando misure per: 

  • L’eliminazione degli imballaggi inutili e la riduzione del monouso; 
  • Un maggior impiego di prodotti riutilizzabili. 

A tal proposito, perché non prendere come modello le misure già adottate da altri paesi europei? Non si potrebbe, ad esempio, vietare l’utilizzo di stoviglie monouso per il consumo sul posto in bar e ristoranti? Il divieto di vendita di prodotti ortofrutticoli in confezioni di plastica, già previsto in Francia e Spagna, potrebbe essere un’efficace misura per la riduzione degli imballaggi? Le proposte di ECCO su “Riduzione dei consumi e riciclo della plastica” forniscono una panoramica delle possibili azioni che l’Italia può introdurre in tempi brevi, prendendo spunto da esperienze virtuose di altri paesi europei. 


2. Migliorare i tassi e la qualità dei prodotti riciclati
 

Nell’ottica di diminuzione della produzione di polimeri da fonti fossili, il riciclo di materie plastiche è uno strumento che consente di ridurre le emissioni di gas serra e il consumo energetico per la produzione di nuova plastica.  

Non è un buon segno che uno dei principali argomenti di dibattito di questa campagna elettorale siano i termovalorizzatori, più una questione mediatica che di vera rilevanza politica. Quando i rifiuti plastici vengono inceneriti si ha un rilascio in atmosfera di circa 3 tonnellate di CO2 per tonnellata di rifiuti plastici trattati. Nel 2018 nel nostro Paese sono state raccolte 3,6 Mt di rifiuti plastici, di cui il 33% è stato destinato al recupero energetico tramite combustione. Si stima dunque che il solo incenerimento di questi rifiuti abbia causato l’immissione in atmosfera di 3,5 Mt di CO2.  

Perché non fare anche proposte, invece, per migliorare ulteriormente il recupero e riciclo dei rifiuti plastici, privilegiando il recupero di materia? Perché non è ancora stato pubblicato il decreto attuativo per implementare il sistema del deposito su cauzione? Questo modello di raccolta dei rifiuti è già attivo in 13 paesi europei e permette, ad esempio, di raggiungere un tasso di raccolta del PET di circa il 90% (con punte del 96%), mentre l’attuale tasso italiano è del 46%.

 

3. Introduzione della plastic tax da gennaio 2023 

Oggi in Italia non è ancora in vigore la plastic tax nazionale. Questa tassa viene continuamente rimandata dal 2020 e nessun governo si è preso la responsabilità di implementarla. Tuttavia, l’Italia deve versare all’UE 800 milioni di euro all’anno come gettito della plastic tax europea a copertura dei rifiuti d’imballaggio di plastica non riciclati prodotti nel nostro Paese. Con i continui rinvii della plastic tax nazionale, questi soldi vengono dalla fiscalità generale, cioè si dispone di impiegare risorse pubbliche per coprire i costi della filiera della plastica. La plastic tax nazionale non implica l’introduzione di una nuova tassa, ma il pagamento da parte di chi continua a immettere sul mercato manufatti con singolo impiego.  

Il prossimo governo però non potrà continuare a mettere la testa sotto la sabbia. Qual è la posizione delle forze politiche? La riforma del sistema fiscale dovrebbe includere anche la riforma della fiscalità ambientale per sostenere i prodotti compatibili con la decarbonizzazione, come materiali riciclati e biobased? 

Oltre ai tre interventi sopra citati, sarà indispensabile incentivare la domanda di materie prime seconde e di plastiche vegetali, introducendo appositi requisiti a partire dai bandi pubblici. Così facendo si promuoverà un cambio del modello di produzione, che andrà supportato anche con incentivi dedicati alle imprese che implementino ambiziosi piani di transizione, preservando così l’occupazione diretta e indiretta. 

Affinché un piano industriale così organico venga introdotto, la politica deve svolgere a pieno il proprio ruolo di guida della transizione, coinvolgendo attori fondamentali, come i consorzi di recupero italiani attivi nella filiera della plastica. 

La mancanza di coraggio e di azione di cui, fino a oggi, si è resa protagonista la classe politica, rischia di lasciar travolgere il settore dal cambiamento. Il nuovo governo avrà tra le proprie priorità un piano industriale per la decarbonizzazione della plastica? La politica sarà in grado di parlare con aziende e consorzi per indirizzare le eccellenze nazionali verso la transizione? Occorre iniziare a fare tutto questo fin da subito, a cominciare dalla campagna elettorale in corso.

Photo by mali maeder from Pexels

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