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Le contromosse dell’Europa nella guerra dei dazi

La questione dazi è sempre più incerta. Il termine fissato da Trump per stringere accordi con i Paesi – tra cui l’Unione Europea – ai quali ad aprile aveva annunciato l’intenzione di imporre nuovi dazi è slittato ulteriormente.

La guerra dei dazi porta con sé implicazioni che vanno ben oltre l’imposizione di tariffe commerciali. L’elemento più evidente è come i dazi siano diventati uno strumento attraverso cui imporre interessi nazionali, spesso a scapito delle regole che governano il mercato internazionale, i rapporti reciproci e le regole di una fair competition. Questa dinamica ha contribuito ad accrescere l’incertezza in un contesto già segnato da forte instabilità globale, a partire dall’invasione russa dell’Ucraina nel 2022.

Nel confronto con l’amministrazione statunitense, l’Europa dovrà tenere presente questi quattro obiettivi di lungo periodo sui quali non perdere posizioni nella trattativa:

  1. la sicurezza e l’indipendenza energetica;
  2. la competitività dell’industria;
  3. la capacità di attrarre investimenti;
  4. il ruolo della diplomazia nella costruzione delle relazioni internazionali;

Queste quattro dimensioni sono colonne portanti del pacchetto Green Deal e oggi forniscono, nel confronto sui dazi e nella frammentazione delle relazioni globali, una strategia guida importante per l’Europa. Il confronto sui dazi innescato dall’amministrazione repubblicana ha fatto quindi emergere l’utilità del Green Deal europeo per navigare questo clima di incertezza.

Indipendenza energetica

Circa il 60% dell’energia consumata in Unione Europa viene importata. Questo tasso aumenta se si considerano le fonti fossili: circa il 95% del petrolio e poco più dell’80% del gas consumato nell’UE è importato. Ciò rende l’Europa energeticamente fragile e particolarmente esposta non solo ad un rischio di sicurezza ma a una volatilità dei prezzi delle fossili, fattore trainante dell’inflazione in Europa. La guerra dei dazi e il costante ricatto imposto all’Europa per accedere alle fonti fossili, impone di costruire la nostra sicurezza energetica su una maggiore indipendenza dall’esterno. Solo questo permetterà all’Europa di garantire una sostenibilità dei prezzi dell’energia per i consumatori e le aziende, obiettivo cardine dell’Action Plan on Affordable Energy, piano presentato dalla Commissione a fine febbraio come parte integrante del Clean Industrial Deal (CID).

Attraverso il Green Deal l’Europa sta costruendo la propria indipendenza, sicurezza energetica e competitività tramite la progressiva sostituzione della dipendenza dalle fonti fossiliNel solo settore della produzione elettrica, il peso dei combustibili fossili è calato del 19% nel 2023, mentre quello delle rinnovabili è salito a un record del 44%, spinto da eolico e solare: dall’implementazione del Green Deal nel 2019, le rinnovabili hanno permesso di evitare importazioni di combustibili fossili per 59 miliardi di euro.

Grazie alle misure contenute nel REPowerEU, già nel 2022 i risparmi, l’efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili hanno contribuito a sostituire 39 miliardi di metri cubi (bcm) di gas russo in Europa, ossia circa l’80% della riduzione dei consumi di gas registrata nell’intero anno. Lo sviluppo record di rinnovabili – pari a 41 GW di solare e 16 GW di eolico- ha permesso di sostituire 11 bcm già nel 2022, e a regime comporterà una riduzione della domanda per circa 15-18 bcm/anno. Da sole le fonti rinnovabili hanno mostrato nel 2022 una capacità di sostituzione annuale del 5% della domanda europea di gas.

Tuttavia, a fronte di una significativa penetrazione delle fonti rinnovabili nei sistemi elettrici, le bollette dei consumatori rimangono ancora fortemente influenzate dai prezzi del gas naturale, che è per molti paesi, come in Italia, la fonte marginale che fissa il prezzo nei mercati elettrici.

L’Action Plan on Affordable Energy contiene elementi per rispondere a questa sfida tracciando la rotta per una riforma del mercato energetico e introducendo sistemi di garanzia, facilitazione alle autorizzazioni e ai Power Purchase Agreement (PPA), per consegnare con maggiore velocità ai consumatori i benefici in termini di prezzo dall’uscita dalle fossili. L’obiettivo è costruire un sistema in cui i prezzi riflettano correttamente i costi di produzione dell’energia da fonti rinnovabili, consentendo così la fornitura di energia a prezzi accessibili, senza compromettere la sicurezza energetica e la competitività.

Strategia industriale

In attuazione del Green Deal e alla luce delle evidenze dei report Draghi e Letta, la Commissione ha pubblicato il quadro di quella che è la strategia industriale dell’Unione, con il Clean Industrial Deal (CID). La decarbonizzazione del sistema economico e produttivo si conferma l’orizzonte entro il quale orientare gli investimenti. Il processo di defossilizzazione dei sistemi produttivi, infatti, rappresenta un’opportunità di innovazione per l’Europa e un’opportunità di sviluppo di una autonomia strategica per le tecnologie e i processi di produzione puliti, nonché di accelerare nel percorso di costruzione di una reale sicurezza energetica, tra gli elementi alla base del rilancio competitivo del continente.  Il prezzo dell’energia è uno degli elementi chiave per la competitività del sistema produttivo e la dipendenza dell’Europa dalle importazioni estere una delle ragioni dei maggiori costi energetici europei rispetto ai partners commerciali. Per ridurre i costi energetici nell’UE, il CID chiarisce come occorra accelerare l’elettrificazione e la transizione verso un’energia pulita, prodotta a livello domestico, completare il mercato interno dell’energia con le interconnessioni fisiche e utilizzare l’energia in modo più efficiente. Occorre, quindi, accelerare nel percorso di diffusione delle rinnovabili nel sistema elettrico, facendo in modo che i vantaggi dei minori costi di generazione siano messi a disposizione delle imprese in modo efficiente. Non solo, occorre creare condizioni favorevoli e mercati guida per i beni e le tecnologie verdi, a partire da condizioni favorevoli negli appalti pubblici, curare la dimensione internazionale e commerciale; creare percorsi di finanziamento preferenziale; sviluppare le competenze e creare lavoro.

Il perseguimento della transizione energetica pone questioni di cruciale importanza in materia di sicurezza economica e autonomia strategica. La dipendenza da materie prime e tecnologie fondamentali per la transizione, spesso concentrate in Paesi terzi caratterizzati da instabilità politica o da politiche economiche assertive, espone l’Europa a significative vulnerabilità. La concentrazione geografica di risorse, prevalentemente estratte o lavorate in Paesi quali la Cina, l’Australia, il Cile, l’Indonesia, la Repubblica Democratica del Congo, evidenzia una dipendenza strutturale dell’Unione Europea da filiere globali complesse, affette da shock di diversa natura e talvolta inaffidabili.

In questo contesto, il rischio investe la stessa autonomia strategica dell’Unione Europea, determinando la necessità di una rilettura del concetto di interdipendenza. La dipendenza da Paesi terzi per risorse e tecnologie essenziali rappresenta sia un’opportunità di importare valore aggiunto, come materiali e componentistica critica e tecnologia innovativa a basso costo, e di rafforzare la cooperazione internazionale; sia un rischio di compromettere la capacità dell’Europa di perseguire i propri obiettivi politici, economici e di sicurezza, rendendola vulnerabile a forme di coercizione economica, spionaggio o a shock di mercato derivanti da tensioni geopolitiche. Per mitigare tali rischi, è necessario adottare un approccio di “cooperazione selettiva” che coniughi cioè apertura commerciale mirata su settori considerati strategici, come l’automotive, i materiali critici e le rinnovabili come il solare, con criteri per rafforzare la propria base produttiva e occupazionale, e valutare i rischi specifici.

Il pacchetto di provvedimenti che affiancano il Green Deal per una strategia industriale copre le diverse dimensioni di queste trasformazioni, con un Critical Raw Materials Act, un Industrial Decarbonization Accelerator Act, un nuovo market design e un Affordable Energy Action plan che complementano il Clean Industrial Deal.

Capacità di attrarre investimenti

Se da una parte è vero che la transizione energetica europea ha una componente di dipendenza da Paesi terzi, dall’altra parte questo è il riflesso naturale di un’economia globalizzata e di precise scelte strategiche industriali adottate dalle economie emergenti nel corso delle ultime tre decadi. La sfida, quindi, non è evitarla, ma saperla gestire e governare, per trasformarla in una leva strategica e per rispondere alle esigenze concrete delle persone e delle imprese.

Gli stessi rapporti di Letta e Draghi danno per scontato che l’Unione Europea abbia un elemento di vulnerabilità dovuta alla dipendenza da mercati esteri, ma entrambi individuano nell’interdipendenza un’opportunità per costruire una sovranità normativa, anche attraverso principi di reciprocità, e per influenzare gli standard globali.

Questo si colloca in un contesto in cui il ritorno dell’amministrazione repubblicana negli USA ha portato con sé un’onda di deregolamentazione dei principali strumenti per la transizione. Le politiche dell’amministrazione repubblicana, in primis il ritiro dall’Accordo di Parigi, il “drill, baby drill” che dà il via libera teorica a maggiori investimenti nella filiera oil and gas (anche se i primi segnali sono di direzione opposta) e il corrispondente smantellamento dell’Inflation Reduction Act (IRA) dell’amministrazione Biden stanno provocando incertezza e poca prevedibilità sui mercati. La guerra dei dazi di per sé determina incertezza, non solo nel livello delle tariffe (su quali prodotti? Con quali stati?), ma nella durata delle stesse, dal momento che sono fissate su interessi unilaterali che possono cambiare nel tempo magari proprio in ragione degli effetti dei dazi stessi.

Il crescente pessimismo sulle prospettive economiche del Paese, unito alla volontà di inasprire i rapporti commerciali con i principali partner, sta spingendo molti investitori ad abbandonare il mercato americano alla ricerca di contesti più stabili. Allo stesso modo, cambiamenti nelle normative o nelle politiche contribuiscono a creare incertezza e rendere più difficile per gli investitori valutare la redditività a lungo termine dei progetti.

L’Europa, al contrario, grazie alla dimensione del proprio mercato interno e grazie alla solidità del Green Deal e delle politiche e strumenti per la decarbonizzazione, inclusa la proposta della Commissione di un nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni del 90% al 2040, ha saputo costruire uno spazio prevedibile e sicuro rappresentando ad oggi una roccaforte normativa e politica entro il quale orientare gli investimenti e attrarre quelli esteri.

Infatti, nonostante un rallentamento degli ultimi anni dei flussi mondiali di investimenti esteri (Foreign Direct Investment o FDI) per via delle tensioni tariffarie, incertezza geopolitica e elevati costi energetici, l’UE rappresenta ad oggi circa il 25–32% del totale mondiale di FDI. L’UE mantiene inoltre un grande stock di investimenti esteri: tra il 2019 e il 2023 la sua quota globale è cresciuta (+2 punti percentuali verso l’est), mentre l’attrattività in entrata è cresciuta di circa 0,5 punti percentuali. L’Europa rimane quindi una meta attraente per gli investimenti internazionali.

Del resto, al di là di una strategia finalizzata a sfruttare le opportunità di breve termine, è difficile immaginare che la massa degli investimenti globali creda nella protezione contingente offerta dai dazi o pensi di risolvere l’incompatibilità dell’impiego delle fossili con i cambiamenti climatici, semplicemente ignorandoli.

Tenuta geopolitica e la proiezione UE

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen già nel 2022 dichiarò che l’UE è un’unione “geopolitica”, che agisce come attore globale della transizione energetica, e che sa allineare le esigenze del proprio posizionamento e proiezione internazionale con quelle della decarbonizzazione.  Una postura, questa, che assume ancora più centralità nel quadro della “politica estera economica” che la nuova Commissione si prefissa di portare avanti nei prossimi cinque anni, e che vede la dimensione geopolitica strettamente connessa a quella geoeconomica, in risposta a un sistema internazionale dove alleanze, rivalità e competizione tra potenze si giocano sempre di più in ambito economico.

A poco più di tre anni dal suo lancio nel dicembre 2021, il Global Gateway, la principale iniziativa europea volta a promuovere la connettività tra e con i Paesi partner dell’UE, è diventata di fatto veicolo per la promozione della transizione green in linea con gli obiettivi della dimensione esterna del Green Deal. In linea con le esigenze della decarbonizzazione e della competitività europea, il Global Gateway mira a rappresentare un’alternativa alle strategie di engagement di altri attori globali, e in particolare della Cina – in quanto emersa come risposta alla Belt and Road Initiative (BRI).

Il CID contiene uno sviluppo sul fronte esterno di proiezione internazionale mirato a creare catene di approvvigionamento resilienti, anche attraverso accordi di libero scambio e altre forme di cooperazione e partenariato. Per rispondere a questa necessità, la Commissione europea ha di recente messo in campo due iniziative: il Global Energy Transition Forum e le Clean Trade Investment Partnerships (CTIPs). La prima ha l’obiettivo di sbloccare investimenti e capitale privato per accelerare l’adozione di energia rinnovabile promuovendo progetti concreti, mentre le CTIPs mirano a integrare la rete di accordi commerciali dell’UE con un approccio più flessibile e mirato che consenta di stipulare dei mini-accordi commerciali focalizzati sulla transizione energetica.

Appare evidente che, in un contesto in cui l’UE persegue gli obiettivi di neutralità climatica che si è prefissata e la transizione chiama in causa l’adozione di tecnologie net-zero di cui la Cina e altri Paesi terzi sono grandi produttori, affrontare il tema dei rapporti con questi Paesi sia indispensabile per gestire le conseguenze politiche della transizione verde europea, in cui occorrerà trovare un equilibrio tra gli obiettivi di “de-risking” e quelli di decarbonizzazione, soprattutto per quanto riguarda le catene del valore e i rapporti commerciali.

Il CID, inoltre, si basa su un concetto chiave che vede competitività e decarbonizzazione come strettamente interconnesse. Competitività che deve necessariamente basarsi sulle capacità dell’UE di giocare un ruolo rilevante e di leadership globale a livello politico-diplomatico ed economico-industriale. In altre parole, la transizione energetica può e deve essere occasione di affermazione internazionale per l’Europa, e non di perdita di competitività rispetto ad altre potenze.

La forza del Green Deal

Questi quattro elementi sono contenuti nel Green Deal. Sebbene al suo interno vi possano essere degli elementi che possono non piacere o coi quali si sia in disaccordo, avere un piano robusto e articolato come il Green Deal che poggia su questi pilastri dimostra la lungimiranza di chi imposta la propria strategia industriale ed economica in coerenza con le sfide globali sempre più presenti e materiali nella vita quotidiana, dal cambiamento climatico ai dazi.

La risposta europea ai dazi di Trump non dovrebbe quindi andare verso una deregolamentazione o una semplificazione, imposta da interessi esterni, delle politiche europee bensì passare per il consolidamento delle strategie che permettano all’Europa di rafforzare queste quattro dimensioni: l’autonomia energetica, la competitività industriale, la capacità di attrarre investimenti e il ruolo di leadership globale nella transizione.

Solo attraverso una gestione strategica e coerente di questi elementi, l’Europa potrà rafforzare la propria posizione industriale, rispondere alle esigenze concrete delle persone e delle imprese rispetto ai costi dell’energia e all’accesso delle tecnologie e affermarsi come potenza geopolitica veramente autonoma e indipendente di fronte alle pressioni provenienti sia dagli Stati Uniti che dalla Cina.

Foto di Rinson Chory

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