Il successo di Glasgow passerà per Roma
L’incontro di venerdì 23 luglio dei Ministri del clima e dell’energia delle principali economie del mondo si chiude meglio delle attese, segnando importanti passi avanti su diversi fronti. Due le questioni ancora aperte, nonostante una larga maggioranza si sia espressa a favore, che sono rimandate al Vertice dei leader di Roma (30-31 ottobre): l’uscita dal carbone nei sistemi domestici e dai finanziamenti internazionali e una data di dismissione dei sussidi ai combustibili fossili (i paesi G7 sostengono il 2025). Su quest’ultimo punto, il nuovo rapporto OCSE, sviluppato in cooperazione con la Presidenza italiana, mostra che il supporto pubblico ai combustibili fossili è in calo dal 2012 ma rimane pur sempre a un livello molto elevato ($345 miliardi nel 2020 calcolati per 52 paesi che coprono il 90% delle forniture globali di combustibili fossili).
Come conferma il rapporto della Presidenza, il lavoro continuerà nei prossimi mesi verso il Vertice di Roma. Per sbloccare le questioni in bilico, soprattutto quella del carbone, i leader sono chiamati a una diplomazia climatica con pochi precedenti, come ad esempio l’accordo sul clima dei leader G7 nel 2015 che ha aperto la strada per l’Accordo di Parigi. Centrale e decisivo sarà il ruolo di Draghi nel costruire la relazione con, e una proposta politica per, il leader cinese Xi Jinping, visto il peso primario e assoluto della Cina sul carbone. Per Xi sarà l’opportunità di mostrare la responsabilità globale della Cina, le credenziali “verdi” della Via della Seta e di ricostruire relazioni e nuove sfere di influenza con i partner europei.
I risultati del comunicato congiunto
Il risultato più importante di Napoli, raggiunto dopo lunghi negoziati, iniziati in primavera e grazie al costante lavoro della delegazione italiana, è stata l’adozione di un comunicato condiviso, opzione per nulla scontata vista la diversità del gruppo. Ciò rappresenta un segnale forte della volontà di collaborare da parte di tutti i paesi nonostante le più ampie divisioni politiche sullo sfondo, come la geopolitica tra USA e Cina, la diversità di accesso ai vaccini e la questione del debito che limita gli spazi fiscali di molti paesi emergenti e vulnerabili per rispondere alle sfide economiche e sociali post-Covid. In questo contesto, la rinnovata cooperazione climatica siglata a Napoli può fare da traino e mostrare una via per una più ampia cooperazione globale.
Non è un caso allora se tutti i paesi hanno riaffermato l’importanza di un approccio basato sulla scienza, e di quella migliore disponibile, per la definizione delle politiche e dei piani nazionali, prendendo sul serio l’avvertimento della comunità scientifica globale. In questo senso per la prima volta è stata riconosciuta la criticità di mantenere l’incremento della temperatura media globale entro 1,5°C. I paesi hanno quindi richiamato il rapporto IPCC 1,5°C, riconosciuto che gli impatti del cambiamento climatico a 1,5°C sono molto più bassi rispetto a 2°C e che per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C sono richieste azioni significative ed efficaci da parte di tutti i paesi soprattutto nei prossimi 10 anni.
Del resto, la realtà degli impatti climatici non risparmia più nessuno. Oggi eventi climatici estremi non sono più casi isolati e sporadici ma colpiscono tutti i paesi – come dimostrano le catastrofi recenti in Germania, Cina, Canada e Stati Uniti e i fenomeni estivi estremi in Regno Unito e Italia – spesso su archi di tempo paralleli e che si accavallano alle crisi esistenti, come quella sanitaria o quella alimentare. Ricercatore e scienziati del clima parlano oggi della sincronicità dei fattori di stress come uno, se non il, maggior fattore destabilizzante dei sistemi politici, economici e sociali di interi paesi e regioni. Ma anche come opportunità che può dar vita a nuove dinamiche e modelli di cooperazione per affrontare problemi comuni. A Napoli c’è forse stato un primo segnale in questa direzione, per cui l’inevitabilità degli impatti climatici e della trasformazione, unita alla spinta diplomatica e politica dei paesi G7, ha portato tutti i paesi a prendere atto della necessità di lavorare insieme per la sicurezza e la prosperità propria e globale.
Anche per questo è stato evidenziato il ruolo dell’adattamento agli impatti e la necessità di integrarlo nei processi di bilancio e pianificazione nazionale ma anche di aumentare il sostegno finanziario, con risorse adeguate e prevedibili, per i paesi più poveri e vulnerabili nell’ottica di raggiungere un bilanciamento dei finanziamenti tra l’adattamento e la mitigazione.
L’assicurazione dai rischi climatici è un altro tema messo in evidenza insieme all’importanza di identificare e divulgare, da parte del settore privato, le informazioni sul clima (ovvero l’esposizione delle imprese ai rischi fisici, di transizione e di mercato). Questo tema è trattato nei lavori di finanza del G20 e in particolare dal gruppo di lavoro sulla finanza sostenibile, sotto la leadership di Banca d’Italia e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che sta negoziando una Roadmap condivisa per i Ministri G20 delle Finanze da adottare in ottobre.
Il comunicato fissa, dunque, una base comune di azione sul clima e l’energia, riconoscendo fortemente per la prima volta il nesso tra i due e il contributo eccezionale dell’energia alla produzione di gas serra, ma anche le interconnessioni e causalità tra la perdita di biodiversità e il cambiamento climatico, compresi gli impatti negativi sui servizi eco-sistemici “da cui dipendono i mezzi di sussistenza, le economie e la salute pubblica.”
Gli impegni verso Glasgow
E’ stata rilanciata l’importanza del multilateralismo e della cooperazione internazionale insieme alla “leadership e missione comune” dei G20 in particolare per il successo della COP26 di Glasgow. Tutti i paesi si sono impegnati a lavorare in modo costruttivo per raggiungere risultati ambiziosi ed equilibrati a Glasgow, compreso finalizzare i mandati in sospeso dell’Accordo di Parigi (come l’Articolo 6, i finanziamenti post 2025 e come affrontare le perdite e i danni degli impatti climatici).
Sono due i nuovi impegni concreti presi in questa direzione. Primo, i paesi G20 che ancora non hanno presentato nuovi impegni nazionali di riduzione delle emissioni di breve-medio termine (Nationally Determined Contributions o NDCs) lo faranno in modo “ambizioso entro la COP26”. Questi sono Sudafrica, Cina, India, Turchia, Arabia Saudita e Corea del Sud. Ma per rispettare l’ambizione e lo spirito di Napoli anche Brasile, Russia, Messico e Australia dovrebbero rivedere i loro piani perché quelli nuovi sono uguali o peggiori di quelli presentati a Parigi nel 2015. Secondo, tutti i paesi sono spinti a formulare, nel più breve tempo possibile e non più tardi della COP26, strategie di lungo termine (Long Term Strategies o LTS) che stabiliscano percorsi per la neutralità delle emissioni e un futuro resiliente, con l’obiettivo ultimo di mantenere il limite di 1,5°C alla portata. Infine, sono stati accolti con favore, e incoraggiati di nuovi, gli sforzi degli attori non statali (imprese, investitori, città, regioni etc) che hanno aderito alla campagna internazionale verso Glasgow per le zero emissioni entro il 2050, Race to Zero, e quella per costruire la resilienza delle comunità vulnerabili entro il 2030, Race to Resilience.
I paesi G20 hanno riaffermato l’impegno dei paesi sviluppati di mobilitare congiuntamente $100 miliardi l’anno entro il 2020, e ogni anno fino al 2025, con l’esortazione, per chi non l’abbia ancora fatto, a presentare nuovi impegni ben prima della COP26. Tra questi paesi vi è anche l’Italia, l’unico paese G7 che non ha ancora presentato nuovi impegni di finanza per il clima. Il rapporto “Finanza per il clima: A che punto siamo e quali nuovi impegni per l’Italia” indica una via di come l’Italia, in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di settembre o del Vertice G20 di Roma, può iniziare un percorso realistico di nuovi impegni (partendo da €1 miliardo l’anno di finanza pubblica per il clima) che quanto meno si avvicini, sommata alla finanza privata per il clima che si riuscirà a mobilitare, alla “quota equa” per l’Italia stimata in €3,3 miliardi l’anno[1] (attualmente l’Italia mobilita €500 milioni). Anche in questo caso sarà determinante la decisione e il ruolo di Draghi.
Gli impegni per una ripresa globale verde
Anche le istituzioni finanziarie per lo sviluppo, e in particolare le Banche multilaterale di sviluppo, sono state invitate a dare seguito ai loro impegni per mobilitare maggiori finanziamenti per il clima e intensificare gli sforzi per allineare le loro attività e investimenti all’Accordo di Parigi, con la richiesta di indicare una tempistica ambiziosa prima della COP26.
In termini di nuovi investimenti, il tema della ripresa post-Covid è stata al centro degli impegni comuni e il primo vero segnale di coordinamento globale per una ripresa verde. I paesi G20 riconoscono infatti il ruolo chiave dei pacchetti nazionali di ripresa e di allinearli agli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Se ben progettarli, scrivono i paesi, saranno decisivi per la riduzione delle emissioni di breve-medio periodo (NDCs) così come nel modellare e sostenere le strategie di lungo periodo (LTS). In questo senso tutti i paesi sono determinati a garantire che le misure di ripresa post-Covid siano ottimizzate per evitare danni ambientali e a fare sforzi per assegnare una quota ambiziosa dei piani di ripresa per il clima. Per l’efficacia della spesa e dei piani risulta particolarmente importante l’impegno a sviluppare un’efficace valutazione ex-ante delle misure di ripresa che includano le dimensioni climatiche e ambientali. Il nuovo strumento di “Monitoraggio della ripresa sostenibile” sviluppato dalla Presidenza italiana in collaborazione con l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) potrà essere d’aiuto e sarà aggiornato regolarmente insieme al lavoro di altre organizzazioni internazionali come quello dell’OCSE. Prossimamente sarà anche presentato un nuovo rapporto del WRI sull’allineamento dei flussi finanziari all’Accordo di Parigi, anche per facilitare la ripresa verde, anch’esso supportato dalla Presidenza.
Anche in questo caso i paesi hanno richiamato il ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali, in particolare delle Banche multilaterali di sviluppo, ad assumere un ruolo anti-ciclico, fornire nuovi strumenti finanziari e fare leva sui finanziamenti pubblici e privati per garantire una ripresa verde e resiliente per tutti.
Focus su transizione energetica e città
I paesi G20 hanno riservato un ruolo importante per le energie rinnovabili prendendo nota che in molti paesi e regioni, specialmente in alcuni membri del G20, i costi complessivi di alcune energie rinnovabili sono oggi già competitivi con le fonti fossili. Anche l’efficienza energetica, l’idrogeno (in particolare per settori industriali di difficile abbattimento delle emissioni), le tecnologie di riduzione delle emissioni di metano e la necessità di nuovi sforzi per la ricerca e sviluppo e per la povertà energetica (si veda il nuovo rapporto di SEforAll su questo) sono stati riconosciti come prioritari. E’ stato anche riconosciuto il grande potenziale delle rinnovabili marine, attraverso un nuovo rapporto sviluppato con IRENA, e della diffusione sistemi elettrici digitali e intelligenti, soprattutto nei paesi vulnerabili, attraverso l’iniziativa della Presidenza “Digital Demand-Driven Electricity Networks (3DEN)”.
Passi avanti sono stati fatti sul concetto di sicurezza energetica, riconoscendo che la sua natura è in evoluzione e va oltre le sfide tradizionali. Un nuovo rapporto della IEA in questo senso è stato accolto favorevolmente da tutti. Per affrontare i nuovi bisogni di sicurezza energetica in cui l’elettrificazione sarà dominante, i paesi G20 riconoscono la necessità di integrare nei sistemi una quota sempre maggiore di fonti rinnovabili, sistemi di stoccaggio e flessibilità; di considerare seriamente la resilienza e l’adeguatezza dei sistemi, il rischio clima ed eventi meteorologici estremi; e di sviluppare catene di approvvigionamento affidabili e sostenibili di minerali e materiali critici, semiconduttori e tecnologie correlate.
Infine, tutti i paesi G20 hanno riconosciuto il ruolo chiave delle città per accelerare gli sforzi per affrontare il cambiamento climatico e la transizione energetica (si veda un nuovo rapporto IEA e uno a firma UNEP), adottando un piano d’azione per città intelligenti, resilienti e sostenibili. Hanno inoltre richiamato in particolare le iniziative dal basso del Patto Globale dei Sindaci, il C40 e l’ICLEI e quello per lo sviluppo di comunità energetiche per le zero emissioni nette. I paesi G20 si sono impegnati a fare più sforzi per aumentare le soluzioni basate sulla natura o approcci basati sugli ecosistemi nelle città, anche attraverso i piani di ripresa post-Covid, con l’obiettivo di costruire meglio per la conservazione, l’uso sostenibile e il ripristino della biodiversità e dei servizi eco-sistemici.
[1] Questa “quota equa” per l’Italia è una media delle quote eque dei $100 miliardi per l’Italia calcolate da WRI, Oxfam e ODI.